Da “Lutte de classe” n°212 – Dicembre 2020
(Testo approvato dal congresso di Lutte ouvrière di dicembre 2020)
Quest'anno la crisi dell'economia capitalista è peggiorata notevolmente. La pandemia di coronavirus ne è stata un elemento acceleratore ma non la causa fondamentale. Inoltre la coincidenza e le interazioni tra la crisi economica e quella sanitaria sono servite a molti economisti borghesi ad offuscare la realtà di ciò che è dovuto all'interruzione forzata dell'attività economica e ciò che è causato dal funzionamento del capitalismo in crisi.
Le stesse specificità di questo peggioramento della situazione economica fanno parte, però, dell'evoluzione generale dell'economia capitalistica mondiale al momento della sua "crisi secolare". Le prime manifestazioni di questa furono prima la crisi, e poi il crollo del sistema monetario internazionale di Bretton Woods nel 1971, il forte calo della produzione all'inizio degli anni Settanta e il primo shock petrolifero nel 1973.
Questo periodo di mezzo secolo è stato segnato da una serie di scosse, per lo più finanziarie, intervallate da riprese. Oltre che da queste fluttuazioni, l'economia capitalista è segnata dalla stagnazione o addirittura dal declino degli investimenti produttivi, che porta ovunque al persistere della disoccupazione di massa. Né la fase di espansione né quella di recessione hanno impedito, però, la concentrazione delle grandi fortune nelle mani di un numero sempre più limitato di soggetti.
L'accumulazione di capitali su scala internazionale, nell'era dell'imperialismo, si svolge sempre più nella forma di capitale finanziario, e sempre meno in quello di capitale industriale: fabbriche, miniere, reti di trasporto. La grande borghesia proprietaria delle importanti multinazionali ha sempre a disposizione enormi eccedenze finanziarie. Non avendo interesse ad investire nella produzione in un modo considerato redditizio, si indirizza verso gli investimenti finanziari. Il risultato è una crescente finanziarizzazione dell'economia mondiale, con una moltitudine di conseguenze sia per il funzionamento di quest'ultima che per la gestione delle aziende.
Sono, però, la produzione di plusvalore, il suo realizzarsi tramite la vendita sul mercato e la sua capitalizzazione, ad assicurare la riproduzione del capitale e la sua accumulazione. È questo processo che, nello stesso momento in cui riavvia i cicli di produzione, trasforma il denaro in capitale e in potenza sociale, riproducendo costantemente le relazioni capitalistiche.
Il predominio degli interessi finanziari rispetto a quelli produttivi non modifica il plusvalore globale. Esso conferisce solo alle operazioni finanziarie un vantaggio nella distribuzione di questo plusvalore globale. In realtà, la crescente finanziarizzazione mina l'economia capitalista, ne aggrava le contraddizioni, e ne nasconde alcune.
Ad ogni scossa finanziaria che minaccia di portare a quella che i loro economisti chiamano "crisi sistemica", gli Stati imperialisti da un lato rimediano con una massiccia iniezione di denaro e crediti nell'economia, e dall'altro cercano di facilitare l'investimento e la circolazione dei capitali finanziari. Ne risulta, tra una crisi e l'altra, una rapida crescita delle somme disponibili, dei crediti e debiti esistenti su scala internazionale. Lo stravagante volume del capitale monetario accumulato e la facilità con cui enormi somme di denaro possono muoversi in cerca di investimenti vantaggiosi danno alla vita economica un carattere instabile e febbrile, sempre al limite del collasso.
I miliardi versati nei circuiti finanziari nelle ultime settimane hanno solo gonfiato il volume del capitale monetario dal comportamento imprevedibile. Anzi, ancora adesso i detentori di capitale non hanno motivi per orientarlo verso investimenti produttivi. Gli appelli dei governi per incitarli ad utilizzare le somme distribuite per rilanciare gli investimenti non servono a nulla contro questa legge fondamentale del capitalismo: si produce solo in base a ciò che si spera di potere vendere con profitto. Il detto popolare per cui "non si può cavare il sangue da una rapa" descrive efficacemente la riluttanza dei capitalisti ad investire in produzioni o servizi utili alla società.
I trucchi dell'economia finanziarizzata per sostituire questi investimenti assenti con transazioni in miriadi di titoli non diminuiscono, in alcun modo, la contraddizione tra le dinamiche della produzione capitalistica e i limiti del mercato, cioè dei consumi monetizzabili. Il mercato si sta espandendo troppo lentamente per le esigenze della produzione capitalista. Le somme versate dagli Stati non ampliano i mercati. Al contrario, l'aumento della disoccupazione contribuisce a limitarli.
"Piano di rilancio" è il bel nome che i governi di tutto il mondo hanno dato ai miliardi di dollari che sono stati stanziati nell'economia. "Storico", affermava Le Monde dell'8 settembre 2020 a proposito dei 100 miliardi stanziati dal governo francese e dei 130 della Germania. E aggiungeva: "In poche settimane, con una velocità e una determinazione che non le si conosceva, la Germania si è liberata dei tabù che per anni hanno costituito il nucleo della sua politica economica". (…) "Il 3 giugno, appena un mese dopo la fine delle misure di lockdown, Berlino ha adottato un monumentale piano di risanamento da 130 miliardi di euro". (...) "Il bilancio approvato a giugno prevede l'emissione di nuovi debiti, portando l'indebitamento totale per il 2020 a 218,5 miliardi di euro, un livello da record".
Ancora più indicativo di una vera e propria svolta è l'atteggiamento della Germania nei confronti della decisione dei capi di Stato dell'UE di lanciare una specie di piano di rilancio da 750 miliardi di euro. Più sorprendente della cifra sbalorditiva di questo, che consiste in un cocktail di sussidi e crediti, è la circostanza che per la prima volta la Germania, la principale potenza imperialista dell'Unione Europea, non ha posto il veto ad alcuna forma di mutualizzazione dei prestiti e dei rimborsi per finanziare questa somma. I rappresentanti della borghesia tedesca hanno accettato di arginare con denaro almeno in parte, l'indebitamento dei paesi imperialisti europei più dissestati della Germania, ma anche dei paesi più poveri dell'Est dell'Unione Europea. I leader di Polonia e Ungheria hanno considerato come una vittoria l’ottenimento della garanzia dell'Unione Europea per i loro prestiti sul mercato dei capitali. È vero, però, che le principali aziende che saranno i grandi beneficiari delle sovvenzioni e dei prestiti della manna europea, appartengono a capitali tedeschi o francesi (Audi, Mercedes, Peugeot, Renault, Volkswagen...) e, per inciso, giapponesi.
Gli Stati Uniti di Trump, avversario dello statalismo e difensore del "laissez-faire" del capitalismo americano, si sono comportati come gli altri Stati. Hanno annunciato un "piano storico di ripresa economica" dal valore di 2.000 miliardi di dollari, tre volte superiore al piano Paulson dopo la crisi delle subprime. Per non essere da meno, i Democratici si sono appena impegnati a stanziare 2,2 trilioni di dollari se il loro candidato diventerà presidente.
Questa è la cruda affermazione dello statalismo come salvatore del capitale privato, "costi quel che costi" secondo l'espressione di Macron. Ciò accade dopo anni di discorsi sulle virtù dei mercati, sulla necessità di bilanci in pareggio, sulla natura letale del debito pubblico e altre sciocchezze di cui si sono serviti tutti i governi per giustificare le politiche di austerità che hanno imposto ai loro popoli. Fu in nome di queste politiche che i banchieri delle potenze imperialiste strozzarono la Grecia e le sue classi popolari.
È una svolta netta nel linguaggio dei governanti. D'ora in poi, le banche centrali di tutti i paesi imperialisti, come la Banca centrale europea, mantengono gli sportelli spalancati per il sistema bancario e le grandi imprese. Il tasso d'interesse si aggira intorno allo zero o addirittura scende più giù. I disavanzi di bilancio stanno aumentando vertiginosamente senza che i più accaniti sostenitori dell'ortodossia di bilancio vi trovino motivi di critica.
Ciò che caratterizza gli attuali interventi degli Stati imperialisti è la loro natura puramente finanziaria. Lo Stato non cerca di compensare direttamente il fallimento degli investimenti privati con quelli pubblici. Non c'è nulla di paragonabile agli investimenti effettuati dallo Stato, all'indomani della Seconda guerra mondiale, per consentire all'economia capitalista di rimettersi in piedi dopo la distruzione della guerra, per esempio in Francia e Italia. Non c'è confronto con le grandi opere del New Deal di Roosevelt, negli Stati Uniti, anche se erano di modesta entità per quanto riguarda la costruzione di case o l'elettrificazione rurale. La medesima cosa vale per la Germania, dove l'infrastruttura stradale sta invecchiando e, poiché gran parte della rete autostradale risale ai tempi di Hitler, alcuni ponti devono essere chiusi per il timore del crollo.
Di fronte al coronavirus l'impreparazione del sistema ospedaliero persiste nonostante l'allarme della prima ondata, dovuta alla mancanza di letti, attrezzature e, soprattutto, al numero insufficiente di personale competente. Un fatto che dimostra quanto, anche da solo, questo settore sarebbe un vasto campo per investimenti statali utili.
È significativo il dibattito vagamente abbozzato in Francia nel personale politico della borghesia, sulla questione del condizionamento o meno degli aiuti e dei crediti alle imprese capitaliste. Qualunque somma viene concessa ad un'azienda sotto forma di aiuto o di credito, è a fondo perduto. L'azienda, cioè i suoi proprietari o i principali azionisti, riceve il denaro, con cui paga una parte significativa delle sue spese salariali, ottiene agevolazioni per estinguere i suoi debiti, senza il minimo obbligo di destinare il denaro ad investimenti produttivi e senza nessun impegno a non licenziare o non chiudere le sue fabbriche. Fa quello che vuole con i soldi che riceve. Lo Stato non solo viene in soccorso del capitale privato, ma accetta in anticipo - anzi incoraggia - che i capitalisti possano indirizzare questi regali verso operazioni finanziarie. Così il rilancio è innanzitutto quello della speculazione!
Tutte le somme promesse non sono ancora state distribuite ma la speculazione si sta già intensificando. Eppure i mercati finanziari non hanno nemmeno bisogno di queste somme: i tassi d'interesse a zero o addirittura negativi sono di per sé sufficienti.
"Wall Street sta tornando agli "anni folli" di prima del crollo del 1929", era il titolo di Les Échos del 2 settembre 2020. Lo descrive con un certo umorismo: "Gli effetti collaterali del Covid sono decisamente curiosi. Per alcuni, la perdita del gusto o dell'olfatto è stata accompagnata da un irrazionale bisogno di accumulare..., per altri, è una furiosa voglia di giocare in borsa. Negli Stati Uniti e in Europa, nella stessa Francia, gli individui confinati dietro i loro schermi hanno scoperto o riscoperto le gioie del trading solitario. A tal punto che a Wall Street rappresentano oggi il 20% dei volumi scambiati ogni giorno, rispetto a meno del 2% dopo la crisi del 2009".
Qualcosa bisogna aggiungere a questa osservazione: le grandi aziende, l'alta borghesia, sono di gran lunga i principali attori dei mercati finanziari. E anche quelli meno importanti, tra coloro che hanno questa "furiosa voglia di investire", provengono generalmente dalla piccola borghesia più o meno ricca, e ben pochi sono i lavoratori dipendenti, anche tra quelli meglio pagati.
Quando riguarda le azioni di borsa, la speculazione è per sua natura legata alla produzione, o più precisamente alle aziende che producono. Ma sono le aspettative speculative a fare sì che la capitalizzazione borsistica della società automobilistica Tesla di Elon Musk superi quella della Toyota. Eppure la Tesla ha prodotto e venduto solo 400.000 veicoli rispetto ai 13 milioni della Toyota. Ma la Tesla produce auto elettriche che sembrano una promessa di sviluppo per il futuro. Di conseguenza, le sue azioni stanno decollando e il prezzo è salito del 950% in pochi mesi!
La stessa attrattiva vale, e per le stesse ragioni, per le grandi aziende dell'informatica. Il corso delle azioni Apple in borsa è raddoppiato in meno di sei mesi. La sua capitalizzazione raggiunge sul mercato 2000 miliardi di dollari, pari al PIL dell'Italia!
La speculazione borsistica sulle azioni dell'alta tecnologia è quella con i rendimenti più alti nel più breve tempo possibile. Accanto ai grandi gruppi finanziari, attira i creduloni delle cosiddette classi medie. Ma comporta anche le scommesse più rischiose, come dimostrano le forti fluttuazioni degli alti e bassi delle quotazioni di borsa. In un giorno possono essere vinti milioni fittizi ma lo stesso denaro può anche essere perso da un giorno all’altro. Nel gioco del grande casinò finanziario, vince chi è abbastanza ricco e potente da potersi bilanciare tra gli alti e bassi. Chi scommette su tutti i cavalli ha più possibilità di vincere di chi scommette su uno solo.
Ma i grandi operatori del mercato finanziario, che giocano con il loro denaro e con quello della grande borghesia - ci sono, infatti, potenti agenzie finanziarie specializzate in questo tipo di operazioni, come la Black Rock - hanno anche bisogno di indirizzarsi su titoli più stabili a lungo termine. In questa materia il debito pubblico è stato uno dei maggiori fornitori fin dall'inizio del capitalismo, anzi dai tempi dei re. In questo mondo di instabilità come quello del mercato finanziario, i titoli di debito emessi dai governi appaiono come i più sicuri. È così che il futuro prestito europeo, grazie alla sua mutualizzazione, cancellerà in qualche misura la differenza tra le obbligazioni emesse dalla Germania e quelle dell’Italia, della Spagna e, peggio ancora, della Grecia. Le somme versate nell'economia, e la necessità per gli Stati di ripagarle dopo la crisi del coronavirus, forniscono volumi di materia prima in notevole quantità per l'"industria finanziaria".
Molto prima della pandemia e del conseguente rallentamento della produzione e del commercio, le menti meno ottuse della borghesia hanno lanciato l'allarme sulle minacce che rappresentano, per il capitalismo, l'eccesso di liquidità e il movimento caotico del capitale come cause e conseguenze della finanziarizzazione dell'economia capitalista.
"Stiamo entrando nell'era della crisi finanziaria permanente, fino a quando una burrasca più devastante delle altre scatenerà una nuova crisi mondiale e metterà il pianeta a ferro e fuoco". Queste righe dell'economista Patrick Artus nel suo libro La follia delle banche centrali, sottotitolato Perché la prossima crisi sarà peggiore, risalgono al 2016. Ma né lui né nessun altro ha il controllo dell'evoluzione dell'economia capitalista.
La minaccia di un crollo del sistema bancario nel 2008 è stato un serio avvertimento. Allora i dirigenti politici dei paesi imperialisti e quelli del mondo finanziario si avvicendavano a promettere di regolamentare, riorganizzare e creare istituzioni di vigilanza. Risultato, dieci anni dopo l'ammontare del debito mondiale (Stati, società non finanziarie, famiglie) è quasi raddoppiato (Le Monde Économie del 14 settembre 2018).
"A livello globale, il debito pubblico e privato, che rappresentava il 61% del PIL nel 2001, il 116% nel 2007 ... peserà il 225% nel 2018, secondo i dati del FMI", scriveva Les Échos del 14-15 settembre 2018. Lo stesso articolo commentava sobriamente: "Le banche centrali hanno difficoltà a tornare ad una politica monetaria più normale".
Lo Stato e i suoi interventi hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo del capitalismo nel corso della sua storia. Lo statalismo ha accompagnato, e addirittura preceduto, la crescita del capitalismo industriale. Non è il caso di tornare qui sulla sua importanza decisiva agli albori del capitalismo moderno, sia in Inghilterra quale culla di quello industriale, sia in Francia. Ricordiamo però la funzione svolta in Inghilterra dallo sviluppo statale dei trasporti – scavo di canali, costruzione di strade e ferrovie - per non parlare della cantieristica navale, che ha dato alla Gran Bretagna il primo posto sui mari.
In Francia, dove la rivoluzione industriale è rimasta indietro rispetto alla Gran Bretagna, non possiamo trascurare lo statalismo colbertista, già sotto la monarchia assoluta, che spianò la strada al capitale privato, sia per la nascita di un'industria tessile che per quella siderurgica. Gli altiforni di Le Creusot, sebbene costruiti con capitale privato, avevano beneficiato di aiuti finanziari del governo di Luigi XVI, facendo la fortuna della famiglia de Wendel.
La costruzione delle ferrovie ha avuto una parte importante nell'unificazione politica di una Germania frammentata, ma anche come trampolino di lancio per il capitalismo tedesco nell'industria pesante. Il ruolo dello Stato è stato predominante anche nell'industrializzazione del Giappone nell'era Meiji.
Lo statalismo a favore della nascente borghesia era progressivo dal punto di vista dell'evoluzione della società. Ha partecipato allo sviluppo del capitalismo, che stava sostituendo ciò che rimaneva dell'economia feudale. Ha perso questo carattere progressista con l'emergere dell'imperialismo, l'età senile del capitalismo, l'età della competizione globale del capitale e tutto ciò che ne è derivato. Infatti le conseguenze sono state diverse: lo Stato messo al servizio dei gruppi monopolistici e dei loro interessi, il militarismo, la conquista delle colonie, la spesa per gli armamenti e i debiti al livello internazionale come mezzo per promuovere la penetrazione del capitale in paesi poco o non sviluppati. Oggi lo statalismo è reazionario in tutti gli aspetti del suo intervento.
Osservando che "l'imperialismo è un'immensa accumulazione di capitale-denaro in un piccolo numero di paesi", Lenin ha sottolineato più di un secolo fa "il parassitismo e la putrefazione del capitalismo" che aveva raggiunto la sua fase imperialista. Questo accumulo di capitale monetario nei paesi che erano diventati imperialisti già non vi trovava più una destinazione redditizia. Ne derivava la tendenza all'esportazione di capitali invece che a quella delle merci, una delle caratteristiche essenziali dell'economia dell'era imperialista.
Da queste esportazioni di capitali sono conseguite le relazioni di tipo imperialista tra le nazioni, cioè la subordinazione degli stati mantenuti in situazione d'arretratezza rispetto alle potenze imperialiste. Una parte del capitale esportato, tuttavia, si trasformava alla fine in capitale produttivo.
Analizzando l'economia capitalista nel suo libro L'accumulazione del capitale, Rosa Luxembourg insisteva sul ruolo del militarismo, della costruzione ferroviaria e dei prestiti internazionali come campo d'azione del capitale. Riferendosi a questi ultimi affermava: "Servono a trasformare il capitale monetario in capitale produttivo (...) come la costruzione di ferrovie e la fornitura di armamenti; serve a trasferire il capitale accumulato dai vecchi paesi capitalisti ai nuovi paesi capitalisti". Attualmente, a parte il finanziamento delle forniture d'armi ai dittatori dei paesi poveri, questo ruolo dei prestiti internazionali è diminuito o addirittura scomparso.
Oggi, i debiti esteri dei paesi poveri - cioè i prestiti delle istituzioni finanziarie dei paesi imperialisti - servono soprattutto a mettere questi territori sotto il cappio del debito e a strozzarli senza nessun vantaggio per la produzione o per i trasporti di questi paesi.
La crescente finanziarizzazione dell'economia sta portando il parassitismo dell'imperialismo ad un livello ancora più elevato, pur mantenendo i rapporti di subordinazione. L'indebitamento internazionale lascia poche tracce o addirittura nessuna nell'economia produttiva.
I prestiti di un paese ancora sottosviluppato quale era la Russia zarista, si traducevano nella costruzione di linee ferroviarie e l'esportazione di capitali francesi, inglesi o tedeschi, nella creazione e nello sviluppo di grandi fabbriche. Una di esse fu la Putilov, divenuta uno dei baluardi del proletariato russo, con il noto ruolo svolto nella presa di potere del 1917. Già allora, una delle funzioni essenziali dei prestiti internazionali era il finanziamento delle spese d'armamento della classe privilegiata contro il suo stesso popolo. Ai nostri giorni questa funzione è diventata quasi esclusiva.
Allora quali conseguenze possiamo aspettarci dai piani di rilancio? Di sicuro, rilanceranno le operazioni finanziarie e la speculazione! Come e quando questo porterà alla catastrofe finanziaria? Il tempo lo dirà. L'attuale rimbalzo della crisi ha già influenzato profondamente alcune attività economiche e ne ha favorito altre.
Quelli di crisi sono periodi di guerra feroce e accanita fondamentalmente tra la grande borghesia e il proletariato, ma anche tra i capitalisti. Anche quando l'attività produttiva riprenderà, sarà segnata da importanti movimenti di capitali, da uno sconvolgimento degli equilibri di potere tra i grandi gruppi capitalistici. È proprio attraverso l'acuta concorrenza, la scomparsa di imprese e le concentrazioni che avviene la regolazione economica del sistema capitalista.
Il nostro problema non è indovinare chi uscirà vittorioso dalle rivalità tra capitalisti, acuite dalla crisi, ma di militare per un programma di lotta per preservare la classe operaia.
Dall'inizio dell'anno è evidente che le classi lavoratrici stanno sprofondando nella povertà. Questo processo continuerà fino a quando la depressione avrà raggiunto il livello più basso. Quando e come? Ovviamente non lo sappiamo.
Dobbiamo continuare a portare avanti l'agenda di difesa degli interessi dei lavoratori ispirato dal Programma di transizione. Dobbiamo perseverare e propagandare questo programma senza scoraggiarci, senza aspettarci una reazione esplosiva immediata da parte della classe operaia. Di certo é logico che la prima reazione della nostra classe ai ripetuti colpi sia l'ansia, un atteggiamento di mera attesa. Gli effetti che questo stato d’animo può comportare sono false speranze in diverse risposte per superare la crisi dell'economia senza toccare il regno del grande capitale, o illusioni di un intervento estremo.
Anche nella precedente grande crisi del capitalismo, dopo il crollo del Giovedì Nero del 1929, le prime massicce reazioni della classe operaia arrivarono anni dopo. Non bisogna dimenticare che il nazismo, la peggiore forma di regime per preservare il dominio borghese, è stato generato dalla stessa intensificazione della lotta di classe che ha portato alle grandi mobilitazioni operaie. Ricordiamo la lotta in Francia nel 1936, la rivolta in Spagna e i potenti scioperi negli Stati Uniti.
L'atteggiamento attendista della classe operaia è ulteriormente rafforzato da quello della borghesia nei paesi imperialisti, soprattutto nei territori con una forte tradizione statalista.
In Francia in particolare ma anche in Italia, lo Stato ha cercato e cerca ancora di preservare gli ammortizzatori sociali, aggiungendovi, in questo periodo di crisi, un parziale indennizzo della disoccupazione per una parte della classe operaia.
Le misure dei governi per vietare i licenziamenti o per estendere il campo della cassa integrazione non sono certo un segno di generosità da parte loro. I capitalisti e soprattutto i loro rappresentanti politici vogliono salvaguardare la possibilità di una ripresa. Preferiscono mantenere i lavoratori di cui non potrebbero fare a meno in caso di ripresa dell'attività produttiva, tanto più se a pagarli ci pensa lo Stato.
Tutto fa pensare che la crisi continuerà a peggiorare nel prossimo periodo. Le aziende già in fase di fallimento virtuale chiuderanno, con reazioni a catena tra fornitori e subappaltatori. Anche se lo Stato farà di tutto per sostenerle, in assenza di un allargamento del mercato, le aziende chiuderanno o licenzieranno in massa. Dopo i lavoratori precari, che già hanno perso il lavoro, toccherà a quelli qualificati. Ad essi si aggiungeranno molti altri, di quella parte della piccola borghesia sull'orlo della rovina, che saranno spinti verso la proletarizzazione.
I nostri mezzi di propaganda e di agitazione sono certamente limitati. Ma dobbiamo difendere il nostro programma e proporre una politica adeguata alla situazione del momento. In un periodo di crisi, le cose mutano molto rapidamente. Come possono cambiare i rapporti tra le diverse componenti della piccola borghesia e la classe operaia? L'inasprirsi della lotta ci porterà a proporre molti altri punti del Programma di transizione oltre a quelli relativi al mantenimento dei posti di lavoro e degli stipendi.
In un periodo in cui il movimento operaio è assente dalla scena politica, e comunque privo di prospettive di classe, gli scontri tra i politici si limitano a opzioni che mirano tutte a preservare il capitalismo e il dominio della borghesia. Per quanto diverse possano apparire queste alternative, per quanto violenta possa diventare la loro espressione in seguito, tutte contribuiscono ad avvelenare l'animo della classe operaia, a dividerla secondo scelte favorevoli alla borghesia e a distoglierla dalla coscienza di classe.
Difendere una politica di classe va ben oltre la proposta di un programma di lotta per gli scontri futuri. Consiste nella dimostrazione del carattere fasullo di tutte le politiche ispirate alla conservazione dell'ordine capitalista.
In questo momento, bisogna contrastare tutte le forme di ripiegamento nazionale, protezionismo o sovranismo, propagate sia dai riformisti che dall'estrema destra. Non si tratta solo di denunciare la loro assurdità in un'economia globalizzata ormai consolidata, ma di combattere il loro carattere reazionario. Nella migliore delle ipotesi il sovranismo è una demagogia vuota perché, in questo tipo di sistema economico, la borghesia imperialista lo può attuare solo in aree ristrette e parziali. E anche entro questi limiti, sarebbe a costo di un enorme spreco di lavoro umano.
Trotsky scriveva nel 1933, in un testo dedicato allo statalismo capitalista difeso sia dai riformisti che dai fascisti: "... l'attuale cosiddetta economia pianificata va considerata come una fase assolutamente reazionaria: il capitalismo di stato aspira a strappare l'economia dalla divisione internazionale del lavoro, ad adattare le forze produttive al letto di Procuste dello stato nazionale, a ridurre artificialmente l'economia in certi rami e a creare artificialmente altri rami con l'aiuto di immense false spese. La politica economica dello stato attuale, a partire da controlli doganali del tipo della vecchia Cina per finire con gli episodi di messa al bando delle macchine nella "economia pianificata" di Hitler, ottiene una regolazione instabile a costo di abbassare l'economia nazionale, introducendo il caos nelle relazioni mondiali...".
Queste considerazioni di Trotsky derivavano dalla sua visione marxista del mondo. L'agonia del mondo capitalista appare molto più lunga di quella che Marx e diverse generazioni di rivoluzionari marxisti potevano immaginare. Le forme di organizzazione sociale non sono modellate sull'organismo dell'essere umano. Tutti gli aspetti del capitalismo stesso, la globalizzazione dell'economia e delle idee, la crescente assurdità della proprietà privata e dei confini nazionali rispetto ai progressi della tecnologia e della cultura, mostrano quanto la società sia gonfia di una forma di organizzazione collettiva su scala internazionale. Ma il regno della borghesia scomparirà solo quando sarà rovesciata.
"Non si tratta di capire il mondo, ma di trasformarlo", diceva Marx, in sostanza, già nel 1845. Seguire passo dopo passo l'agonia del capitalismo ha senso ed è utile solo per preparare il rovesciamento rivoluzionario dell'ordine sociale esistente.
Anche se la borghesia è potente e il suo potere politico consolidato, le forze profonde che agiscono sull'economia e sulla società lo sono molto di più. Come ai tempi di Marx, e in misura molto maggiore adesso, tutte le tendenze dell'economia vanno in direzione di una sua crescente socializzazione. Tranne nel caso di una catastrofe tale da mettere in discussione l'esistenza stessa del genere umano, la borghesia non può far tornare indietro le lancette dell’orologio della storia, può solo rallentarle e ritardare le scadenze.
Un secolo e mezzo dopo le analisi di Marx, tutte le tendenze che egli aveva rilevato nella società e sulle quali aveva basato le sue convinzioni socialiste si manifestano oggi, e in un modo decisamente più forte che ai suoi tempi. È proprio la profondità delle sue analisi che fa del suo un socialismo scientifico in contrapposizione a quello utopistico dei suoi predecessori. È scientifico nel senso che il suo socialismo non è nato da un sogno utopico, ma dall'analisi della società capitalista e delle sue dinamiche interne.
Ciò che, negli scritti di Marx, era spesso un'anticipazione degli sviluppi futuri è diventato un dato di fatto. L'economia è socializzata in misura molto maggiore rispetto alla sua epoca. Il capitalismo non si è sviluppato solo in una dozzina di paesi dell’Europa occidentale e del nord America come ai tempi di Marx. Ha conquistato il mondo intero. La socializzazione della produzione è mondiale. Dall'estrazione delle materie prime al prodotto finale immesso sul mercato tramite i trasporti, il più piccolo articolo contiene il lavoro di centinaia e migliaia di lavoratori di tutto il mondo. Nella realtà, la produzione mette in contatto tra loro lavoratori di tutti gli stati rendendoli interdipendenti, anche se la maggior parte di loro non ne è consapevole o addirittura non sa in quale paese si è svolta la fase precedente della produzione. In altre parole, la globalizzazione e l'interdipendenza degli esseri umani ha raggiunto un livello che non può essere paragonato a quello dei tempi di Marx. I dittatori più potenti al servizio del gran capitale non possono cambiare questa situazione.
I demagoghi attuali, non tutti estremisti di destra, propongono l’obiettivo di un cosiddetto "sovranismo" che il regime nazista aveva già spinto al massimo in Germania. La politica di conquista incarnata da Hitler per allargare i confini tedeschi, che ha portato alla Seconda guerra mondiale, era già una dimostrazione dell'assurdità e della vacuità di questo concetto. Quando il nazismo fu sconfitto, la Germania capitalista si ricostruì reintegrando la divisione internazionale del lavoro e diventando la principale potenza esportatrice dell'Europa.
La globalizzazione non è solo economica, ma anche culturale, umana, se non altro grazie a tutte le invenzioni della tecnologia moderna, da Internet a tutti i suoi derivati. Tutte queste tendenze da cui derivano profondi cambiamenti nella società sono state prodotte dal dominio della borghesia sotto il capitalismo, poi ingabbiate nella logica del profitto privato.
La contraddizione tra le dinamiche della società e la sua organizzazione capitalistica sta andando contro l'umanità. L'energia atomica addomesticata può fornire l'elettricità che manca all'Africa ma anche portare ad un evento catastrofico come quello di Hiroshima. La comunicazione istantanea è messa al servizio della speculazione finanziaria automatizzata. Ma tutto questo dà alla comunità umana mezzi tecnici e sociali per controllare il suo destino che Marx non poteva nemmeno immaginare.
Questo era ancora vero mezzo secolo dopo, ai tempi di Lenin. Egli affermava in modo lapidario che il socialismo era il potere dei soviet più l'elettricità, poiché l'elettrificazione della Russia era ancora un obiettivo da raggiungere per il potere sovietico. Cento anni dopo, questo vale ancora in molte parti del mondo sottosviluppato. Ma nel frattempo l'uomo ha camminato sulla Luna e ha cominciato ad esplorare lo spazio.
Le condizioni economiche e sociali esistono. Tocca al proletariato svolgere il suo ruolo storico. Le tendenze collettive contenute nelle dinamiche del capitalismo possono realizzarsi solo con il rovesciamento rivoluzionario del dominio della borghesia, ultima classe dominante della storia dell'umanità, espropriandola del suo potere. Inoltre la società umana deve prendere in mano le sorti del proprio destino. Allora si potrà dire come Marx: "Ben scavato, vecchia talpa!".
15 ottobre 2020