Acciaierie di Piombino: 30 anni di illusioni

La città di Piombino è tornata sui propri passi il 23 gennaio scorso, celebrando (in un soprassalto di nostalgia?) i 30 anni del film del livornese Paolo Virzì "La bella vita", ambientato nel periodo di lotte che seguirono la crisi siderurgica e la progressiva cessione - per meglio dire la donazione - del complesso delle acciaierie al gruppo Lucchini. Lo stabilimento è stato scorporato nel 1992 dalla società statale Ilva e trasformato in una società mista, con una parte residuale in mano pubblica, che dopo tre anni è passata definitivamente alla proprietà privata del gruppo Lucchini. All'epoca 39 giorni di scioperi e di picchetti davanti alla fabbrica non ne impedirono la svendita, ma rafforzarono un'idea di coesione e di lotte sociali, con una componente forte della città a presidiare i cancelli e a partecipare ogni giorno alle assemblee di piazza. La fabbrica impiegava, al tempo delle partecipazioni statali, oltre 8000 addetti, escluso l'indotto.

Lavoratori sacrificati

Nel giro di 3 anni, con la gestione Lucchini, i posti di lavoro dimezzarono, per subire ulteriori cali negli anni successivi. Oggi, per i 500 lavoratori residui tuttora parzialmente attivi non ci sono ancora garanzie di futuro, anzi: mentre a gennaio 2025 è stata rinnovata per un altro anno la cassa integrazione a zero ore per 1300 addetti, si parla di aggiungerne altri 180, e si discute senza particolari allarmi sulle caratteristiche in base alle quali saranno individuati i malcapitati futuri cassintegrati.

La proiezione della pellicola di Virzì e una mostra fotografica nei locali del cinema sono stati per l'attuale amministrazione l'occasione per sottolineare quanto sia cambiata la situazione nei trent'anni trascorsi. I discorsi e le dichiarazioni, tutte improntate alla consueta sequela di promesse per il futuro, non hanno mancato di sottolineare come la parola d'ordine del momento sia: diversificare! Nello specifico, i settori che individuano i rappresentanti della politica locale, ormai da due legislature appannaggio della destra di Fratelli d'Italia, sarebbero genericamente agricoltura, turismo, commercio e piccole imprese. Non mancano discordanze ed elementi di dubbio. Buona parte del settore agricolo è in subbuglio per il progetto di trasformare gran parte dei terreni coltivabili in campi per l'installazione di pannelli solari e di pale eoliche; quanto al turismo, senza dover rimarcare che i posti di lavoro ricavabili dal turismo sono per la stragrande maggioranza di bassa specializzazione, stagionali e a basso reddito, e comunque non certo quantificabili in migliaia, non sarà la presenza ingombrante del rigassificatore in porto ancora chissà per quanto a facilitare le cose, con il suo carico di inquinanti e i rischi connessi. Commercio e piccole imprese hanno vissuto per decenni all'ombra delle ciminiere, basti pensare alla massa di redditi connessi a migliaia di salari erogati ogni mese, che ogni mese si riversavano sulle attività commerciali della zona, e che da anni non ci sono più; non a caso hanno chiuso e continuano a chiudere decine di negozi, compresi quelli storici.

Tanti regali per i padroni

Fiumi di denaro pubblico sono stati riversati dalla privatizzazione in poi, nel tentativo di attrarre e trattenere i nuovi padroni delle ferriere. Dopo i passaggi da Lucchini Siderurgica a Lucchini Piombino Spa, nel febbraio 2005 i Lucchini, in crisi finanziaria, avevano ceduto il controllo dell'80% della proprietà al magnate russo dell'acciaio Alexej Mordashov di Severstal. A maggio 2010 il Sole 24 Ore pubblicava la notizia della svalutazione di Lucchini, messa in atto da Severstal in vista di una sua prossima cessione: a conclusione dell’operazione, Lucchini aveva una perdita di Bilancio di 855 milioni. A febbraio 2010, la famiglia Lucchini si accordava con Severstal per la cessione della restante quota, intorno al 20%, per una cifra – pare – intorno ai 100 milioni di euro. A luglio 2010, quel poco che si sa è che il colosso russo, dopo avere riconsiderato la sua strategia produttiva in Europa e il bilancio allarmante di Lucchini, vende la sua quota di proprietà a …. se stesso, cioè a una società di Mordashov, per la cifra simbolica di 1 euro. A noi che non capiamo di finanza, tutto ciò risulta oscuro. Fatto sta che a questo punto si procede a contrattare con le banche la ristrutturazione del debito, cioè in pratica ci si mette d’accordo con le banche per evitare che queste reclamino le loro spettanze, facendo precipitare la proprietà nell’insolvenza. Alla fine dei giochi il debito (calcolato alla fine dei conti in 700 milioni di euro) non viene pagato, ma lo stabilimento in sostanza diventa proprietà di un fondo finanziario, con le banche aventi l'unico obiettivo di coprire il debito, e non di dare un futuro industriale alla fabbrica, e Mordashov come azionista di riferimento.

Segue un lungo periodo di produzioni parziali e di incertezza, perennemente in crisi finanziaria e con una produzione ferma a 1,3 –1,5 milioni di tonnellate l’anno di prodotto, pur avendo una capacità produttiva di 2 milioni. Il 27 luglio 2012 scende in piazza uno sciopero generale lungamente preparato ed esteso a tutte le fabbriche del comprensorio, indotto compreso, ma limitato a un blocco di tre ore soltanto. Nonostante non fossero state coinvolte le altre categorie, sciopero e manifestazione vedevano ancora una partecipazione forte e convinta dei lavoratori. Dal gennaio 2013 la Lucchini di Piombino è in amministrazione straordinaria, dopo la sentenza che dichiarava lo stato di insolvenza dell’azienda. A tutti i lavoratori è stato comunicato che sono diventati ufficialmente creditori della vecchia gestione, come se fossero fornitori o imprese dell’indotto da pagare. Fatto sta che il TFR lasciato in azienda e una parte rilevante delle ferie e dei permessi sono stati letteralmente scippati ai lavoratori, e per riottenerli dovranno impegnarsi in lunghe cause come creditori...privilegiati, questa l'esatta definizione.

La fine dell’altoforno

La situazione debitoria del Gruppo, in perdita vertiginosa e ormai commissariato da tempo, condanna definitivamente la produzione a caldo, perché lo stato dell’altoforno, arrivato alla fine della sua vita produttiva, non ha prospettive di rifacimento. Comincia l’altalena di notizie e di tensioni continue, intervallate dalla speranza di compratori disposti a nuovi investimenti, o di opportunità salvifiche tipo lo smantellamento della nave Concordia nel porto di Piombino, puntualmente sfumata, o la sinergia con lo stabilimento di Taranto per la produzione di acciaio a bramme. Tagli negli organici e ristrutturazioni in alcuni reparti provocano una reazione minima, uno sciopero di un’ora. Un nuovo sciopero a luglio 2013 non replica la partecipazione convinta dell'anno prima. Un altro sciopero a ottobre porta agli operai a occupare e bloccare con un corteo la statale Aurelia, ma per molti è la solita "passeggiata" inscenata dai sindacati per non sembrare impotenti di fronte alla fine ormai dichiarata dell'altoforno. Il 24 aprile 2014, alle 10:56, l'altoforno, dopo l'ultima colata, è spento. Un'ultima manifestazione blocca la statale 398 nei pressi delle Acciaierie, ma la reazione operaia è contenuta dalla promessa di un accordo di programma per la riqualificazione del polo siderurgico. Non resta che sperare in nuovi padroni, che si presenteranno a gennaio 2015. Si tratta stavolta di un'azienda e di un magnate algerino, la Cevital di Isaad Rebrab, che promette nuovi forni elettrici e un nuovo treno rotaie. La nuova proprietà farà il suo ingresso ufficiale dal 1 aprile 2015, ma già da prima annuncia lo smantellamento delle aree a caldo ormai dismesse, e la collocazione proprio lì di una struttura per la produzione agro-alimentare, con conseguente assunzione di nuovo personale. Le promesse dell'algerino, che in realtà al suo paese si occupa di produzioni alimentari, sono mirabolanti. Il primo forno si riaccenderà in diciotto mesi, assicurano i portavoce del gruppo: il cronometro partirà ad aprile 2015, quando sarà firmato il contratto. Il secondo forno partirà sei mesi dopo! Sarà salutato con entusiasmo, accolto con tutti gli onori, dichiarato personalità dell'anno. L'allora presidente della Regione Toscana Rossi lo definirà "un imprenditore con una visione molto forte e con una strategia molto chiara". Tanto che l'accordo di programma firmato vale 140 milioni: metà ce li mette lo Stato, l'altra metà la Regione. Altri 130 si sono aggiunti con la riconversione del porto, quasi tutti finanziamenti regionali. Finirà come doveva finire: a tre anni da quella che l'allora premier Matteo Renzi (detto "il Bomba") definì "acquisizione strategica", l'acciaieria era ancora ferma e duemila famiglie sopravvivevano a forza di cassa integrazione, una situazione peraltro tuttora invariata, se non nei numeri. Del poderoso piano industriale che aveva fatto esultare Regione e Governo non resta nulla. Da parte sua, Isaad Rebrab nel 2019 è stato arrestato e tradotto in carcere nel suo Paese per reati tributari. Dopo la scarcerazione, gli è stato intimato di non esercitare più alcuna funzione commerciale o dirigenziale. Così finì l'uomo dei miracoli.

Nuovi padroni, nuove bugie

Ma nessuno ha fatto di meglio. Nel 2018, dopo la costituzione della società Aferpi spa (Acciaierie e ferriere di Piombino), lo stabilimento passa di mano: viene consegnato al colosso siderurgico indiano di Sajjan Jindal, che progetta di riavviare la produzione di acciaio e di riassumere circa 1.500 operai. Passati tre anni, la fabbrica è finita nelle mani di chi aveva già partecipato nel 2014 alla corsa per l'acquisizione dello stabilimento, e ancora una volta il presidente della Regione Rossi si dichiara - non si sa su quali basi - fiducioso. Si parla di un'occasione strategica per Jindal, interessata ad entrare nel mercato europeo dell’acciaio per contrastare Arcelor Mittal, che l’ha sconfitta nella gara per l’Ilva. Ancora una volta si prevede in prospettiva la piena occupazione degli allora circa 2200 dipendenti. Stavolta tocca al padrone indiano; come gli altri cercherà di rimediare quanto più possibile in soldi pubblici, agevolazioni e concessioni, ma non si azzarderà a investire sul serio; ci saranno ancora piani industriali sempre annunciati e rinviati, memorandum e promesse; soprattutto ci saranno ancora lavoratori ad arrancare tra cassa integrazione e poche giornate di lavoro al mese, sempre più scettici sul futuro dei propri posti di lavoro, sempre meno inclini a credere a istituzioni e sindacati, visti i risultati; sempre meno soldi e attenzione per la manutenzione degli impianti, nessun investimento sui macchinari e nei reparti, e alla fine lo smantellamento di gran parte dei settori produttivi. Intanto cambiano i tempi e la società, subentra la pandemia e un atteggiamento sempre più superficiale e sprezzante di buona parte della città nei confronti dei concittadini, rei di sopravvivere con la cassa integrazione, mentre altri vanno avanti con lavoretti saltuari e si arrabattano per convivere con la precarietà. Invece di creare una rete di solidarietà, si diffonde amarezza e scontento.

Infine, l'ultima chimera. Compaiono nuovi investitori: il gruppo friulano Danieli e quello ucraino Metinvest propongono in pratica di suddividere l'area siderurgica in due settori. Ci vorrà quasi un anno, ma infine friulani, ucraini e indiani si accorderanno per la spartizione dell'area siderurgica. Il gruppo Jindal afferma che continuerà a produrre rotaie nel grosso degli impianti, assumendo 470 lavoratori, nell'altra area friulani e ucraini intendono impiantare una nuova acciaieria cosiddetta "green", alimentata a forno elettrico a ciclo unico; in teoria un investimento di 2,4 miliardi di euro, con una produzione che a regime dovrebbe arrivare ai 2,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotto all’anno, con l'impiego di 700 dipendenti. Metinvest è interessata a produrre acciaio, vuole essere pronta quando comincerà l'affare della ricostruzione ucraina. A un anno dal protocollo firmato a metà gennaio 2024 tra Regione Toscana, Comune di Piombino e i nuovi investitori, è stata avviata la procedura per l’Accordo di Programma con il Ministero delle Imprese. Tutti gli imprenditori si dicono pronti a firmare accordi e a promuovere i lavori per i nuovi impianti. Intanto i tempi slittano: Metinvest sostiene che gli impianti cominceranno a produrre nel 2028. Ma che fine faranno i lavoratori fino ad allora? E quanti di loro torneranno in fabbrica, quanti ne saranno espulsi definitivamente?

Corrispondenza Piombino