Passaggio di consegne tra vecchi e nuovi padroni: agli algerini di Cevital subentra il colosso indiano dell’acciaio Jsw Jindal. Dopo i bresciani di Lucchini e i russi di Severstal, lo stabilimento siderurgico passa al gigante asiatico, che prova a sbarcare in Italia dopo aver fallito l’acquisizione dell’Ilva di Taranto
Dopo una lunga trattativa e l’ovvia mediazione del Ministro dello sviluppo economico Calenda, il preliminare di vendita della ex Lucchini è arrivato proprio a ridosso delle elezioni politiche del 4 marzo, un traguardo che forse il Governo PD in carica (e magari anche il Presidente della Toscana Enrico Rossi,transfuga dal PD) speravano di riciclare come un successo: ben misero, in ogni caso. Ora che, a quanto pare, un piano industriale vero e proprio ancora non l’ha visto nessuno, ma è cominciata la verifica dei tecnici Jindal sulla situazione degli impianti e sulle potenzialità del sito produttivo, lo stesso Governatore Rossi torna a dichiarare la disponibilità della Regione a creare le condizioni più favorevoli.
Per capire di che disponibilità si tratti, bisogna dare un’occhiata alle cifre. Il quotidiano di Confindustria ci informa che il prezzo della cessione, secondo fonti affidabili, ammonterebbe a circa 60 milioni di euro, 75 milioni considerando anche gli oneri annessi (cauzioni, fideiussioni, etc). Per sbloccare la trattativa, la Regione Toscana ha messo a disposizione “30 milioni per la modernizzazione ambientale e energetica del ciclo produttivo; Regione e Mise mettono inoltre sul tavolo 15 milioni per migliorare le condizioni di insediamento”. Naturalmente, secondo gli accordi “Aferpi sarà sollevata dalle obbligazioni assunte con la risoluzione del contratto e gli obblighi Jsw saranno definiti di conseguenza nel nuovo piano industriale e finanziario” (Il Sole 24 Ore, 2.3.18).
Va da sé quindi che gli investimenti nell’industria agroalimentare, che avrebbero dovuto generare 600 posti di lavoro - secondo gli annunci dell’epoca - tornano nel mondo dei sogni, da dove erano venuti. Quanto al nuovo piano industriale, i soldi pubblici messi oggi a disposizione dell’affare sarebbero una cifra ben consistente, se messa a confronto con quella pagata da Jindal per l’acquisizione dell’intera proprietà. Sembra già di vedere il tappeto rosso srotolarsi ai piedi del nuovo padrone indiano, che appare fortemente interessato a camminarci sopra, visto che i suoi primissimi passi sono stati diretti a capire di quanti appoggi e facilitazioni pubbliche potesse disporre; e infatti Regione e Mise hanno preso l’impegno di “creare alcuni gruppi di lavoro per approfondire le modalità di co-finanziamento degli investimenti, la materia dei permessi ambientali e le questioni relative al costo dell’energia” (La Repubblica Firenze, 8.3.18).
Da parte sua, i metodi della nuova proprietà non si differenziano granché da quelli delle precedenti. E’ probabile che il colosso siderurgico abbia i suoi progetti, e una base produttiva in Europa sarebbe utile, con i recenti chiari di luna richiamati dal protezionismo. Ma, come i padroni precedenti, mette in campo per ora soltanto ipotesi e vaghe promesse. Anzi, all’inizio – guarda caso, come Cevital – aveva ventilato perfino la riattivazione dell’altoforno. Poi, l’eterna ipotesi dei forni elettrici: e anche qui l’attesa sarebbe di altri tre-quattro anni. Nel frattempo, al massimo potrebbero ripartire i treni di laminazione, con semilavorati provenienti dall’India (Corriere Etrusco, 6.4.18). Con quale ritorno tutto ciò per i lavoratori dello stabilimento e dell’indotto, resta da vedere. Per quanto Ministro e Governatore parlino a ruota libera di garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali, sembra un obiettivo di difficile realizzazione, visto tra l’altro che alla precedente offerta di Jindal era stata preferita quella di Cevital, proprio perché i livelli occupazionali assicurati dal gruppo indiano – a cui interessavano in particolare i laminatoi – erano soltanto di 600-800 occupati; d’altra parte, non si può pensare di raggiungere i 2200 dipendenti senza produrre acciaio.
Queste cose a Piombino si sanno benissimo. Al momento si stanno muovendo i delegati USB delle Acciaierie, che hanno chiesto assicurazione in Regione circa la copertura degli ammortizzatori sociali. Il 3 aprile hanno ricevuto assicurazione che le norme previste per le aree di crisi complessa e per le aziende di rilevante interesse strategico nazionale – sempre ammesso che le norme non cambino - consentono di prolungare la cassa integrazione straordinaria. Ma naturalmente non basta. Anche i lavoratori riuniti nel coordinamento Camping CIG condividono dubbi e preoccupazioni, che sono poi quelle di tutti i lavoratori: non vogliono ritrovarsi costretti a subire un progetto industriale di lacrime e sangue, sotto il ricatto “o questo o niente”.
Corrispondenza Piombino