Mali, L’eredità avvelenata dell’imperialismo

(Da “Lutte de classe” n° 150 – Marzo 2013)

« Ristabilire l’unità e l’integrità territoriale » del paese. Questo è l’obiettivo posto da François Hollande alle truppe francesi mandate in Mali. Ma in realtà, essendo il Mali attuale una creazione artificiale del colonizzatore, come tanti altri vecchi possedimenti francesi, come potrebbe un intervento militare ristabilire quello che è esistito solo per una cinquantina d’anni ?

Il Mali è nato nel quadro dei confini tracciati dalle grandi potenze europee nell’Ottocento e dalle suddivisioni amministrative inventate all’interno di ogni zona d’influenza. Questi confini arbitrari sulla carta del continente africano hanno fatto da limite ai nuovi Stati sorti dopo l’indipendenza. Il colonialismo ha regalato così alle giovani nazioni africane territori dove erano raggruppati popoli diversi. Ciò non impediva poi di dividere gli stessi popoli tra diversi paesi.

Bisogna risalire al medioevo per sentir parlare del Mali. L’impero che portava quel nome aveva conosciuto un prodigioso sviluppo durante il Duecento ed il Trecento. Immense carovane trasportavano allora il sale verso le regioni dei fiumi Niger e Senegal e ne riportavano oro, che vendevano poi nei regni arabi del Nord Africa. Questo commercio fece la ricchezza di Timbuctù e di Gao, e il sovrano musulmano di quell’impero, che andava fino alle coste dell’Oceano atlantico, fu allora capace di meravigliare i sultani arabi durante il suo viaggio alla Mecca. I dirigenti maliani attuali evocano spesso quella grandezza passata, sparita ben prima dell’arrivo dei primi colonizzatori.

Giunta l’indipendenza, il Mali prese il posto della vecchia colonia francese chiamata Sudan dalle autorità ma che non aveva nulla a che vedere con l’attuale Sudan né con la Repubblica del Sud Sudan. Il nuovo Stato dovette fare i conti con le differenze di due regioni completamente diverse. Al sud, tra i fiumi Niger e Senegal, il paese era popolato da agricoltori delle etnie bambara, malinke, sarakole e da pastori peul, che vivono anche nei paesi vicini. Al nord, le tribù di nomadi tuareg, senza tradizioni statali, facevano transumare le loro greggi su immensi territori semi desertici. Sul fiume Niger, i popoli erano, e sono tuttora, molto mescolati. I Tuareg, che si trovano anche in Niger, in Algeria o in Libia, sono popoli berberi, la cui lingua appartiene alla stessa famiglia del Cabile. Rappresentano oggi, insieme ai Mauri, il 10 % della popolazione maliana e fanno parte di un insieme più largo di popoli che vivono ai confini del deserto, come i Tubu del Ciad, o i Mauri della Mauritania e dello stesso Mali.

Invece di un’unità nazionale, il Mali contemporaneo rappresenta innanzitutto una frattura che continua ad approfondirsi tra sud e nord.

Quando i rappresentanti delle grandi potenze si riunirono nel 1885 a Berlino per spartirsi l’Africa -la cui maggior parte rimaneva da conquistare - fu stabilito che ogni Stato europeo che fosse presente in una parte della costa africana avrebbe avuto diritti riconosciuti sulle terre all’interno, a patto che occupasse effettivamente il terreno. Così iniziò la grande gara tra potenze imperialiste. Per quanto riguarda i territori del nord dell’attuale Mali, si aggiunse la competizione tra amministrazioni francesi rivali. Truppe si lanciarono allo stesso tempo dal Senegal e dall’Algeria, schiacciando i popoli che resistevano. Infine si ricongiunsero nei villaggi tuareg, dove rimasero a guardarsi in cagnesco. La questione si risolse a Parigi. I giochi d’influenza nei ministeri finirono col decidere l’annessione di questa regione semi desertica all’Africa occidentale francese (AOF), anche se avrebbe potuto essere annessa all’Algeria.

I Tuareg rimanevano da sottomettere, il che era tutta un’altra storia. Opposero un’accanita resistenza in combattimenti da guerriglia, nei quali interi reggimenti francesi furono massacrati. L’intera zona fu infine occupata solo nel 1909, fino alla rivolta che scoppiò nel 1916, e poi nel 1917. In seguito, e fino all’indipendenza, i Tuareg rimasero piuttosto al di fuori del sistema coloniale, nell’immensa regione a nord del fiume Niger, che copre metà dell’attuale Mali. Quella zona non aveva all’epoca nessun interesse economico per la Francia. Si trattava solo di occuparla per garantire la continuità territoriale tra le possessioni della Francia nel Magreb e le sue colonie dell’Africa sub sahariana. L’occupazione divenne meno pesante perché la posizione politica ufficiale prevedeva che i Tuareg non venissero toccati finché rimanevano tranquilli. Alcuni Tuareg furono utilizzati solo per formare unità incaricate di respingere le razzie delle tribù del deserto, cosa che facevano da sempre.

La presenza francese si manifestò soprattutto nella sistemazione di alcuni quadri coloniali incaricati di sorvegliare quei territori immensi. I Tuareg evitarono così le calamità che la colonizzazione impose ai popoli che vivevano più a sud. Non furono sottoposti al lavoro forzato, non furono mandati sui campi di battaglia europei e non si tentò di renderli sedentari con la forza. Non ci fu neanche nessuno zelo per riscuotere le tasse. Ma non poterono neppure beneficiare delle poche condizioni favorevoli, in particolare nel campo dell’educazione. Quando i colonizzatori cominciarono a preoccuparsi di educare une piccolissima élite locale perché li aiutasse, alcune scuole furono aperte dall’amministrazione nel Sud. Furono prima “scuole per i figli di capi”, il che indicava in modo chiaro il loro obiettivo. Il nord del paese fu escluso da queste iniziative e quando, molto più tardi, le prime scuole furono costruite, i nomadi si dimostrarono in ogni modo molto riluttanti a mandarvi i loro figli. Così, dopo il 1946, quando apparvero quelli che sarebbero stati i leader dell’indipendenza, non c’era nessun Tuareg tra di loro.

Giacché vivevano in disparte, i Tuareg non hanno creduto fino all’ultimo momento alla partenza dei francesi. Quando finalmente quest’evoluzione fu chiara anche per loro, fecero tutto il possibile per non cadere sotto il potere dei popoli neri del sud. Gli ufficiali coloniali si diedero da fare per versare benzina sul fuoco, come fecero in tanti altri paesi. Negli anni ’50, si sviluppò in Francia una campagna dei media per l’unificazione delle regioni sahariane divise tra AOF (Africa occidentale francese), AEF (Africa equatoriale francese) e Algeria. Nel dicembre 1956, l’Assemblea nazionale creò una nuova struttura amministrativa, l’Organizzazione comune delle regioni sahariane (OCRS). Nel gennaio 1961, Alain Peyrefitte, deputato UNR (il partito gollista dell’epoca) incaricato dal generale de Gaulle di seguire il caso algerino, pubblicò un libro sotto il titolo : Si deve dividere l’Algeria ? Rispondeva con il sì e rivendicava il diritto all’autodeterminazione per i popoli del Sahara. La ricchezza del sottosuolo – si cominciava allora a sfruttare il petrolio del deserto – era l’obiettivo di quest’operazione. L’OCRS avrebbe potuto diventare un nuovo Stato oppure rimanere sotto il controllo della Francia. Il tentativo abortì, giacché nessuno dei paesi che stavano per diventare indipendenti pensava di privarsi di tali ricchezze e l’Algeria – che combatteva con le armi per la propria indipendenza – ancora meno degli altri.

Questo non impedì agli ufficiali francesi di suggerire ai Tuareg l’idea di uno Stato sahariano, rendendoli ostili in anticipo alle autorità degli Stati dove avrebbero dovuto vivere. Promossero così una petizione firmata dai capi della regione, indirizzata al generale de Gaulle, dov’era scritto : “giacché lasciate il paese Tuareg, ridatecelo come ce l’avete preso.. Non vogliamo che i Neri o gli Arabi siano i nostri dirigenti. Vogliamo dirigere noi stessi. Vogliamo che il nostro paese sia un unico paese”. Questa la situazione esplosiva che la Francia lasciò in eredità al giovane Stato maliano creato nel 1960 ed esso ne incrementò la carica, comportandosi come il vecchio colonizzatore rispetto ai Tuareg.

Lo stato maliano nuovo oppressore dei Tuareg

Nel nord del nuovo Stato, i funzionari neri venuti dal sud sostituirono i colonizzatori francesi e furono fin dall’inizio visti con diffidenza dalla popolazione tuareg. Questa diffidenza diventò presto ostilità, quando i nuovi arrivati cercarono di riscuotere per davvero le tasse, in base al capitale che rappresentavano le greggi. Il Mali aveva disperatamente bisogno di risorse finanziarie. La reazione brutale dell’esercito maliano aumentò l’odio tra le autorità di Bamako e i Tuareg.

La prima rivolta scoppiò nel 1962 e coinvolse solo i Tuareg dell’Adrar degli Ifogas, vicino alla città di Kidal. Iniziata da un evento insignificante – il furto delle armi di due soldati da parte di un capo Tuareg – si estese rapidamente all’intera zona. Alcune centinaia di Tuareg si lanciarono nella guerriglia, usando la loro abituale tattica: ritiro di fronte a forze più numerose ed agguati. La repressione fu terribile. L’esercito maliano mandato contro di loro era composto da vecchie truppe coloniali che avevano combattuto in Indocina ed Algeria. Usarono i metodi imparati nell’esercito francese. Il vasto territorio tra Kidal ed il confine algerino fu dichiarato zona vietata. I pozzi furono avvelenati. Ogni persona incontrata nella zona poteva essere uccisa, e fu il caso di tanti pastori che vi facevano solo passare il gregge. Le truppe maliane inseguirono i ribelli fino in Algeria. Questa prima rivolta fu schiacciata in mezzo all’indifferenza generale e rimase quasi sconosciuta in Occidente. Ma per i Tuareg, quello che il resto del paese chiamava “decolonizzazione” diventò di fatto occupazione del loro paese da invasori stranieri così come era avvenuto con il vecchio colonizzatore. Dopo questa rivolta, nulla si mosse per anni. Eppure ci fu un fatto positivo. Il nuovo Stato maliano sviluppò in modo massiccio l’educazione che era stata trascurata dai Francesi, il che fu positivo per tutti i giovani che poterono accedervi. Da quelle scuole uscirono i futuri capi dei ribelli Tuareg.

I Tuareg si erano appena ripresi da questa repressione, le loro greggi si stavano ricostituendo, quando ci furono le grandi siccità degli anni 1972 e poi del 1984. Presero allora la strada dei campi di profughi del Niger, d’Algeria o del Mali, con l’unica risorsa dell’aiuto internazionale, in gran parte accaparrato dal potere centrale di Bamako. Questo accentuò di nuovo il loro senso di abbandono da parte delle autorità maliane ed anche l’idea che esse volevano la loro scomparsa definitiva. Quando il clima tornò più clemente, le famiglie tornarono sul territorio di origine, ma tanti giovani partirono per cercare lavoro altrove, lasciando l’isolamento e lo stile di vita tradizionale per diventare lavoratori in Algeria, in Libia, nelle grandi città dell’Africa sub sahariana o d’Europa. È fra questi giovani che maturarono le future rivolte.

La seconda rivolta tuareg ebbe luogo nel giugno 1990. A differenza della precedente, non fu per niente spontanea e coinvolse tutti i Tuareg del Nord del Mali e quelli del Niger. Una parte dei giovani che avevano lasciato il paese dopo le grandi carestie aveva integrato l’esercito di Gheddafi in Libia. Essi furono mandati a combattere nelle operazioni di Gheddafi in Ciad dal 1980 al 1987. Si formarono a livello militare e impararono l’uso di armi moderne. Costituirono un movimento politico per l’indipendenza dell’Azawad, una parola che significa “zona di pascolo” con la quale i Tuareg definivano il loro territorio. Diedero l’assalto, il 29 giugno 1990, al posto di guardia di Menaka, uccidendo 36 militari, e poi ad altre città. Il risultato fu di nuovo la stessa repressione condotta dall’esercito maliano: regioni vietate, esazioni, torture dei civili per ottenere informazioni. Questo terrore ebbe l’effetto di unire la popolazione attorno ai ribelli e questa volta ebbe eco all’intero paese e anche fuori dal Mali, sollevando l’indignazione. Bisogna dire che il regime del dittatore, Moussa Traoré, viveva le sue ultime ore e che l’agitazione aveva coinvolto l’intero paese. La ribellione si chiuse questa volta con un accordo che prevedeva una certa autonomia del Nord e promesse di sviluppo. Ma tale “Patto nazionale” non fu mai applicato. L’esercito non si azzardò più ad entrare nelle zone desertiche del nord del paese, che furono più che mai abbandonate alla povertà e all’assenza di amministrazione.

Nel 2006, nuova rivolta. I ribelli presero Menaka e Kidal per denunciare la mancata applicazione del Patto, l’assenza degli investimenti previsti, il rifiuto dello Stato maliano di integrare i Tuareg nell’esercito e nella polizia. Accordi furono firmati sotto l’egida dell’Algeria. Ma in realtà nulla cambiò, a parte il fatto che i soldi dedicati allo sviluppo della regione sparirono nella corruzione e che i Tuareg poterono entrare nell'esercito. L'abbandono della regione fu ancora più totale, gruppi armati portarono attacchi sporadici e le truppe maliane non li perseguirono. Venuti dall’Algeria, i commando integralisti d’Al Qaida nel Magreb islamico (AQMI) cominciarono allora a sistemarsi in quel nord completamente abbandonato. Ricevettero l’appoggio di ex membri delle ribellioni passate e poterono finanziarsi con i sequestri di ostaggi. Si sviluppò anche il traffico di droga, nel quale furono coinvolti tutti, dagli integralisti ai generali maliani.

È questo insieme artificiale, che ha finito col creare una zona abbandonata da tutti e pericolosissima, che Hollande chiama “l’unità e l’integrità territoriale del Mali”.

Uno stato maliano in sfacelo

Mentre il nord del paese era così abbandonato, in preda a ripetute rivolte e all’insicurezza, il sud conosceva da parte sua una continua disgregazione. Le speranze suscitate dall’indipendenza sono state sostituite adesso dalla realtà di uno Stato corrotto, le cui componenti vivono tutte da parassiti sulla pelle della popolazione; uno Stato che praticamente non esiste più, dato che è diventato solo un insieme di clan, ognuno dei quali pratica il proprio traffico, e con cui è meglio non avere a che fare, tranne in caso di assoluta necessità. E questo Stato, pure completamente putrefatto, ha goduto della protezione incondizionata di tutti i governi francesi.

La corruzione va di pari passo con la povertà endemica del paese. Il Mali sta adesso al 175° posto sui 187 paesi elencati dal PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano), un indice che tiene conto del reddito pro capite, ma anche della speranza di vita, del grado di educazione e dello stato sanitario del paese. Tale situazione è soprattutto dovuta al controllo delle grandi potenze. Nel periodo coloniale, l’economia era stata solo quella di trasferimento di risorse verso la Francia, le infrastrutture erano state create solo per svuotare il paese delle sue ricchezze senza il minimo investimento industriale importante.

All’inizio, il giovane Stato maliano cercò di togliersi quel peso. Il primo quadro dell’indipendenza fu una federazione Senegal-Mali. Questo avrebbe almeno permesso una certa spartizione dei redditi tra un Mali povero, solo agricolo, ed un Senegal che la Francia aveva sviluppato un po’ di più, essendo il porto di Dakar lo sbocco delle merci regionali verso la metropoli. Ma la federazione non durò neanche due anni. I dirigenti africani, che avevano agitato le idee del panafricanismo prima dell’indipendenza, le abbandonarono dopo per ripiegarsi sul proprio territorio. Il primo presidente del Mali (1960-1968), Modibo Keita, scelse di prendere le distanze dalla Francia. Fece evacuare le basi militari francesi, creò un franco maliano diverso dal franco CFA e sviluppò gli scambi commerciali con i paesi dell’Europa dell’Est, rivestendo tutto questo con una fraseologia dagli accenti marxisti. Ma se è impossibile sviluppare un’economia moderna in un unico paese, ciò era ancora più vero nel Mali interamente agricolo, senza risorse né minerali né petrolifere e senza sbocco marittimo. La situazione si degradò rapidamente e Modibo Keita fu costretto a reintegrare la zona del franco CFA nel 1967 e a tornare nell’orbita della vecchia potenza coloniale. Fu rovesciato da un colpo di Stato. Sotto il regno dei suoi successori, Moussa Traoré, Alpha Oumar Konaré e poi Amadou Toumani Touré, il cappio del debito estero, i piani imposti dal FMI (Fondo monetario internazionale) e la speculazione sulle materie prime agricole, in particolare quelle importate, degradarono sempre di più il quadro sociale.

Ma questa disastrosa situazione, imposta dall’imperialismo, e in primo luogo dall’imperialismo francese, è stata presto aggravata dalle rapine di un apparato di Stato che si preoccupava solo di dirottare le magre risorse del paese.

Certo la corruzione è sempre esistita, come in ogni paese povero. I funzionari, malpagati, completano lo stipendio con i traffici che il loro posto di lavoro consente. Tra gli altri, il detto popolare “la dogana è povera ma i doganieri ricchi”, illustra bene questo stato di fatto.

Ma questo furto organizzato è salito alle stelle negli ultimi dieci anni, sotto la presidenza di Amadou Toumani Touré ed ha finito col compromettere completamente il funzionamento dell’apparato di Stato. Dalle più alte sfere del potere fino al piccolo funzionario, tutto è diventato un mezzo per arricchirsi a discapito del paese e della popolazione. Alcuni casi hanno fatto rumore. Il ministro della sanità aveva intascato i fondi internazionali per la lotta contro l’Aids, la malaria e la tubercolosi, portando alla sospensione degli aiuti. Ci fu anche lo scandalo di “Aereo Cocaina” nel 2009 : un Boeing imbottito di droga era atterrato nella regione di Gao con la complicità delle autorità. Nei vari ministeri, gli ufficiali che hanno la possibilità di farlo, organizzano i propri circuiti commerciali, con una rete di complici, il che aumenta il carovita per la popolazione. Nell’educazione, la vendita dei voti, dei diplomi e perfino dei semplici certificati scolastici è diventato un traffico redditizio. Non c’è più un apparato di Stato, ma ci sono mafie che coesistono con i rispettivi padrini, il presidente ed il suo clan stanno ai vertici dell’edificio.

Nell’esercito, questa situazione ha avuto molte conseguenze. I soldati, che vivono con le famiglie nelle caserme, “arrotondano” lo stipendio ricattando la popolazione. Indossare la divisa permette loro di vivere e agli ufficiali di arricchirsi. Infatti i soldati pagano agli ufficiali una cifra importante per entrare nella loro unità, che poi recuperano alle spalle della popolazione povera. Nessun militare ha la minima voglia di lasciar perdere queste attività redditizie per fronteggiare ribelli armati e determinati.

Questo Stato maliano in sfacelo era la preda ideale per i gruppi armati integralisti.

L’offensiva dei gruppi armati integralisti

Il gruppo armato islamico AQMI è presente dal 2006 in quella zona senza diritti che costituisce il deserto del Nord del Mali. Parte di questo gruppo si è scisso nel 2011 per formare il MUJAO. Ex capi della ribellione del 1990, come Lyad ag Ghali, formarono dal canto loro l’organizzazione integralista Ansar Al Din. Per quanto riguarda gli indipendentisti tuareg, essi avevano costituito il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (MNLA). Tutti questi gruppi furono raggiunti, dopo il crollo del regime di Gheddafi, nell’ottobre 2011, da un migliaio di soldati dell’esercito libico, che per la maggior parte erano di origini tuareg, che lasciarono la Libia con il proprio armamento al completo. Il 17 gennaio 2012, il MNLA lanciò la sua offensiva e in due mesi, conquistò diverse città del nord: Tessalit, Menaka e Kidal, prima di essere presto raggiunto e sorpassato dai gruppi integralisti. Di fronte a loro, l’esercito maliano, che raggruppava ufficialmente 22 000 uomini, non aveva nessuna voglia di combattere. I suoi cinquanta generali, senza dubbio occupati in pratiche più redditizie, erano spariti. Soldati ed ufficiali scapparono, lasciando armi e bagagli agli integralisti.

A Bamako, il regime non resistette a questo disastro. Il 22 marzo 2012, un gruppo di ufficiali, condotti dal capitano Sanogo, rovesciò il regime del presidente Amadou Toumani Touré, accusandolo di avere dirottato per anni i fondi destinati alla Difesa e di essere per questo responsabile dell’assenza di preparazione e di mezzi dell’esercito. Sotto la pressione dei capi di Stato degli altri paesi d’Africa e della Francia, i militari dovettero tornarsene in caserma, ma questo non impedì loro di rimanere una forza determinante, in verità l’unico potere. L’ex presidente dell’Assemblea nazionale, Dioncounda Traoré fu nominato presidente della repubblica ad interim, nell’attesa di future elezioni.

Questo colpo di Stato accentuò ancora la disorganizzazione dell’esercito maliano; i gruppi integralisti poterono proseguire la conquista e prendere le città in riva al fiume Niger, Timbuctù e Gao. In queste città, dove i popoli neri, come i Songai, i Bambara, i Peul o i Bozo coabitano con i Tuareg e i Mauri, gli integralisti instaurarono un regime dal terrore medievale, imponendo alla popolazione le forme più arretrate della legge islamica : flagellazioni, mani tagliate, lapidazioni. Vietarono alle donne di andare al mercato anche se portavano il velo islamico. Furono lunghi mesi tragici per gli abitanti.

Da parte sua, lo Stato francese non poteva assistere senza reagire a questa rotta che, nel giro di due mesi, portava al baratro metà del Mali. L’offensiva integralista poteva destabilizzare tutta la regione. Oltre al Mali, anche Niger, Ciad, Senegal, Costa d’Avorio erano minacciati. Queste ex colonie rappresentano ancora troppi interessi economici per l’imperialismo francese perché questo lasci fare. Interessi che si chiamano Areva, Bolloré, Bouygues, Total.... Il patto conclusosi all’epoca delle indipendenze con i capi degli Stati africani è sempre valido: la protezione militare francese in cambio di un diritto prioritario di saccheggiare le ricchezze di questi paesi.

Per le autorità francesi, il problema non era dunque di sapere se intervenire ma piuttosto come. François Hollande avrebbe preferito non impegnarsi da solo in questa rischiosa avventura. Le altre potenze imperialiste gli hanno fatto presto capire che, essendo quella una zona di caccia riservata della Francia, doveva cavarsela da solo. Hollande cercò allora di mobilitare gli Stati africani vicini. La “Françafrique” era finita, lo aveva dichiarato lui stesso, toccava dunque ai soldati africani andare a farsi uccidere per gli interessi dell’imperialismo francese. Unico problema : la maggior parte di quelle truppe africane si trovava pressappoco nelle stesse condizioni dell’esercito maliano e per le stesse ragioni. La loro formazione stava per essere assunta da consiglieri francesi ed europei e perfino nord-americani, quando i gruppi armati integralisti si lanciarono su Bamako, il che convinse la Francia all’intervento militare diretto.

“L’unità e l’integrità del Mali”, che fanno da alibi a Hollande per mandarvi le sue truppe, sono solo un mito. Repressione contro i Tuareg al nord del paese, povertà per tutti, lo Stato che succhia il sangue dell’intera popolazione: ecco la realtà! Questo il risultato della presenza francese in Mali da più di un secolo. Essa ha imposto una definizione dei confini a dispetto dei popoli e ha fatto dei governi locali veri e propri servi dell’imperialismo. Se finora il Mali era stato risparmiato dai conflitti etnici che hanno insanguinato tanti altri paesi d’Africa, la guerra attuale potrebbe rimettere tutto in discussione. Le imposte dell’esercito maliano verso i civili tuareg, i saccheggi di cui sono stati vittime nelle città riconquistate e il clima d’insicurezza spingono già alcuni di loro a scappare verso altri paesi. Questo dimostra che si potrebbe sviluppare un clima di vendetta e di violenza di tipo interetnico di cui sarebbe vittima l’intera popolazione maliana nelle sue varie componenti.

I dirigenti francesi attuali non si preoccuperanno di più oggi dell’interesse dei popoli di quanto hanno fatto finora, sia al nord che al sud. Continueranno a far prevalere i propri interessi da grande potenza imperialista, anche se questo dovesse affondare il Mali nel caos.

21 febbraio 2013