000 lavoratori agricoli irregolari

L’irregolarità è la norma, a nord come a sud. E l’agricoltura sarebbe in ginocchio, senza il lavoro degli immigrati


Il vicepremier Matteo Salvini – più obiettivamente il premier in pectore – sta basando la gran parte delle sue fortune politiche sulla battaglia anti-immigrato. Dalle esibizioni estive, come lo stop allo sbarco di immigrati salvati dalle navi delle Organizzazioni non governative, o il sequestro di persone a bordo di una nave della Marina Militare Italiana per impedire che sbarcassero sul sacro suolo italiano, ai bambini degli immigrati esclusi dalle mense scolastiche, dai buoni libro per la scuola dell’obbligo, e perfino dalle scuole tout court. Tutto fa brodo per mostrare muscoli e inflessibilità di fronte all’invasore straniero, del quale - a uso e consumo dell’immaginario popolare - vengono esaltate le funzioni di usurpatore di servizi, sanità, abitazioni, istruzione, etc.

Superfluo notare che non esisterebbe nessun motivo particolare per cui qualcuno dovrebbe avere più diritto di qualcun altro a vivere, ad avere una casa, a curarsi e ad andare a scuola; ma di fatto agitare questi spettri fa perno sul timore, ancora più presente in periodi di crisi come quello attuale, di perdere quanto già si possiede, poco o tanto che sia. Poco importa se sarebbe scarso il numero di giovani, ma anche meno giovani, disponibili a svolgere molti dei lavori svolti dagli immigrati, o ad accettare le loro condizioni, di lavoro come di vita. Ma se nel processo produttivo del nostro Paese ormai la presenza e il lavoro degli immigrati sono diventati indispensabili, d’altra parte essi fanno comodo anche a una gigantesca macchina propagandistica, che li usa a fini politici. Quindi sono sfruttati due volte, e anche tre: per produrre profitti, come pretesto per mascherare e giustificare l’impoverimento delle masse, e come capro espiatorio per le masse stesse, mettendo gli uni contro gli altri due soggetti sociali che invece avrebbero interessi comuni.

Date queste premesse, lo sfruttamento della manodopera immigrata assume dimensioni talmente grandi da diventare paradossalmente invisibili. Basti pensare al lavoro degli immigrati in agricoltura, sul quale si basa praticamente la produzione, un fenomeno più immediatamente visibile al sud ma molto diffuso anche al Nord. Anzi, considerando i dati oggettivi, il rapporto risulta proprio rovesciato: le regioni in cui il lavoro agricolo viene svolto prevalentemente da immigrati sono proprio quelle del nord. Secondo un recente studio dettagliato della UILA - Unione italiana dei lavoratori agroalimentari - senza l’apporto dei lavoratori stranieri, agricoltura e allevamento bestiame nel Nord rischierebbero la paralisi (La Repubblica, 8.5.18). Nelle piantagioni e nelle stalle infatti il 36% dei lavoratori arriva dall’estero, e la proporzione sale addirittura al 57% nelle regioni con amministrazioni leghiste, un trend che risulta addirittura in crescita. Infatti, nei campi e nei vigneti del mantovano il 58% degli addetti è straniero, in provincia di Pordenone il 75%, a Verona il 69% e a Cuneo il 74%. L’indice più alto è a Bolzano, che raggiunge ben l’81% di manodopera immigrata. Al centro (Toscana, Marche, Umbria, Lazio) la percentuale scende, pur restando intorno al 50%. Tutta gente che - malgrado la vulgata salviniana - non passa di certo le giornate al bar.

Contrariamente a quanto comunemente si pensa, è proprio al sud che l’apporto di lavoratori italiani è più alto: in Sicilia molte zone agricole registrano il 90% di lavoratori italiani, e nei vigneti del Salento sette operai su otto sono italiani. Non sono cifre da poco, se si considera che – dato un numero totale di lavoratori regolari in agricoltura pari a poco più di un milione – oltre 590.000 risultano impiegati nel sud e nelle isole.

Fin qui parlando di cifre ufficiali. Senonchè il lavoro nero, grigio, e grigio scuro, in agricoltura non è l’eccezione, ma spesso la regola. Secondo il segretario nazionale della UILA, Giorgio Carra, almeno 142.000 in Italia sarebbero da tenere sotto controllo, perché potrebbero dichiarare solo una minima parte rispetto all’impiego effettivo dei lavoratori, e non sarebbe difficile individuarle “concentrandosi sulle aree in cui viene dichiarato un numero di giornate chiaramente insufficiente per completare la lavorazione agricola”. Anche in questo caso, nonostante quanto si potrebbe pensare, al Nord si fa peggio che al Sud. In provincia di Pavia, ad esempio, per il 43% dei lavoratori agricoli vengono dichiarate una decina di giornate lavorative l’anno; situazioni non dissimili ad Asti, Alessandria, Gorizia, Reggio Emilia, Firenze, Arezzo, Prato. Molto spesso si tratta di lavoratori stagionali, che non raggiungendo le 51 giornate annue non percepiscono prestazioni assistenziali.

D’altronde, un rapporto Oxfam pubblicato a inizio estate (La Stampa, 21.6.18) stima che in Italia sarebbero 430.000 i lavoratori irregolari, sottopagati con paghe medie tra i 15 e i 20 euro al giorno, e con orari di lavoro fino a 12 ore. Si tratterebbe di circa il 75% dei lavoratori. Salta agli occhi una considerazione molto semplice: pescando a caso fra le 142.000 ingegnose aziende “da monitorare”, non dovrebbe essere tanto complicato trovare gli abusi.

Ma evidentemente risulta più utile e urgente ostacolare l’operato di chi si sforza in qualche modo di offrire un’alternativa, sospendendo dalla carica, mettendo agli arresti domiciliari e poi vietandogli la dimora nel Comune di Riace, all’(ormai) ex sindaco Mimmo Lucano. Questo ingenuo ma pericoloso criminale non aveva soltanto cercato di fornire una carta d’identità a un’immigrata priva di documenti. Forse aveva commesso la mossa imperdonabile, nella Locride - territorio incontrastato di ‘ndrangheta – di affidare addirittura senza gara il ritiro della spazzatura a una cooperativa del paese, composta da immigrati e indigeni, che provvedeva alla bisogna con carretti e somarelli, anziché rivolgersi al patrocinio di qualche autorevole mafioso locale.

Aemme