Le manifestazioni, i presìdi, i picchetti degli scorsi giorni sono stati etichettati come Movimento dei forconi o come Movimento del 9 dicembre o altro ancora. Qualcuno ha scritto che si tratta, in fin dei conti, di gruppi di persone poco numerosi, qualcun altro ha sottolineato le infiltrazioni di gruppi fascisti e di tifoserie organizzate. Per chi non passa le sue giornate nelle aule parlamentari o nelle redazioni dei giornali, sono però evidenti anche altre cose.
La prima è che questi movimenti, che tra l’altro continuano, sono una rappresentazione, per quanto in scala ridotta, di una estesa rabbia popolare, figlia della crisi, che coinvolge settori diversi delle varie classi sociali. Pochi o tanti che siano i partecipanti, in ogni città dove si sono svolti i cortei o i sit-in, i loro volantini e le loro parole d’ordine esprimevano idee, pregiudizi e stati d’animo, aspettative, illusioni e rivendicazioni, che sono nella testa di un enorme numero di persone.
Ce ne accorgiamo tutti i giorni, nelle conversazioni che si sentono al bar, alla fermata dell’autobus o in una vettura di un treno di pendolari. Se l’adesione attiva a questi movimenti è stata piuttosto limitata, non lo è stata è non lo è la simpatia.
Dunque siamo di fronte alle prime manifestazioni di una nuova ondata di proteste popolari? Nessuno può dirlo. Si può dire che per quanto riguarda le sue ragioni concrete, queste ci sono tutte, e da tempo. Il prossimo anno, che i portavoce del governo ci indicano come quello della ripresa, non porterà, per loro stessa ammissione, una riduzione della massa dei disoccupati. Al contrario, la disoccupazione aumenterà ancora.
Quindi, che il Movimento 9 dicembre prosegua o meno come tale, è in ogni modo prevedibile che la protesta si allarghi e scuota dal torpore e dalla rassegnazione gli strati sociali più colpiti dalla crisi.
Gli operai, i lavoratori salariati, hanno, di fronte alla crisi, loro proprie e distinte rivendicazioni da far valere. Non hanno niente da guadagnare nell’incoraggiare il nazionalismo, con i suoi piagnistei sulla perduta “sovranità nazionale”, oppure le deliranti prospettive di una soluzione di tipo fascista o semi-fascista.
Il diffondersi di un sentimento generale di opposizione al governo e al mondo della “politica”, con le sue ruberie e i suoi scandalosi privilegi, il passaggio dall’indignazione passiva alla manifestazione attiva dell’indignazione, può aiutare anche il crescere e l’irrobustirsi di uno specifico fronte di rivendicazioni da parte della classe lavoratrice. Ma è indispensabile definire, propagandare e difendere queste rivendicazioni.
Gli operai non possono essere semplicemente la truppa di piccoli industriali rovinati dalla crisi. Il fine ultimo di questi ultimi è semplicemente un capitalismo che funzioni bene, un capitalismo con meno economia finanziaria, meno tasse e meno burocrazia, magari un po’ autarchico e protezionista. È un’utopia che si scontra con le storia e con la dinamica delle gigantesche e cieche forze economiche che costituiscono ormai la sostanza dell’unico capitalismo possibile ai nostri giorni.
Le rivendicazioni della classe operaia e dei lavoratori salariati in genere, conducono invece, necessariamente, a fare i conti con il capitalismo tutto intero. Per non morire semplicemente di fame, gli operai devono ottenere un salario garantito, si chiami come si vuole, che non sia legato alle fortune dell’azienda che li impiega, per non essere sbattuti fuori dal ciclo produttivo devono ottenere il divieto per legge di ulteriori licenziamenti e la distribuzione dei carichi di lavoro fra tutti i dipendenti di una stessa impresa a parità di trattamento economico.
Questi non sono che i primi punti di un programma di sopravvivenza che la crisi del capitalismo impone alla classe operaia. I cinque giorni di sciopero “selvaggio” dei tranvieri genovesi ha mostrato di quale coraggio e di quale combattività sia ancora capace la classe lavoratrice.
Se non vogliamo che la protesta informe e generica di questi giorni ci lasci con un pugno di mosche in mano, bisogna che la classe lavoratrice prenda l’iniziativa e che, da subito, i militanti del movimento operaio facciano quello che è in loro potere per difendere, in ogni occasione, l’indipendenza, gli interessi specifici e le rivendicazioni di questa classe.
16 dicembre 2013