Questo articolo risulta da una relazione fatta durante un dibattito alla festa di Lutte ouvrière il 31 maggio 2023 tra militanti e lavoratori del settore auto.
Oggi nel settore automobilistico, la situazione è tale per cui i padroni stanno contemporaneamente guadagnando miliardi e portando avanti una vasta offensiva contro i lavoratori.
Recentemente, il settore ha attraversato alcune situazioni difficili, come ad esempio durante la pandemia con la disorganizzazione della produzione per la carenza di chip elettronici a livello globale, poi la guerra in Ucraina con la quale molti subappaltatori hanno dovuto interrompere la produzione… Nonostante tutto, i capitalisti dell’automobile non hanno mai fatto tanti profitti rispetto ad oggi. Il tempo delle sovvenzioni
Tutte le case automobilistiche stanno facendo enormi profitti. La Toyota stava già rastrellando profitti pari a circa 20 miliardi di euro l'anno e ora a battere ogni record è il gruppo Stellantis, che solo nel 2022 ha registrato un utile netto di 17 miliardi di euro. Sono cifre da capogiro, e le case automobilistiche annunciano ogni trimestre cifre da record.
Naturalmente arriva il denaro pubblico in varie forme, dall’Unione europea, dagli Stati o dalle Regioni. Si tratta di sussidi di ogni tipo con cui il denaro pubblico si trasforma in profitti privati. Per esempio le sovvenzioni per una auto Zoe della Renault sono arrivate fino a 10.000 euro di bonus, come aiuto alla conversione per ogni auto, mentre ne producevano una al minuto… Lo si può moltiplicare per il numero di auto prodotte e per il numero di costruttori.
Ai lavoratori si parla sempre di imprenditorialità e di libera impresa, si spiega che gli azionisti sono investitori che meritano i loro dividendi perché prendono rischi. Non è vero perché per i grandi gruppi, lo Stato è una grande ruota di scorta, che può assorbire le perdite in caso di difficoltà e garantire i profitti.
Lo sfruttamento dei lavoratori
Questi profitti provengono anche direttamente dallo sfruttamento di milioni di proletari che lavorano in tutto il mondo per l'industria automobilistica. Lo sfruttamento è peggiorato ovunque: in Francia, Italia, Romania, Marocco, Turchia, Stati Uniti e Germania. In questo settore, tutti gli stabilimenti hanno conosciuto una diminuzione dell’organico.
Alla Renault di Tangeri in Marocco, l’organico è cresciuto fino a 8.000 lavoratori con il successo della Logane nel 2015. Oggi è sceso a meno di 6.500. In Russia, la fabbrica di Togliatti aveva 102.000 dipendenti quando è stata acquistata dalla Renault nel 2008, ed era scesa a 35.000 lavoratori prima della guerra in Ucraina. La Renault in Romania era arrivata fino a 17.000 dipendenti e oggi sono poco più di 10.000. In Francia la Renault di Flins contava 6.000 dipendenti nel 2000, oggi sono meno di 2.500 lavoratori.
Lì si sta parlando della Renault, ma questo succede dappertutto come lo possono testimoniare i compagni degli altri gruppi. Ci sono migliaia di tagli di posti di lavoro, ad esempio alla Stellantis in Francia, negli Stati Uniti. In Italia i tagli all’organico sono continui. Da 50000 dipendenti all’inizio del 2021 nel settore auto, si dovrebbe arrivare a meno di 45000 a fine 2023, ossia il 10% in meno in tre anni. Da 7000 dipendenti all’inizio del 2022, la fabbrica di Melfi, nel Sud, dovrebbe arrivare a non più di 3500 nel 2024.
Oggi le auto vanno costruite e assemblate con meno lavoratori e più velocemente. I ritmi di produzione sono aumentati fino all'impossibile causando stress, infortuni, malattie… La precarietà si diffonde in vari modi: il lavoro interinale, il ricorso al subappalto e ai servizi esterni. I salari, invece sono mantenuti al livello più basso possibile. Addirittura in alcuni Paesi, come la Turchia, i salari di Renault, Ford, Toyota, Fiat-Stellantis e di molti subappaltatori sono stati dimezzati a causa dell'inflazione. Un operaio al minimo salariale presso la fabbrica Renault di Bursa percepiva l’equivalente di 500 euro al mese cinque anni fa, oggi non prende nemmeno 400 euro.
In Francia i salari del settore sono stati praticamente congelati per 10 anni. Gli aumenti di quest'anno non compensano nemmeno l'inflazione dello scorso anno, con il 3 o 4%, mentre l'inflazione ufficiale è del 6%. A tal punto che quello che poteva esistere in passato, cioè la sensazione di lavorare tutto sommato in una "buona azienda" sta scomparendo e viene sostituito dalla diffidenza verso il padrone. Le cosiddette categorie dei colletti bianchi sono trattate alla stregua degli operai.
I lavoratori interinali
I lavoratori interinali, che cercavano di ottenere contratti a tempo indeterminato, oggi non ne hanno più la stessa voglia per le condizioni di lavoro spesso più dure e i salari più bassi. Nella fabbrica di Flins, per esempio, non è raro sentire i lavoratori temporanei dire: "È inutile prolungare il mio contratto, me ne vado!" Forse non siamo ancora alla stessa carenza di manodopera che si vede nel settore alberghiero e quello della ristorazione, ma vuol dire che alcune difficoltà di reclutamento cominciano ad apparire per i padroni.
Di fronte all'aggravarsi dello sfruttamento, i lavoratori stanno resistendo con scioperi, spesso in piccoli settori e talvolta nell'intera fabbrica. Ma nel complesso, nell'industria automobilistica come nel resto della società, per ora sono i padroni che stanno conducendo una guerra di classe e la stanno parzialmente vincendo. Naturalmente, questa battaglia non è finita.
La concorrenza
La ricerca del profitto è ancora più sfrenata con la concorrenza sempre più feroce che si svolge tra i grandi gruppi, esacerbata dall'emergere di un nuovo mercato. Questo nuovo mercato è quello del veicolo elettrico, spinto da tutti i governi che stanno cercando di salvare l'automobile dalla crescente pressione per la protezione dell'ambiente. Questa competizione spinge tutti i produttori a lanciarsi nella produzione di auto elettriche. Renault e Stellantis hanno annunciato che entro il 2030 tutti i loro veicoli prodotti in Europa saranno veicoli elettrici. L'Unione europea ha annunciato la messa al bando dei veicoli a motore termico per il 2035. Naturalmente in questa passione per l’elettrico la lotta contro l’inquinamento c’entra ben poco. I capitalisti del settore sono preoccupati per il modo in cui potranno comunque continuare a fare profitti. In questo campo, come in tutti i settori dell'economia capitalista, i loro calcoli sono sempre a brevissimo termine.
Le conseguenze
Quali saranno le conseguenze di questa nuova corsa al profitto? Quali saranno le conseguenze della distruzione di intere regioni con la ricerca di minerali rari per le batterie? La produzione globale di elettricità sarà sufficiente? Quali saranno le conseguenze di un aumento della produzione globale di energia elettrica, di cui il 60% è attualmente prodotto con energie fossili? Ci saranno abbastanza punti di ricarica? Cosa succederà con la grande quantità di batterie lanciata sul mercato?
A tutte queste domande i padroni del settore non hanno risposte, e non è un loro problema. La loro preoccupazione è capire come potranno fare profitti! Sanno che c'è qualcosa da guadagnare e che se non saranno loro, sarà il concorrente. Quindi devono lanciarsi nella competizione.
Le conseguenze saranno pagate dalla popolazione con la sua salute, a cominciare dai bambini di 10-12 anni che lavorano nelle miniere del Congo per estrarre il cobalto per queste famose batterie. Le conseguenze saranno pagate dai lavoratori stessi, con lo sfruttamento, la chiusura di impianti e tutte le spese della loro riconversione. Si dice che gli investitori rischiano, e infatti rischiano… con la pelle dei lavoratori e alle loro spese.
E poi chi pagherà? In Francia, il prezzo medio di un veicolo è passato da 20.000 a 27.000 euro nel giro di 10 anni. Questo era già chiaro, e l’evoluzione si è ulteriormente accelerata dopo la crisi sanitaria. I prezzi sono aumentati del 21% in due anni, secondo gli specialisti.
I costruttori hanno tutti il sostegno dei rispettivi governi. Per sostenerli, l'Unione Europea si sta preparando a contribuire con 350 miliardi di euro, e gli Stati europei sono un po’ in ritardo per mettersi d’accordo, mentre negli Stati Uniti Biden ha messo sul tavolo 450 miliardi di euro per "attirare" i produttori dalla sua parte dell’Atlantico e ci sta effettivamente riuscendo. attirando aziende del settore. In questa gara, anche la Cina ha ormai qualche vantaggio.
Quindi assistiamo ad una grande corsa di velocità tra i grandi gruppi. È una gara per accaparrarsi le sovvenzioni e le opportunità offerte dai governi. È anche una corsa alla riorganizzazione dei centri di produzione sulle spalle dei lavoratori: rafforzando lo sfruttamento, tagliando la forza lavoro o addirittura chiudendo gli stabilimenti.
I licenziamenti a venire
I padroni dell'automobile non solo riceveranno miliardi di euro di sovvenzioni pubbliche, ma allo stesso tempo si preparano ad aumentare lo sfruttamento e a sopprimere posti di lavoro, approfittando della transizione verso le auto elettriche, che richiedono meno lavoratori, almeno negli stabilimenti di montaggio.
La Stellantis ha già annunciato il taglio di migliaia di posti di lavoro negli Stati Uniti, in Italia e in Francia. In Francia vogliono tagliare più di 2.000 posti di lavoro negli stabilimenti di Metz e Tremery. Anche la Renault si prepara. Dopo aver chiuso le fonderie nel Giura, nel Poitou, la GMS e lo stabilimento di Choisy, ora sta dividendo il gruppo in diverse entità, dedicando la produzione dei veicoli elettrici ad un settore chiamato "Ampère", e le altre produzioni al settore chiamato "Horse". Sta dividendo le fabbriche e gli stabilimenti in più pezzi e gli operai si troveranno a dover andare a lavorare da "Ampère", oppure da "Horse", da "Cavallo" o chissà quale altra entità. Anche se lo schema non è ancora molto preciso, diverse migliaia di posti di lavoro sono minacciati.
Alla fabbrica Renault di Flins, la spartizione è in corso, anche se i padroni non vogliono ancora rivelare tutti i loro piani ai lavoratori. Hanno annunciato la vendita dei terreni della fabbrica. Lo stabilimento ha una superficie di 232 ettari (come paragone, la superficie del principato di Monaco è di 202 ettari), la maggior parte dei quali è in vendita. In due anni, la forza lavoro è scesa da 4.000 a 2.200 unità.
Alcuni stabilimenti sono ormai delle filiali del gruppo, come la fabbrica di Douai, dove viene prodotta l'auto elettrica R5. Questo stabilimento non è più uno stabilimento Renault, ma una sua filiale "Electricity". A Bursa, in Turchia, Renault ha dato in subappaltato la produzione della Megane.
La direzione di Renault vuole smembrare il gruppo per adattarsi meglio a un futuro incerto, in modo da potersi sbarazzare di qualche pezzo se necessario. Ciò di cui si può essere sicuri è che gestirà la situazione nel suo proprio interesse, qualunque sia il costo per i dipendenti, e tutto per il bene e per i profitti dei grandi azionisti!
La concorrenza tra i lavoratori
Per portare a termine i loro piani, i padroni stanno cercando di dividere i lavoratori, di creare una concorrenza tra loro; i lavoratori di un paese contro quelli di un altro, quelli di una fabbrica contro quelli di un'altra, di un'officina contro quelli di un’altra e a volte anche una squadra di lavoratori contro un'altra. Per esempio, le piccole auto elettriche della Renault venivano prodotte a Flins, poi la direzione ha deciso di "trasferirle" a Douai. Così i lavoratori di Flins e Douai dovrebbero essere in concorrenza tra loro e chiedersi quale delle due fabbriche dovrebbe chiudere.
Poiché le auto elettriche potrebbero richiedere meno lavoro, si dovrebbe licenziare le persone, lasciare famiglie senza lavoro, condannandole alle privazioni, alla miseria e al disagio? Si dovrebbe chiedere o sperare che il padrone chiuda tutte le fabbriche tranne la nostra propria? Si dovrebbe mettere sul lastrico operai come noi? Dobbiamo rifiutare di entrare in questa logica padronale!
In questo contesto di riduzione dei posti di lavoro in tutto il mondo e di concorrenza che spinge alla competizione tra lavoratori, la nostra parola d'ordine deve essere, più che mai: "se c'è meno lavoro, allora deve essere suddiviso tra tutti senza alcuna riduzione della retribuzione, attingendo ai profitti".
Noi, a Lutte Ouvrière, portiamo avanti questo slogan perché sappiamo che per imporre qualcosa ai padroni, è necessario avere un rapporto di forza sufficiente e ci sarà questo rapporto di forza perché i lavoratori saranno in lotta, dovremo avanzare una richiesta che li unisca tutti attaccando i capitalisti e non i nostri fratelli di classe qui o altrove.
Obiettivi da imporre con la lotta
In Francia durante il movimento contro la riforma delle pensioni, i lavoratori dell'auto hanno preso parte alle varie giornate di sciopero e manifestazioni. Anche se non c'è stato uno sciopero vero e proprio, controllato dagli scioperanti tramite assemblee generali, votazioni vere e proprie, ecc, abbiamo potuto vedere l'emergere di un piccolo nucleo di lavoratori che volevano organizzarsi e lottare.
Abbiamo parlato di creare comitati di sciopero, non solo di difenderci contro il governo e i padroni, ma di sfidare l'ordine esistente, la società capitalista... Per fare questo non dovremo fidarci di nessun altro e soprattutto non della direzione dei sindacati, di nessun altro che noi stessi.
Con la crisi e la crescente instabilità del sistema capitalistico, i padroni ci vogliono schiacciare sempre di più. Gli scontri tra noi e loro non mancheranno e si moltiplicheranno. Se le proteste di domani si svilupperanno, sia in difesa dei nostri interessi immediati sia per sfidare l'ordine capitalistico, le fabbriche e gli stabilimenti dell'industria automobilistica diventeranno centri di organizzazione della lotta.
In questi siti i lavoratori sono concentrati, con abitudini organizzative, a volte intorno ai sindacati ma non solo. Anche se il numero di lavoratori in questi stabilimenti è in calo, rimangono concentrazioni di centinaia, migliaia e persino decine di migliaia di lavoratori. Questi luoghi di aggregazione rimangono baluardi in grado di organizzarsi e di diventare piccoli quartieri generali per future mobilitazioni.
Come militanti rivoluzionari, dobbiamo rafforzare le nostre file e aumentare il nostro numero, perché in una situazione del genere le nostre idee diventeranno armi per condurre i lavoratori alla vittoria. Per farlo, dobbiamo discutere, convincere, riflettere e formare gruppi di lavoratori convinti che i padroni dell'industria automobilistica, come tutti i capitalisti, stanno portando noi, i lavoratori dell'auto, e la società nel suo complesso, dritti contro il muro. Bisogna fermarli!