Per i lavoratori è sempre più difficile sopravvivere e la coesione sociale mostra le prime crepe
Da qualche tempo i maggiori rappresentanti delle istituzioni del paese insistono sempre di più sulla necessità della tenuta della coesione sociale, che temono possa venir meno nell’autunno ormai alle porte di fronte agli effetti drammatici della crisi sulle condizioni di vita di quella parte di popolazione che ne sta pagando duramente i costi.
Lor signori, ovviamente, si pongono il problema nei soli termini del mantenimento del controllo sociale, indispensabile per imporre altri pesanti sacrifici ai lavoratori e alle loro famiglie ormai allo stremo senza provocare per questo l’esplosione di proteste che potrebbero rivelarsi pericolose per la tenuta dell’ordine pubblico.
Il loro timore ha in effetti più di qualche fondamento. L’autunno non è ancora iniziato che già si sono manifestati segnali di insofferenza sociale nelle zone del paese più vulnerabili, luoghi come il Sulcis in Sardegna, dove spesso un solo posto di lavoro permette la sopravvivenza della famiglia del lavoratore occupato e di quelle dei suoi parenti disoccupati. O come la Campania, la regione con il più basso tasso di occupazione d’Italia. Non è un caso che a Napoli, dopo la tregua estiva, sono riprese le proteste in difesa del lavoro ancora esistente. Nella sola giornata del 4 settembre ben quattro realtà lavorative hanno inscenato iniziative di lotta indicative dell’alto livello di tensione sociale.
I dipendenti della Caremar, società di navigazione in via di privatizzazione, hanno bloccato per un’ora la partenza di un traghetto salendovi a bordo per riunirsi in assemblea. Sono lavoratori che in agosto hanno percepito solo il 70% del salario mentre quello di settembre rischia di saltare del tutto.
A Bagnoli 70 operai dell’appalto per la pulizia, il facchinaggio e la manutenzione del verde presso il comando Nato hanno scioperato e manifestato contro il possibile licenziamento a causa del trasferimento della base dalla zona flegrea a Lago Patria e del mancato rispetto delle norme contrattuali riferite al “passaggio di cantiere”.
Un centinaio di lavoratori dell’Astir, società controllata della Regione che si occupa delle bonifiche ambientali, oggi in liquidazione, ha dato vita ad un corteo non autorizzato nelle vie del centro di Napoli effettuando blocchi stradali e presidi davanti all’Assessorato regionale dell’Ambiente e alla sede della Regione. Lì giunti, due operai si sono incatenati e un altro è salito su un palo della luce antistante il portone d’ingresso di Palazzo Santa. Lucia.
I lavoratori Astir sono senza salario da sei mesi e il 18 settembre il tribunale di Napoli potrebbe sancirne il fallimento. Già nel maggio scorso essi erano scesi in piazza per difendere il posto di lavoro presidiando l’abitazione del presidente della Regione Caldoro e salendo su una gru in piazza Municipio.
Gli operai della Cns (Consorzio Nazionale Servizi), ditta che gestisce l’appalto dei bus cittadini, hanno bloccato per cinque ore l’uscita dei mezzi pubblici dai depositi dell’Anm (Azienda Napoletana Mobilità). 16 depositi sono stati bloccati e per gran parte della giornata nessun autobus è sceso in strada. I lavoratori lamentano il mancato pagamento dei salari e temono la riduzione del personale.
L’Anm ha stigmatizzato «il comportamento di coloro che danneggiano l’immagine dell’Azienda e creano gravi disagi ai cittadini napoletani». Viene da chiedersi quale immagine l’Anm dà di se stessa quando non provvede ad investire risorse neppure per l’acquisto dei pezzi di ricambio dei bus. Risultato, molti mezzi restano fermi ai box mentre quelli in circolazione mancano spesso di servizi essenziali nei mesi estivi come l’aria condizionata. Che dire poi dei lunghissimi tempi di attesa alle fermate a causa del ridotto numero dei bus circolanti rispetto a quelli in dotazione. Ne consegue il sovraffollamento a bordo di mezzi che sembrano più carri bestiame che veicoli per il trasporto pubblico di persone. Dulcis in fundo, è forse bella l’immagine di un’azienda pubblica dove il clientelismo nella gestione del personale la fa da padrona? Basti dire che nell’organigramma di Anm figurano figli di manager e di politici napoletani.
Corrispondenza da Napoli