Trump ha strappato il velo di ipocrisia che di solito nasconde la sostanza dei rapporti tra Stati e delle relazioni internazionali in generale, con i loro orrori e i loro bagni di sangue. Il suo alleato, il miliardario Elon Musk, ha senza dubbio contribuito in modo determinante a questo smascheramento.
Negli ultimi anni, ad esempio, si è molto discusso, nei paesi dell’Unione Europea, sulla necessità di forgiare uno strumento di difesa comune. La guerra russo-ucraina ha accelerato le spinte in questo senso, che in ogni caso non sono mai andate oltre alle petizioni di principio.
Alcuni concetti, alcune formule, si sono precisati e sono condivisi da gran parte dei dirigenti europei. Abbandonate le vecchie posture “pacifiste” i governi europei sostengono ora che solo una significativa forza armata potrà permettere all’UE non solo di scoraggiare ogni invasione ma anche di esercitare un ruolo da vera potenza nella competizione mondiale.
Già il Rapporto Draghi aveva indicato la necessità di incamminarsi rapidamente verso la costituzione di una forza armata europea, integrando le varie strutture militari nazionali e sfruttando le economie di scala che deriverebbero dall’uniformare la tipologia di armi. Draghi raccomandava anche la formazione di un fondo europeo per le spese militari, finanziato con l’emissione di titoli specifici. Ma questo libro dei sogni (o forse degli incubi) si infrange sulla realtà di gruppi dirigenti e di borghesie nazionali abbarbicate ai loro apparati di Stato per garantire i propri profitti e difendersi dalla concorrenza.
In ogni caso, oggi “si scopre” che le guerre si vincono solo se si dispone di un esteso sistema di satelliti e che mentre quelli messi già in orbita dalla Starlink di Musk sono già 6.700, l‘Europa aspira a inviarne… 300. Il ritardo tecnologico, a seconda dei commentatori, è di 10 o anche di 20 anni.
Nel frattempo, i paesi europei sono completamente dipendenti dagli Stati Uniti per quanto riguarda le loro capacità di difesa e deterrenza. Quindi, anche le loro aspirazioni a giocare un ruolo di grande potenza nello scacchiere mondiale vengono mortificate.
Alla luce di questa chiara e conclamata superiorità americana, si capisce anche come abbiano suscitato poca irritazione e poco scandalo le enormità di Trump sull’assorbimento del Canada come cinquantunesima stella degli USA, sul controllo di Panama o sulla conquista della Groenlandia. In ogni caso, una reazione assolutamente minima se confrontata con quella indirizzata a Putin, i cui discorsi sono stati in questi anni meticolosamente soppesati e analizzati per scorgervi gli indizi di una volontà aggressiva della Russia verso gli Stati europei.
Ecco dunque la realtà dei rapporti internazionali nell’epoca del capitalismo contemporaneo. I più forti dettano legge e i più deboli, se vogliono rimanere in piedi, si adeguano. Intendiamoci, è sempre andata così, fin dai tempi delle flotte corsare e della Compagnia delle Indie. Ma ora, dal “pilastro della democrazia mondiale”, che fino a questo momento ha giustificato la propria politica estera e le proprie guerre con la difesa del diritto internazionale e delle libertà democratiche contro la prepotenza delle “autocrazie”, piove sul mondo l’affermazione esplicita del diritto del più forte, della legge della giungla. E politici, intellettuali e giornalisti miagolano qualche lamento e si trovano sconsolati a fare i conti con l’ingombrante fardello di menzogne con le quali hanno sempre abbellito la violenza dei rapporti imperialistici.
13 gennaio 2025
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