A colpi di dazi o a colpi di missili e artiglieria pesante le grandi potenze vogliono stabilire una nuova spartizione del mondo.
La guerra che Israele, sostenuto dalla prima potenza mondiale, ha scatenato su Gaza, ha consentito al governo Netanyahu di saggiare il terreno in tutto il Medio Oriente. A oggi, è abbastanza chiaro che non ci sono Stati vicini che possono metterne in dubbio la supremazia regionale. Nemmeno l’Iran che, sulla carta, possiede una forza militare ragguardevole, si è deciso a intervenire seriamente contro uno Stato che la retorica governativa di Teheran chiama “tumore canceroso”. Dopo il regalo che Hamas ha fatto al governo israeliano il 7 ottobre del 2023, fabbricandogli una Pearl Harbor costata 70mila morti alla popolazione palestinese, Israele e, per suo tramite, gli Stati Uniti hanno rafforzato e allargato la loro presa sulla regione.
Da parte sua, la Russia di Putin sembra vicina a un negoziato con l’Ucraina che probabilmente vedrà il riconoscimento di fatto delle sue rivendicazioni territoriali e l’impegno di Zelensky a non entrare nella Nato. Se andrà così, vorrà dire che decine di migliaia di persone, tra militari e civili, sono morte per un risultato che poteva essere ottenuto a tavolino pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità.
I focolai di guerra aumentano in tutto il mondo e le guerre oggi in corso sono 56. Indubbiamente, si prospetta un grande mercato e grandi affari per l’industria delle armi. Cresce vertiginosamente la produzione e l’esportazione di armi. In un intreccio tra finanza e politica estera, tipico dell’epoca imperialista, le azioni delle aziende che producono armamenti sono considerate ormai “beni rifugio”, tanto è considerata certa la crescita di questo settore e del suo giro d’affari.
L’America difende con le unghie e con i denti la propria leadership e ha aumentato la propria quota della spesa militare mondiale, raggiungendo il 40%.
Trump, però, nonostante le sue brutali esternazioni, non è certo l’unico protagonista della contesa planetaria. Ha di fronte una Cina che ha fatto passi da gigante nell’alta tecnologia. Di conseguenza, anche la potenza militare cinese è aumentata. Sul piano economico, poi, a rendere difficile il cammino verso un distacco dell’America dal gigante asiatico è il fitto intreccio che tra i due si è stabilito negli anni. Ridimensionare il capitalismo cinese senza danneggiare il proprio non è un’impresa da poco, per quanto sia forte la tentazione, finché si è in tempo, di assestare qualche colpo risolutivo alla macchina industriale cinese.
Con il loro intreccio tra interessi commerciali e interessi diplomatico-militari, le relazioni internazionali di oggi sembrano una fotocopia di quelle descritte più di un secolo fa da Lenin nel suo libro sull’imperialismo. Trump, Putin, Zelensky, Netanyahu e Xi Jinping, senza immaginarselo, sembrano perfettamente “entrati nei personaggi”, del copione scritto da Lenin. Invece la classe operaia, per la quale quel libro fu scritto in piena guerra mondiale, ne ignora gli insegnamenti. In quei tempi, nel 1917, in Russia, la classe lavoratrice prese il potere attraverso i propri organismi elettivi (i soviet), che nelle fabbriche erano influenzati prevalentemente dal partito di Lenin e che del suo saggio avevano almeno afferrato il senso della denuncia della guerra come imperialista, cioè una guerra per le sfere d’influenza, per le colonie, per i mercati di sbocco nella quale non bisognava schierarsi per l’uno o l’altro contendente ma opporsi a tutti. Era chiaro che il bagno di sangue della Prima guerra mondiale era il tributo che operai e contadini di tutti i paesi pagavano al conflitto tra borghesie nazionali per spartirsi la quota maggiore della ricchezza del globo. Bisognava agire di conseguenza, e l’unica possibilità di imporre la pace stava nel cacciare la borghesia e i suoi ministri dal potere stabilendo il potere dei lavoratori. Infatti, il governo dei soviet fu il primo della storia a “dichiarare la pace”.
Qual è la via della pace oggi? Essenzialmente la stessa. Non si vede all’orizzonte nessuna rivoluzione e nemmeno un partito rivoluzionario della classe lavoratrice, è vero. Ma è anche vero che i lavoratori più coscienti, più interessati a che cosa succede al resto del mondo, più convinti che la società in cui viviamo è modellata attorno agli interessi del capitalismo, possono riunirsi, discutere, leggere insieme e iniziare così a costruire dei piccoli gruppi che potranno evolvere in organizzazioni più grandi. Questi lavoratori esistono e l’ostacolo più grande da superare è la sfiducia nelle proprie forze, la convinzione che “tanto non c’è niente da fare”, oppure che ci troviamo di fronte a problemi troppo grandi per essere affrontati da poche persone.
Invece ogni grande opera – e la costruzione di un partito operaio rivoluzionario, senza alcun dubbio, lo è – comincia con dei piccoli passi.
7 febbraio 2025
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