Qualche giorno addietro – sollevando un vespaio negli ambienti governativi – l’agenzia di “rating” Standard & Poor’s ha declassato il debito pubblico italiano. Si è di nuovo materializzato lo spettro del fallimento dello stato. L’enorme “stock di debito” accumulato autorizza a non prendere troppo alla leggera questa possibilità.
Il timore di un possibile fallimento dello stato contribuisce ad alzare gli interessi che lo stesso stato è costretto ad offrire alle banche per far loro acquistare i propri titoli. Le banche italiane ed europee lucrano sulla sfiducia, da una parte, e, dall’altra, cercano e ottengono la rassicurazione che la Banca Centrale e l’intera Unione Europea non consentiranno nessuna bancarotta. Le banche si interessano alla solidità degli stati come gli strozzini alla salute dei propri “clienti”. A questo bisogna aggiungere le proiezioni di organismi come l’OCSE o il Fondo Monetario Internazionale sul Pil italiano che indicano una crescita prossima allo zero per il 2011 e il 2012. Previsioni del resto confermate dagli studi del Ministero dell’Economia.
Sul fronte della cosiddetta “economia reale” si fanno delle grandi chiacchiere ma non si approda a niente. L’eroe degli industriali, Marchionne, dopo aver disegnato immaginifici scenari di nuovi prodotti e di mercati da conquistare, per il momento ha soltanto chiuso dei siti produttivi e continua a far largo uso della cassa integrazione. Aveva indicato il modello di relazioni industriali americano come il migliore e ora si trova a “spiegare” ai dirigenti dell’UAW (Sindacato dei lavoratori dell’auto) che la “sua” Chrysler non può accordare gli stessi benefici del contratto General Motors (5000 dollari di bonus, aumenti salariali da 1 a 3 dollari l’ora, riassunzione di una parte dei licenziati), perché “è più debole finanziariamente”.
Intanto, la disoccupazione aumenta.
Se la coalizione di Centrodestra cadesse domani, non potremmo che esserne contenti, ma non c’è nessun motivo per cui lo schifo e la collera contro questo governo, i cui rappresentanti sono invischiati in mille indagini per ogni tipo di mascalzonata immaginabile, si trasformino nel sostegno a qualche nuova formula di potere più gradita alla Marcegaglia e ai… “mercati”. Se poi si ascoltano con attenzione le parole di Bersani e dei vari esponenti del Centrosinistra ci si accorge che questi chiedono un governo autorevole, supportato da una vasta base di consenso sociale proprio per prendere quelle misure impopolari che Berlusconi e soci non avrebbero più la forza di chiedere (come se l’ultima manovra finanziaria, compreso il famigerato articolo 8 sui licenziamenti facili, fosse stata una carezza!). Quello che i “mercati” si aspettano, per essere tranquillizzati, sono delle nuove e più grandi mazzate sulla schiena dei lavoratori, dei pensionati, dei ceti popolari. Un lavoro sporco che godrebbe del pieno appoggio della Confindustria e che Bersani e soci pensano di fare meglio cavalcando l’indignazione antiberlusconiana.
È un gioco politico che i lavoratori non hanno nessun interesse ad assecondare. Non è nostro interesse che resti in piedi un governo di fuorilegge, ma nemmeno che venga insediata, al suo posto, una coalizione di “onesti” esecutori del gran capitale.
La crisi ci impone di unirci e di lottare. Di contare sulle nostre sole forze e di batterci per obiettivi che abbiano un senso soprattutto per noi: la salvaguardia delle vite nostre e dei nostri figli prima di ogni altra considerazione.
La questione del salario garantito non è più rinviabile.
In questi giorni si è appreso come le grandi istituzioni europee siano state in grado di dar vita ad un Fondo salva-stati. Si trovano i soldi per garantire alle banche che i loro titoli di stato non diverranno carta straccia, si possono trovare per garantire a milioni di persone che la loro vita non finirà con la chiusura della fabbrica dove lavorano! Frasi come “salvare il Paese” non hanno nessun significato. Il “Paese” è composto nella stragrande maggioranza da lavoratori salariati, da disoccupati e da pensionati. Bisogna salvare la maggioranza della popolazione dalle conseguenze sempre più dure della crisi, bisogna imporre e ottenere un salario garantito minimo legale. Bisogna che questo rappresenti la soglia di reddito sotto alla quale nessuna indennità di disoccupazione, nessuna pensione, nessun salario, siano ammissibili !
20 settembre 2011
L’Internazionale
Inchiesta Operaia