Urss 1962: - Lo sciopero dei lavoratori di Novocerkassk

Da “Lutte de classe” n°219 – Novembre 2021

Il film Cari compagni del regista russo Andrei Koncialovski, proiettato in alcune sale nell’autunno 2021, racconta la storia dello sciopero e delle manifestazioni svoltesi nel giugno 1962 nella città sovietica di Novocerkassk, e la brutale repressione che ne conseguì. Per più di un decennio, i dirigenti dell'Unione Sovietica riuscirono a impedire che si venisse a conoscenza di questi eventi. Solo molto tempo dopo la scomparsa dell'URSS, le testimonianze e la lotta per la verità di alcuni lavoratori, militanti e storici, e poi la declassificazione degli archivi della polizia politica, il KGB, resero possibile una migliore informazione su questi eventi, ricchi di significato per i comunisti rivoluzionari.

Novocerkassk e la sua fabbrica di locomotive

La fabbrica di locomotive elettriche (NEVZ) di Novocerkassk, con i suoi 13.000 dipendenti, era la più importante del settore in URSS. Lo sciopero fu una risposta all'annuncio quasi simultaneo di due provvedimenti che colpivano fortemente il tenore di vita dei lavoratori. Il 1° giugno avevano saputo della decisione di Nikita Khrushchëv, il successore di Stalin a capo della burocrazia sovietica, di aumentare i prezzi della carne e del burro del 25-30%. Questo aumento rispecchiava sia l'esaurimento dell'economia sovietica, saccheggiata da una burocrazia pletorica, sia il desiderio dei capi di questa casta parassitaria di farlo pagare alla popolazione. Ma questo rialzo dei prezzi deciso al vertice, che riguardava tutto il paese, seguiva la scia di una modifica delle norme del lavoro alla NEVZ, decisa a livello locale, che in questa fabbrica portava ad un taglio dei salari della stessa entità. Fu la combinazione di queste due misure antioperaie a fare esplodere la rabbia dei lavoratori.

Situata a 900 km a sud di Mosca, Novocerkassk ha vissuto la sua prima industrializzazione nell'ultimo terzo dell’Ottocento. Molto rapidamente, la classe operaia aveva condotto le sue prime lotte contro le autorità. La guerra civile portò al rovesciamento dell'autocrazia zarista e all'istituzione del primo governo operaio nell'ottobre 1917. Durante questa lotta, essendo situata in territorio cosacco, la città rimase a lungo sotto il controllo degli eserciti bianchi, e fu una sorta di capitale della controrivoluzione nella Russia meridionale.

Nel periodo sovietico, e dopo l'enorme sviluppo economico reso possibile dal controllo statale e dalla pianificazione della produzione, la città divenne un importante nucleo industriale con decine di fabbriche e un centro universitario per 30.000 studenti intorno al suo istituto politecnico. Nel 1962 aveva una popolazione di 130.000 abitanti.

Oltre alla fabbrica NEVZ dove iniziò lo sciopero, nelle vicinanze avevano sede diverse grandi aziende, in maggior parte situate in una zona di circa dieci chilometri a nord. Un abitante di Novocerkassk su dieci lavorava, quindi, alla NEVZ, e probabilmente uno su cinque se si considerano solo gli adulti in età da lavoro. Così, non solo la popolazione ne era a conoscenza, ma era direttamente interessata a tutto ciò che riguardava le "sue" fabbriche. Questo spiega il carattere massiccio della protesta e della contestazione estesa all'intera zona.

Le condizioni di lavoro alla NEVZ, una fabbrica costruita negli anni '30, erano già abbastanza cattive in tempi "normali", a tal punto che, dopo la decisione di Khrushchëv di abolire il divieto di lasciare un lavoro per cercarne un altro, la direzione aziendale ebbe grandi difficoltà a trattenere la manodopera. Come per molte altre in tutto il paese, dovette assumere anche ex detenuti per reati di diritto comune.

Poco prima dello sciopero, in vari reparti 200 lavoratori erano rimasti intossicati. In un settore, altri 200 si erano rifiutati di lavorare per tre giorni, chiedendo migliori condizioni di lavoro. Non essendoci spogliatoi, la maggior parte dei lavoratori doveva lasciare i propri vestiti vicino ai macchinari. E anche se la fabbrica contava otto mense, esse erano in condizioni così misere che una dovette rimanere chiusa per sei mesi. Ottenere cibo caldo era difficile e addirittura impossibile nel turno di notte. Poi fu scoperto che i fondi destinati a migliorare la situazione erano stati sottratti dalla direzione.

Come in molte imprese, l'appartenenza al partito unico, il cosiddetto Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), dava la speranza di qualche vantaggio o promozione: si dice che la fabbrica avesse 1.400 membri del partito e 2.400 membri del Komsomol, la sua organizzazione giovanile.

I funzionari del partito erano presenti per controllare i lavoratori e assicurarsi che accettassero il loro destino senza protestare. All'inizio del 1962, il nuovo direttore della fabbrica Kuroshkin aveva deciso che gli operai dovevano aumentare considerevolmente la loro produzione per avere un salario completo. Poiché queste nuove direttive erano impossibili da attuarsi senza investimenti e miglioramenti delle attrezzature, si traducevano, in realtà, in un taglio del 30% dei salari. L'introduzione di questo sistema di premi individuali e di salari legati al rendimento, che era stato favorito da Khrushchëv per diversi anni, era stata evitata fino a quel momento, forse per timore della reazione dei lavoratori da parte della direzione della NEVZ

Lo scoppio dello sciopero

La mattina del 1° giugno, indignati dall'annuncio dell'aumento dei prezzi, una dozzina di lavoratori si presentarono in fabbrica mezz'ora prima del loro turno, decisi a condividere la loro rabbia con i compagni di lavoro.

Diversi funzionari del partito locale, poi il capo della fonderia e infine Kouroshkin stesso diedero l’ordine di disperdersi agli operai, il cui numero stava crescendo. Fu invano. Gli operai parlarono delle loro condizioni di lavoro, della mancanza di indumenti protettivi, del degrado delle case, e chiesero un aumento dei salari. Il direttore, pieno di arroganza, rispose a un operaio: "Se non ci sono abbastanza soldi per la carne e la salsiccia, potete mangiare pirojki" [2]. Il discorso rese furiosi gli operai e li fece entrare in sciopero. Alcuni girarono nei reparti per invitarli a partecipare, e altri si recarono nelle aziende della zona con lo stesso intento.

Quando gli scioperanti suonarono la sirena che segnalava l'inizio e la fine della giornata lavorativa, la notizia dell'azione si diffuse a macchia d'olio: 6.000-7.000 lavoratori dei dintorni si unirono ai 2.500-3.000 scioperanti della NEVZ. Si assembrarono al grido di: "Carne, burro, salari più alti!". Questo slogan, scritto su un grande cartello in cima a un traliccio elettrico, sarebbe diventato il leitmotiv dello sciopero.

Poco dopo mezzogiorno, i lavoratori si installarono sui binari della ferrovia, sperando di fare conoscere il loro movimento anche oltre la città. Un treno passeggeri fu bloccato. Gli scioperanti scrissero le loro richieste sui vagoni e la frase umoristica "Facciamo di Khrushchëv una salsiccia!" fu ripresa più volte.

Ancora i funzionari locali del partito e del KGB non riuscirono a sgomberare i binari e a convincere i manifestanti che gli aumenti dei prezzi erano temporanei e necessari per consentire l’aumento della produzione di carne e latticini. E neanche furono capaci di impedire che i lavoratori ascoltassero quelli che li chiamavano a scioperare. Ma l'apparato locale del partito non era rimasto inattivo anche se aveva perso il controllo.

Un pericolo avvertito ai più alti livelli della burocrazia

Venti minuti dopo lo scoppio dello sciopero, il Cremlino fu informato della situazione e inviò diversi funzionari di alto livello, tra cui due membri del Presidium, il nuovo nome dell'Ufficio Politico. Si trattava di Mikoïan, il primo vice presidente del Consiglio dei Ministri, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella repressione della rivoluzione operaia di Budapest nel 1956, e Kozlov, stretto collaboratore di Khrushchëv ed ex capo del KGB. Dopo alcune ore di esitazione, Bazov, primo segretario del partito della regione di Rostov, di cui Novocerkassk faceva parte, membro del Comitato Centrale e del Soviet Supremo, a sua volta, ricorse al comandante del distretto militare del Caucaso del Nord per l’invio di truppe. Anche le unità del Ministero degli Affari Interni (MVD) furono mobilitate. Infine, il capo del KGB della regione e decine, o addirittura centinaia, di agenti della polizia politica, alcuni vestiti da operai, arrivarono sul posto, accompagnati da membri della milizia locale. Esaminarono e fotografarono chiunque potesse sembrare un capo della rivolta.

Alle 16, i funzionari del partito e il direttore della fabbrica si incontrarono nella sede del comitato cittadino del partito (gorkom). Rivolgendosi alla folla da un balcone, Bazov ricordò la sua difficile gioventù da orfano e, senza dire nulla sulla situazione dei lavoratori, giustificò le misure a cui si opponevano. Gli scioperanti Essi gridarono: "Non siamo analfabeti, abbiamo letto l'appello, ma diteci come vivere con salari ridotti e prezzi in aumento!". Furono lanciati sassi e altri oggetti. Bazov e gli altri burocrati si rifugiarono nell'edificio e vi si barricarono. Ne poterono uscire solo al calar della notte con l’aiuto di membri delle unità speciali.

Allora le autorità decisero di passare ad una dimostrazione di forza. Schierarono duecento poliziotti sulla piazza principale, che dovettero indietreggiare di fronte alla linea formata dai lavoratori, determinati a reagire e che gridavano la loro rabbia. Verso le 20, furono i militari a gettarsi nella mischia con i loro furgoni blindati. Bloccati dalla folla venuta loro incontro, indietreggiarono accompagnati da beffe, risate e i fischi.

Così i lavoratori tennero un meeting che durò diverse ore e dal quale emerse un senso di orgoglio e di forza. Rimaneva, però, un problema chiave da risolvere: come vincere. Gli scioperanti temevano una reazione brutale da parte delle autorità, che avevano tagliato le vie d’accesso alla città. Così prevalse l'idea di indire una manifestazione di massa per mostrare la forza numerica e la solidarietà dei lavoratori. Ma la questione dell'organizzazione e della direzione del movimento non fu veramente posta né risolta.

Durante la notte, le autorità disposero tremila uomini in punti strategici della città. La fabbrica di locomotive fu messa sotto sorveglianza militare e istituito il coprifuoco. Gli studenti furono confinati nelle residenze universitarie, poiché le autorità avevano saputo dai loro informatori che alcuni volevano unirsi ai lavoratori. Venti persone identificate come possibili capi furono arrestate e alla fine liberate, tranne due che la milizia espulse dalla città. Il rapporto di forza sembrava così ristabilito a favore delle autorità.

Il massacro del sabato 2 giugno

Quando il turno del mattino scoprì la fabbrica sotto occupazione militare, gli operai rifiutarono di prendere il loro posto. Uno di loro, che era stato assente il giorno prima, indisse uno sciopero nella sua officina e in quelle dove stavano ancora lavorando, spiegando: "Da 40 anni decidono per noi, senza poterci esprimere, la nostra pazienza sta finendo. (...) La politica del partito e del governo sovietico sull’alimentazione dei lavoratori è sbagliata"[3].

Gli operai si sparsero di nuovo sui binari delle ferrovie e, grazie alle delegazioni inviate alle altre fabbriche, centinaia di lavoratori raggiunsero gli scioperanti, formando un corteo di circa duemila lavoratori. Ma quindici carri armati e numerosi soldati bloccavano l'unico ponte che portava alla città. Quando l'ufficiale al comando volle rivolgersi alla folla, questa rifiutò di ascoltarlo. Il corteo si divise: una parte scese lungo l'argine e attraversò il fiume e l'altra si precipitò sul ponte travolgendo i soldati e la linea dei carri armati. Gli autisti dei blindati, forniti di munizioni, non reagirono. Nessuna delle manichette antincendio posizionate sull'altra sponda fu attivata e la colonna continuò ad avanzare.

Nessuno può dire oggi se l'esercito aveva avuto l'ordine di non sparare come uno dei generali presenti affermò più tardi e o se fu la determinazione e il numero dei manifestanti a convincere i soldati a non aprire il fuoco. Ma la fiducia in se stessi dei lavoratori era cresciuta. Si sentirono le parole de L’Internazionale. Sfidando gli ordini, molti giovani si unirono alla marcia, rafforzando il corteo che contò tra 5.000 e 12.000 persone.

Alle 10.30 la folla raggiunse la piazza centrale e si fermò davanti al comitato cittadino del partito, che era sorvegliato da centinaia di soldati, uomini del KGB e carri armati. I lavoratori pretesero che i dirigenti venuti da Mosca ascoltassero le loro richieste. Il capo del partito di Novocerkassk cercò di parlare, ma fu immediatamente bersagliato con pezzi di legno e pietre. I rappresentanti di Mosca rifiutarono di presentarsi davanti alla folla, scatenando la sua rabbia. I manifestanti, non credendo che l’edificio fosse vuoto, sfondarono i cordoni di soldati che bloccavano l'ingresso. Alcuni travolsero tutto quello che trovavano, altri raggiunsero il balcone dove innalzarono un ritratto di Lenin e sventolarono una bandiera rossa. Poi gli oratori ribadirono le richieste dei manifestanti. Uno di loro, esibendo una bottiglia di vodka famosa e un prodotto alimentare importato trovato sul posto, esclamò: "Guardate tutte le belle cose che hanno mentre noi non abbiamo niente". In assenza di un piano chiaro e di una vera organizzazione, emergeva una certa confusione e gli interventi a volte erano aggressivi, a volte moderati e composti.

Alcune decine di manifestanti andarono al quartier generale della milizia, convinti che i loro compagni arrestati vi fossero ancora detenuti. Dopo una prima raffica in aria, le milizie spararono altri colpi, creando il panico e la reazione dei lavoratori. Decine di persone furono arrestate e altre uccise.

A mezzogiorno, il gorkom era rimasto nelle mani di coloro che lo avevano occupato. Gli agenti del potere sgomberarono la piazza e l’edificio senza resistenza. I cecchini erano appostati sui tetti, mentre altri soldati pesantemente armati si posizionavano a pochi metri dalla folla. L'ordine di disperdersi fu dato dal balcone. Qualcuno rispose: "tu chi sei per dare questo ordine?" Poi verso le 12.30 i soldati scaricarono le armi sui manifestanti. Ma altri colpi furono sparati contro di loro, trasformando la piazza nella scena di un massacro. Agenti del KGB e miliziani portarono i corpi all'obitorio, e poi li seppellirono sotto falso nome in luoghi che la polizia avrebbe rivelato solo 30 anni dopo. I bossoli erano sparsi sul pavimento acciottolato, così impregnato di sangue da dover essere coperto con uno strato di asfalto due giorni dopo per cancellarne le tracce.

Secondo il bilancio fatto molto più tardi, 24 persone furono uccise o morirono per le ferite riportate, 69 furono colpite gravemente, molte delle quali subirono amputazioni o rimasero paralizzate, e molte furono ferite in modo lieve: la stragrande maggioranza erano lavoratori NEVZ tra i 18 e i 35 anni.

Tuttavia questo bagno di sangue non pose fine alla mobilitazione dei lavoratori, che furono accusati da Mikoïan e dai suoi accoliti di essere "teppisti", criminali senza coscienza e provocatori.

Ignorando il divieto di fare tutte le riunioni, centinaia di lavoratori si radunarono il giorno dopo per chiedere il rilascio dei loro compagni. Per coprire le loro voci, le autorità accesero gli altoparlanti installati nelle strade come nella maggior parte delle città sovietiche, e trasmisero musica e discorsi di Mikoïan e Khrushchëv in riferimento alla crisi internazionale con gli Stati Uniti a proposito di Cuba. Nel pomeriggio, furono diramati altri discorsi minacciosi, affermando che "l'ordine normale" sarebbe stato ripristinato "con ogni mezzo necessario".

Queste minacce e l’insediamento delle forze armate nella città non bastarono a terrorizzare tutti. Così, 240 persone furono arrestate per non avere rispettato il coprifuoco nella notte tra il 3 e il 4 giugno, e poi, per vari motivi, altre centinaia nelle settimane seguenti. La ripresa del controllo fu anche avviata all’interno delle aziende.

Poco dopo vi fu il licenziamento del direttore della NEVZ, seguito dalla sua esclusione dal partito, che la burocrazia non aveva voluto concedere a nessun prezzo sotto la pressione dei lavoratori in sciopero. Seguendo uno schema collaudato da decenni, alcuni organizzatori diretti del massacro furono trasferiti e i dirigenti locali del partito fecero la loro autocritica in piccoli gruppi. Ma si fece di tutto affinché questa repressione, ordinata ed eseguita dal più alto livello del partito e dello stato, probabilmente con il via libera di Khrushchëv, rimanesse segreta. Infine, dall'agosto al settembre 1962, più di cento persone furono processate con procedure accelerate.

Con le accuse di "disordini di massa", "sommosse", "atti di distruzione", "incendio doloso" e "resistenza armata all'autorità", sette lavoratori furono condannati alla fucilazione, gli altri a pene tra 10 e 15 anni di prigione o alla deportazione in Siberia.

L'accanimento dei servizi che proteggevano la burocrazia fu senza tregua. Nel 1990 fu assassinato per strada Piotr Siuda, un operaio che aveva scontato diversi anni di prigione per la sua partecipazione allo sciopero, poi aveva condotto per due decenni una campagna in nome degli ideali dell'ottobre 1917 per far luce su questo massacro. Gli assassini, evidentemente molto ben informati, ne approfittarono per impadronirsi della sua borsa, che conteneva alcuni dei documenti che aveva raccolto sui fatti di Novocerkassk. Suo padre, che aveva aderito al partito bolscevico nel 1903, era stato lui stesso giustiziato durante le purghe staliniste nel 1937.

Il contesto politico ed economico

Lo sciopero di Novotcherkassk si svolse in un momento in cui l'economia sovietica, e in particolare l'agricoltura, era in una situazione difficile e Nikita Khrushchëv si atteggiava come il grande riformatore dell'URSS dopo la sua salita al potere nel 1956. Ma anche se in molte città dell'Unione Sovietica ci furono espressioni di malcontento dei lavoratori e della popolazione all'annuncio dell'aumento amministrativo dei prezzi nel giugno 1962, con distribuzioni di volantini, manifesti e iscrizioni che furono diligentemente segnalati dal KGB, da nessuna parte le manifestazioni assunsero la portata dei fatti di Novocerkassk.

Benché avesse servito con zelo Stalin e avesse fatto parte della stretta cerchia dei suoi luogotenenti più importanti, Khrushchëv scelse, per affermarsi come capo supremo della burocrazia dopo la morte del dittatore nel marzo 1953, di denunciare quello che chiamava il culto della personalità, e il regime di terrore che Stalin aveva instaurato nel partito comunista, anche contro i burocrati più anziani. Si rivolgeva ai suoi colleghi come l’uomo che potevano sostenere senza temere per le loro carriere o addirittura per le loro vite. La riscrittura della storia del regime da parte di Khrushchëv al XX Congresso della PCUS del 1956, fu sensazionale, accompagnata dalla liberazione di milioni di prigionieri dei Gulag o dalla pubblicazione di opere di autori precedentemente considerati nemici pubblici. Ma quella che fu chiamata de-burocratizzazione non lo era affatto e nemmeno ne segnava l'inizio come alcuni volevano credere, anche in Occidente, tra correnti che si presentavano come di estrema sinistra, o addirittura trotskiste. La burocrazia non poteva riformarsi da sola. Né poteva riformare il proprio sistema, anche in quello che avrebbe potuto essere il proprio interesse collettivo. Khrushchëv non ci riuscì e questo portò al suo rovesciamento da parte dei suoi pari nell'ottobre 1964, preannunciando, in un certo modo, quello che sarebbe successo suo lontano successore, Gorbaciov due decenni dopo.

Il XXI Congresso del PCUS, tenutosi nell'ottobre 1961 sotto la guida di Khrushchëv, aveva proclamato la "fine della dittatura del proletariato" e l'avvento dello "stato di tutto il popolo", ma questo cambiamento di formula non cambiò la realtà sociale, la vita quotidiana dei lavoratori e la permanente disfunzione dell'economia sovietica, di cui sopportavano gli effetti.

Il blocco dell’ondata rivoluzionaria del 1918-1923 da parte della borghesia, poi la politica del socialismo in un solo paese guidata da Stalin e la burocrazia emergente dalla metà degli anni '20 in poi, avevano in un certo senso condannato l'economia dell'Unione Sovietica, decollata in un ambiente ostile, a procedere alla cieca. Essenzialmente tagliata fuori dalla divisione internazionale del lavoro, l'URSS poteva partecipare al commercio mondiale solo in posizione subordinata, accettando, in particolare, i prezzi fissati dal mercato, dai grandi gruppi capitalisti. Inoltre, dovette destinare una quota gigantesca della ricchezza prodotta dalla sua classe operaia e dai contadini dei kolkhoz all'acquisto di mezzi militari per allontanare le minacce dell'Occidente capitalista sempre presenti,. Tutto ciò mise ancora di più a dura prova il bilancio statale, impedendogli così di sostenere l'economia statalizzata.

Accantonata la prospettiva rivoluzionaria, chiusa dentro le sue frontiere, protetta dal suo apparato statale, timorosa di tutti i movimenti propri della classe operaia sia all'interno che all'estero, la burocrazia aveva sviluppato tratti sempre più parassitari e repressivi. La sua proliferazione a danno della società sovietica e la sua natura fondamentalmente controrivoluzionaria avevano finito per paralizzare la formidabile leva di sviluppo economico e sociale quale era stata la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e la pianificazione dell'economia dopo la rivoluzione del 1917.

I tassi di crescita della produzione che queste avevano reso possibili e che avevano elevato l'URSS al rango di grande potenza industriale, continuarono a rallentare nettamente dalla metà degli anni '50 e regrediva anche la produzione agricola, soprattutto quella di cereali. La produttività del lavoro rimaneva notoriamente insufficiente.

Khrushchëv ebbe la pretesa di rispondere a questa situazione con il lancio nel 1954 della cosiddetta politica delle Terre Vergini. Centinaia di migliaia di lavoratori, gran parte dei giovani, e quasi un quinto del bilancio dell'URSS furono mobilitati per colonizzare nuovi terreni agricoli in Kazakistan, nella regione del Volga, in Siberia e negli Urali. Presentati dalla propaganda come un enorme successo sulla base di cifre in parte falsificate, questi sforzi non risolsero per niente i problemi strutturali dell'agricoltura sovietica.

L'industria, nonostante la sua espansione, rimaneva incapace di fornire macchine agricole in numero sufficiente, e soprattutto di buona qualità, che limitavano, perciò, i rendimenti della terra. Nel 1958 la liquidazione da parte di Khrushchëv delle stazioni di macchinari e trattori (MTS) che prestavano i loro mezzi alle fattorie collettive, e la loro trasformazione in semplici officine di riparazione, non portarono ad una maggiore efficienza.

L'incuria dei burocrati ha fatto il resto, per esempio, lasciando marcire grandi quantità di grano o di carne. Per non parlare della vecchia pratica dei burocrati di redigere resoconti falsi o addirittura infondati su fantastici raccolti di grano o cotone, latte, uova, patate, mais o produzioni di carne, senza alcuna ricaduta sull'offerta dei negozi, e quindi sulla popolazione.

Fu in questo contesto che nel maggio 1962 Khrush­chëv decise di aumentare considerevolmente il prezzo di alcuni prodotti alimentari affermando, però, che questo rialzo temporaneo era un presupposto per una diminuzione a più lungo termine. In un certo senso era un'ammissione di fallimento della sua politica. Nonostante le proteste e le rivolte che avevano fatto seguito a misure simili in Polonia e nella Germania orientale nel 1953, i capi della burocrazia russa erano solo preoccupati di spremere ulteriormente i lavoratori.

Le lezioni dello sciopero

L'esplosione di rabbia a Novocerkassk aveva mostrato ai dirigenti sovietici che una parte dei lavoratori di questa città non voleva più subire la politica di restrizioni imposta dalla burocrazia per garantire i suoi privilegi. Un sentimento senza dubbio condiviso da molti lavoratori nel resto dell'Unione Sovietica, che avevano imparato a giudicare il regime dalle sue azioni.

Questi operai si opponevano ai capi del partito e ai dirigenti, chiedevano aumenti salariali, manife­stavano senza lasciarsi fermare dai posti di blocco dell'esercito o dai carri armati, innalzavano bandiere rosse e ritratti di Lenin, mostrando così una certa fiducia in ciò che sapevano della rivoluzione comunista del 1917 che aveva liberato il paese dalla borghesia. Per queste ragioni la burocrazia temeva giustamente per il suo regime e i suoi privilegi. Il cineasta Andrei Koncialovsky, nato nel 1937, cresciuto e formato in un ambiente vicino al Cremlino, ne ha avuto qualche riscontro all'epoca? In ogni caso, il suo film evidenzia il panico che attanaglia i burocrati grandi e piccoli quando la classe operaia alza la testa.

La repressione che stroncò lo sciopero del 1962 fu pari al suo potenziale: la classe operaia era l'unica forza capace di liberare la società sovietica dalla casta parassitaria che si era impadronita del potere statale per oltre tre decenni. E rimase l'unica classe che avrebbe potuto impedire all'URSS di disgregarsi e a una borghesia di emergere dalle rovine della burocrazia al potere.

Al contrario la tragedia di Novocerkassk ci dimostra anche che se la pianificazione è l'unico modo per porre fine alle crisi e alla marcia caotica dell'economia capitalista, può dispiegare tutte le sue capacità, e quindi funzionare realmente nell'interesse della popolazione, solo se è basata su una piena democrazia operaia. La libertà di discussione, di controllo e di intervento permanente dei lavoratori, dei consumatori e di tutti gli strati popolari sono i presupposti essenziali per la produzione al fine di soddisfare i bisogni di case, di prodotti alimentari,di trasporti di sanità, d’educazione e tanti altri. La casta burocratica non ne poteva consentire lo sviluppo in URSS senza mettere in discussione la sua autorità, il suo dominio e i suoi privilegi.

Ma nell'URSS del 1962, e per molto tempo, gli operai non ebbero un'organizzazione, un partito, che avesse chiaramente l'obiettivo di difendere gli interessi generali della loro classe, con l’abbattimento della burocrazia sovietica per rifondare la democrazia proletaria sulle basi che le erano state proprie nel 1917, e poi nella Russia dei soviet all'epoca di Lenin e Trotsky.

Più che il massacro della domenica di sangue del gennaio 1905, preludio della prima rivoluzione russa, la tragedia di Novocerkassk ricorda la fucilazione, avvenuta nel marzo 1912, appena mezzo secolo prima, di centinaia di minatori della Lena in sciopero, che protestavano contro il modo ignobile in cui venivano nutriti. Ma oltre alle somiglianze, la ferocia della repressione, le cause "alimentari" dello sciopero che accomunano questi due casi, esiste una grande differenza. Gli eventi del 1905 e del 1912 non avevano spento la protesta dei lavoratori, ma al contrario le avevano dato un forte impulso. Sappiamo quale ruolo decisivo ebbe la rivoluzione russa del 1905.

Il massacro della Lena, non solo segnò una chiara rinascita della combattività operaia in Russia dopo la repressione della rivoluzione del 1905, ma rafforzò la coscienza del proletariato.

Per trarne tutte le lezioni, per rafforzare la volontà di porre fine all’assolutismo zarista e al dominio della borghesia servì, in particolare, la campagna su larga scala condotta dai bolscevichi verso tutta la classe operaia e la gioventù intellettuale. In breve, la differenza tra questi primi eventi e quelli di Novocerkassk sta nell'esistenza nel 1912 di un partito operaio comunista rivoluzionario, il partito bolscevico. Lo stesso partito, nel 1917 e poi durante la guerra civile, avrebbe portato i lavoratori a prendere il potere e cominciare a costruire il primo stato operaio della storia.

Ma dalla metà degli anni '20, il rullo compressore della reazione burocratica aveva schiacciato tutto ciò che avrebbe potuto svolgere il ruolo del partito bolscevico, in particolare nell'URSS del 1962 a Novocerkassk. La degenerazione burocratica dello stato sovietico aveva trasformato il PCUS in uno strumento per il dominio della casta dominante e la difesa dei suoi interessi contro la classe operaia. Ciò che nel PCUS e nell'URSS di Stalin rimaneva di autenticamente comunista, rappresentato dalle decine di migliaia di militanti trotskisti dell'Opposizione di Sinistra, fu sistematicamente sterminato dallo stalinismo alla fine degli anni '30.

Nel 1962 quindi, la classe operaia sovietica non aveva più alcun partito nemmeno in embrione che le avrebbe potuto offrire prospettive concrete per combattere la burocrazia e ristabilire il vero potere dei lavoratori. Oggi rimane da ricostruire un tale partito contro il potere di Putin, dei burocrati-affaristi e degli sfruttatori che protegge.

Gli attuali governanti russi possono ornare di fiori il monumento alle vittime della repressione del 1962, seguendo l'esempio di Khrushchëv che fingeva di piangere le vittime di Stalin ed erigeva per loro opere commemorative mentre mandava i carri armati contro i lavoratori ungheresi, e poi contro quelli di Novocerkassk. Ma l'ordine sociale dei lontani eredi politici di Stalin e Khrushchëv rimane fondamentalmente antioperaio.

15 ottobre 2021

[1] I capi della burocrazia lo sottolinearono in seguito per screditare gli scioperanti. Infatti, milioni di lavoratori, condannati durante lo stalinismo a pene di diritto comune per inosservanza della "disciplina del lavoro" (come il ritardo in fabbrica) o piccoli furti in officina, erano appena stati liberati dal campo con la "de-stalinizzazione". Era vietato loro di vivere nei grandi centri e potevano trovare lavoro solo nelle fabbriche e nei cantieri delle province.

[2] Molti cartelli e slogan degli scioperanti chiedevano salsicce, più raramente carne. Infatti, anche quando le autorità parlavano di carne, fornivano soprattutto salsicce, spesso di scarsa qualità. Il consiglio del direttore di mangiare pirojki, ossia piccole torte di fegato che non sono un piatto principale, era pieno di disprezzo sociale.

[3] Fu uno dei sette condannati a morte alla fine dello sciopero.