Anche il Ministero dello Sviluppo Economico ha dovuto prenderne atto: “di tempo ne è trascorso troppo senza vedere alcun avanzamento del progetto siderurgico annunciato”. E’ esattamente così. Manco a dirlo, secondo il Ministro Calenda, cos’è che si aspettano “lavoratori e istituzioni”? Ma è ovvio… “certezze, non è più il momento delle vaghe promesse”….Come no!
Il 19 aprile scorso, durante l’ennesimo vertice al Ministero, il Governo ha infine deciso di chiedere conto all’imprenditore algerino su quanto ha concretizzato, rispetto ai piani che aveva presentato nel 2015 per il rilancio delle Acciaierie di Piombino. La risposta tutto sommato non è difficile: quasi niente. Lo hanno capito anche al Ministero, tanto che sono stati costretti a inviare una comunicazione ufficiale a Rebrab, nella quale si constata l’assenza di “significativi avanzamenti sia per i tempi di realizzazione dei nuovi impianti, sia per la copertura finanziaria dell’investimento”. Per cui il Governo annunciava l’intenzione di proseguire con le funzioni di sorveglianza previste dalla Legge Marzano, avvalendosi del Commissario Piero Nardi, e qualora la richiesta di ulteriore commissariamento non fosse stata accolta - minacciava a questo punto il Ministro Calenda – non sarebbe restata che la procedura di rescissione del contratto.
Posto che Rebrab, di fronte alla prospettiva di un lungo contenzioso giudiziario (con tutte le spese annesse e connesse), ha pensato bene di non opporsi, resta la conferma del commissario Nardi, e quindi il prolungamento degli effetti della Legge Marzano. Si allungherebbe quindi di due anni il “programma di solidarietà”, cassa integrazione e rinnovo dei contratti di solidarietà, evitando i licenziamenti - possibili dopo il 30 giugno. Quindi, se parliamo di certezze e non di vaghe promesse, sono tutte qui le certezze che aspettano i lavoratori della fabbrica piombinese da oggi ai prossimi due anni. Dopo le magnifiche sorti e progressive, promesse solo un paio di anni fa, è un po’ poco. Sicuramente meno di quanto sia toccato invece al commissario Nardi, che per la sua opera – a dir poco risolutiva… – si è aggiudicato finora 2.339.139,98 euro (Il Sole 24 Ore, 7.5.17). Per lui, che doveva ricercare il miglior acquirente e poi controllare la gestione dell’azienda, la buona notizia è che emetterà fatture anche nei prossimi due anni, per un compenso finale ancora in divenire.
Come sottolinea praticamente tutta la stampa, compresa quella di Confindustria, Rebrab si è dimostrato un dilettante allo sbaraglio, protagonista di scelte ondivaghe e in gran parte errate (prima la decisione di rianimare l’altoforno, poi quella di spegnerlo; l’intenzione di acquistare forni elettrici mai concretizzata, senza aver mai finito di pagare nemmeno gli studi di fattibilità; le bonifiche mai iniziate; le fabbriche di conserve alimentari di là da venire…etc. etc.), e soprattutto non affidabile per Banche e fondi di investimento, che conseguentemente gli hanno sempre negato i finanziamenti necessari. Chissà se avrebbe fatto la differenza; fatto sta che l’intervento del magnate algerino non è apparso nel tempo più credibile di quello, ventilato anni fa, di un ennesimo stravagante personaggio arabo, che voleva rilevare l’azienda senza soldi.
Altri anni sono passati, altre illusioni sono spuntate e poi sono cadute, e nel frattempo si è alimentata tra i lavoratori soltanto la speranza che alla fine tutto si sarebbe aggiustato. Le iniziative di lotta, che pure ci sono state, sono state logorate e fiaccate dalla lunga attesa e dal frammentarsi delle aspettative. Nel frattempo, qualcuno ha trovato un altro lavoro, qualcuno se ne è andato all’estero, qualcuno ha raggiunto la pensione, altri contano di raggiungerla nei prossimi due anni, qualcuno ci spera ancora. Nonostante tutto i due ultimi scioperi di febbraio e marzo sono stati partecipati, e le manifestazioni numerose. Resta il dato di fatto di una mobilitazione tardiva, e soprattutto non gestita direttamente dagli operai ma dalle burocrazie sindacali, che in questi anni hanno prestato ascolto più alle promesse dell’imprenditore e agli accordi con le istituzioni che ai messaggi che arrivavano dai lavoratori.
Nell’insieme, la vigorosa lotta che nel 1993, all’indomani della cessione quasi gratuita della fabbrica al Gruppo Lucchini, aveva portato i lavoratori sul piazzale della fabbrica per uno sciopero durato quaranta giorni, si è come ristretta: prima dentro le mura del Rivellino, dove un paio di anni fa gli operai avevano organizzato un presidio, e in ultimo dentro la sala del Consiglio Comunale, che alcuni di loro hanno occupato con il permesso, anzi con la partecipazione, del Sindaco.
Intanto sta lavorando soltanto un quinto dei 2200 dipendenti di Aferpi, due laminatoi si sono fermati e ne è rimasto attivo solo uno. Ma a quanto pare non produrrà rotaie per molto, dato che a questo punto mancano sia il materiale semi-lavorato (i contratti in essere sono scaduti), sia i soldi per acquistarlo. Infine mancano anche le commesse, scoraggiate dalla scarsa affidabilità dell’azienda. Secondo la stampa bene informata (Il Sole 24Ore), nel periodo 2013-2016 la società avrebbe perso 282 milioni di euro. Vivere giorno per giorno alimentandosi di speranze diventa ogni giorno più improbabile.
Corrispondenza Piombino