Vento in poppa per i catamarani, mentre il risanamento ambientale e i posti di lavoro restano in secca
Il 7 aprile inizieranno a Napoli le regate preliminari di Coppa America. Non si tratta della competizione vera e propria, che si svolgerà negli Usa nel 2013, ma di una “parata” di barche a vela che si ripeterà l’anno prossimo. Eppure i vertici di Regione, Comune e Confindustria napoletana, in una nota del 6 agosto scorso, presentavano questa manifestazione come «un grande traguardo, un’occasione di crescita e sviluppo per l’intero territorio».
Ogni volta che si preannunciano i cosiddetti “grandi eventi”, si millantano come sicuri i benefici che questi produrrebbero alla località che li ospita mostrandoli come indispensabili volani per il rilancio del territorio. Non è così. Le Olimpiadi di Atene del 2004 costarono 10 miliardi di euro che contribuirono soltanto ad alimentare il già gigantesco debito dello stato greco. Le Olimpiadi invernali del 2006 a Torino lasciarono sul terreno una montagna di debiti, strutture alberghiere inutilizzate, opere inservibili mai smantellate e deturpamento ambientale.
A dire il vero, c’è qualcuno che trae beneficio da queste manifestazioni. Sono gli accaparratori di appalti, le imprese immobiliari e i procacciatori di consenso elettorale. L’American’s Cup napoletana, nel suo piccolo, è tutto questo. Il presidente della Confindustria di Napoli Graziano ha previsto un introito di 50 milioni di euro a fronte di un costo di 10 milioni. Certamente si riferiva al profitto che andrà agli attori economici e alla spesa che la collettività dovrà sostenere. Il presidente della Regione Caldoro, quello della provincia Cesaro e il sindaco di Napoli De Magistris, dal canto loro, puntano ad incassare una credibilità a buon mercato facendosi promotori di un’operazione di pura immagine. Perché di questo si tratta. Costoro hanno detto che le regate serviranno ad offrire «una nuova immagine di Napoli nel mondo», «a far dimenticare la mortificazione mondiale del disastro rifiuti, da cui si comincia appena a venir fuori, e a recuperare un grado di civiltà e di vivibilità». La loro miopia è pari soltanto a quella di chi agisce unicamente per il profitto.
E’ per i voti e per il profitto che lor signori non hanno esitato ad individuare, in un primo tempo, l’area di Bagnoli, tuttora da bonificare, come sito per le regate per poi ripiegare sulla costa di via Caracciolo, nel centro di Napoli, dopo il parere negativo del ministero dell’Ambiente. L’iniziale scelta di Bagnoli dimostra l’irresponsabilità e la spregiudicatezza di questi amministratori, pronti a sperperare il denaro pubblico per una regata da esibire sulle acque inquinate dai veleni scaricati per decenni dall’ex Italsider. Una scelta che avrebbe rinviato sine die la rimozione della cosiddetta “colmata”, cioè la collina di residui velenosi accumulati nel tempo dall’acciaieria. La volontà di bonificare il sito di Bagnoli, d’altronde, non c’è mai stata, se è vero che i fondi regionali per il recupero dell’area ex Italsider sono congelati da quasi due anni. Fondi peraltro destinati all’attivazione delle opere in via di ultimazione o addirittura completate e non alla bonifica della colmata. La deindustrializzazione del territorio di Bagnoli ha avuto come epilogo la perdita di migliaia di posti di lavoro, operai in cassa integrazione, cantieri fermi, opere tanto faraoniche quanto superflue come il parco dello sport, l’acquario, il centro fitness e il parcheggio coperto a due piani per 600 posti auto, che giacciono in attesa dei fondi che non arrivano.
L’opzione di via Caracciolo non appare molto più intelligente. La costruzione di due scogliere di 170 metri al fine di ricavare un maggiore spazio d’acqua in sicurezza, in caso di mare grosso, comporterà l’impiego di 3200 camion per il trasporto delle rocce da posare. Un viavai infernale che provocherà la chiusura al traffico per settimane dell’intera via dirottando la viabilità sulla parallela via Chiaia già normalmente intasata. I vincoli di tutela ambientale a cui è sottoposta l’area che ospiterà le attrezzature della manifestazione (capannoni, ormeggi, passerelle, pontili, boe, piattaforme e quant’altro) sono stati furbescamente aggirati definendo le strutture come provvisorie.
Non sono mancate le proteste di ambientalisti e disoccupati soprattutto contro il sindaco, visto come colui che si erge a paladino dei “Beni Comuni” e che in campagna elettorale si era presentato come il provvidenziale fautore della cosiddetta “rivoluzione arancione” (la gestione della cosa pubblica ai cittadini e non ai partiti). Le false aspettative ingenerate dalle affrettate promesse di De Magistris hanno permesso a Caldoro e a Cesaro di rimanere al riparo dalle contestazioni nonostante le loro gravissime responsabilità per le disastrose condizioni in cui versa la città di Napoli, che di tutto ha bisogno tranne di una politica che nega il diritto al lavoro mentre regala soldi a padroni e clientele.
Corrispondenza da Napoli