Nel suo più recente rapporto sull’evoluzione del mercato del lavoro e dei salari in Europa, la Commissione europea ha scritto: “Malgrado la crescita dell’inflazione, la crescita dei salari è rimasta moderata, fino ad oggi. Nel corso dei primi tre trimestri del 2022 la remunerazione per salariato e la remunerazione per ora lavorata sono progredite a un ritmo similare ma inferiore all’inflazione, vale a dire che i salari reali sono diminuiti. Questa diminuzione ha portato con sé un deterioramento del potere d’acquisto di numerosi lavoratori, particolarmente quelli con bassi salari”.
L’OIT, organismo delle Nazioni Unite che si occupa delle condizioni dei lavoratori, lo scorso 13 marzo, ha approvato un documento nel quale si definisce il concetto di salario minimo vitale in questi termini: “Il livello di salario necessario per assicurare un livello di vita decente ai lavoratori e alle loro famiglie, tenendo conto della situazione del paese e calcolato per il lavoro effettuato durante le ore normali di lavoro”.
La proporzione dei salari sul PIL nei paesi europei è passata da oltre il 65% nel 1976 a meno del 56% oggi.
Questi dati, certificano, un impoverimento relativo e di lungo periodo della classe lavoratrice internazionale, cioè una diminuzione progressiva della fetta di torta che le tocca della ricchezza nazionale in ogni paese. Il quadro italiano è ancora peggiore perché vede un impoverimento in termini assoluti che non ha termini di confronto in Europa e che prosegue da trent’anni. Rispetto al 1990, a parità di potere d’acquisto, nel 2020 i salari danesi sono aumentati del 38,7%, quelli tedeschi del 33,7%, quelli francesi del 31,1%. Quelli italiani…sono diminuiti del 2,9%!
La questione salariale, in tutte le sue forme (salario minimo vitale assicurato per legge, consistenti aumenti contrattuali, garanzia di meccanismi automatici per il mantenimento del potere d’acquisto in caso di aumento dei prezzi) è diventata l’assoluta priorità per tutte le categorie del lavoro dipendente. In Italia questo è doppiamente vero.
Per affrontare una tale urgenza, sarebbe necessario mettere in campo la forza di tutta la classe lavoratrice. Una classe sociale è fatta di uomini in carne e ossa. Tra di essi ci sono quelli più sensibili, più combattivi, più risoluti, ci sono quelli che si pongono il problema degli strumenti con cui difendersi e che hanno fiducia nelle potenzialità della lotta collettiva. Se questo strato di lavoratori riuscirà ad assimilare la consapevolezza di appartenere a una classe con interessi uguali, pur provenendo da professioni e categorie diverse, sarà in grado di dare al mondo del lavoro la scossa necessaria a invertire i rapporti di forza rispetto al fronte delle imprese.
La società capitalistica, dai tempi della rivoluzione industriale in poi, vive grazie alla possibilità di sfruttare una vasta parte della popolazione che non è proprietaria di nessun mezzo di produzione. Rivendicare per tutti un salario adeguato e una porzione maggiore del reddito nazionale è un atto di elementare coscienza di classe. Significa dire ai datori di lavoro privati o pubblici: – Per far funzionare le vostre macchine, i vostri magazzini, i vostri mezzi di trasporto, i vostri uffici, le vostre aziende di servizi, avete bisogno di noi; siamo noi la principale materia prima. Bisogna che questa materia prima sia pagata al suo giusto prezzo, e che un parte maggiore della ricchezza che vi siete messi in tasca passi ai nostri salari, almeno per assicurarci una vita decente. Questa elementare ma giusta rivendicazione è anche espressione di una vera dignità di classe. Esprime la coscienza dell’importanza della classe lavoratrice, tutta la classe lavoratrice, nel meccanismo dell’economia e dell’organizzazione sociale.
9 Aprile 2024
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