A lavoro fino a 67 anni ma licenziabili in qualsiasi momento

La loro ricetta per la “ripresa”


Due assurdità vengono ripetute da mesi. Assurdità che qualsiasi lavoratore con una qualche esperienza riconosce come tali. La prima è che ritardando l’età del pensionamento si faccia un favore ai giovani in cerca di lavoro. La seconda è che rendendo più facile per i padroni licenziare gli operai si favoriscano nuove assunzioni. Eppure queste idiozie sono contenute in centinaia di documenti politici, di analisi, nei vari “manifesti della Confindustria” e ora anche nella letterina che Berlusconi ha portato a Bruxelles il 26 ottobre scorso.

Il presidente di turno dell’Unione Europea, il primo ministro Polacco Donald Tusk, ha detto che “il piano italiano ha fatto un’ottima impressione ed è stato accolto con favore in Europa”. Apprezzamenti anche da Sarkozy e dalla Merkel, che solo qualche giorno prima, nel corso di una conferenza stampa congiunta, quando un giornalista aveva posto una domanda sull’affidabilità di Berlusconi, non avevano potuto trattenere sorrisetti e ammiccamenti.

Il contenuto della lettera, in effetti, è in perfetta armonia con quanto stanno facendo tutti i governi europei. Ancora sacrifici per i lavoratori e per i ceti popolari in nome della stabilità finanziaria.

Nel frattempo la crisi avanza. Anche se i contrasti di interesse fra le varie potenze europee rendono difficile trovare un provvedimento condiviso, a Bruxelles, con l’accordo delle banche, si è trovata l’intesa sulla svalutazione del debito di stato greco. Era l’unico modo per garantire alle stesse banche che potranno continuare ad arricchirsi con gli interessi del debito: non solo e non tanto quello greco, ma soprattutto quello di Francia, Germania, Italia e Spagna. I soldi dovrebbe metterli il Fondo europeo di stabilità finanziaria. Ma se anche questa operazione dovesse andare in porto, non per questo si fermerebbe la speculazione sui titoli pubblici.

Di fronte ai nuovi fallimenti delle politiche di rientro del debito, i vari governi si ingegnano di trovare “nemici” oltre confine. I lavoratori, i ceti popolari di tutti i paesi pagano duramente la crisi ma solo per consentire alle banche e ai grandi capitalisti, anche a quelli di casa propria, di continuare ad arricchirsi. Questa è la verità. Per nascondere questa verità si presentano le cose come se la colpa fosse degli altri popoli e delle altre nazioni. Si cerca di convogliare la rabbia sociale nel vicolo cieco del nazionalismo. È una strada pericolosa che conosciamo già.

La cancelliera tedesca ha detto che se cade l’euro, cade l’Europa, ed ha aggiunto una frase inquietante: “Nessuno prenda per garantiti 50 anni di pace in Europa”. Un’esagerazione? Di sicuro le esternazioni di molti esponenti politici e del mondo finanziario e i commenti di vari editorialisti assumono sempre più spesso un’intonazione nazionalista. Un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia, pubblicato sul Corriere della sera del primo novembre, accusa, in sostanza, l’Unione europea di essere lo strumento politico della supremazia franco-tedesca e si chiede: “A chi stiamo cedendo sovranità? All’Europa o piuttosto alla Francia e alla Germania?”.

Certo, la pace europea non è in buone mani se deve dipendere da governi che rappresentano soprattutto gli interessi dei grandi capitalisti di casa propria. Non è precisamente per salvaguardare questi interessi che, in modo particolare in Germania e in Italia, si instaurarono delle dittature sanguinarie, che mentre provvedevano a garantire, con il terrore di stato contro la classe operaia e le sue organizzazioni, i profitti della Fiat della Pirelli, della Krupp, della Porsche, preparavano un nuovo macello mondiale?

Oggi come negli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo, la pace europea non è minacciata da chi si mobilita contro i licenziamenti o contro la disoccupazione, ma dai grandi banchieri e dai grandi industriali, dalla loro lotta senza scrupoli per difendere le proprie immense ricchezze.