La crisi senza fine dei profughi

Da Lutte de classe n°172 (Dicembre 2015 - gennaio 2016)

Con l'arrivo massiccio dei migranti nel corso del 2015, l'Europa è stata raggiunta brutal­mente dalla catastrofe sociale, economica e politica che finora si sviluppava nel Medio Oriente e in Africa. Il fatto che centinaia di migliaia di profughi, donne, uomini e bambini possano rischiare la vita attraversando il Me­diterraneo su qualche barcone, attraversan­do i muri di filo spinato ed affrontando la poli­zia antisommossa che cerca di fermarli, dà una misura della loro disperazione. La loro ri­cerca di un rifugio in Europa dell'ovest o del nord non è solo dettata dall'aspirazione ad una vita migliore, ma da qualcosa di vitale, il tentativo di sopravvivere sfuggendo alle guerre, alle distruzioni ed alla povertà che devastano i loro paesi d'origine.

Sebbene i dirigenti europei abbiano una re­sponsabilità schiacciante nella catastrofe alla quale i profughi cercano di scappare, nessu­no di loro , con l'eccezione relativa di Angela Merkel, ha mostrato la volontà di accogliere questi nuovi “dannati della terra” -per usare le parole dell'Internazionale- creati dal loro sistema imperialista di sovranità mondiale.

Al contrario, hanno cominciato a passarsi il problema l'un l'altro e a discutere di quanti profughi potevano accettare. Di fronte al mol­tiplicarsi dei drammi umani rivelati dai mass media, si sono finalmente messi d'accordo su un sistema di ripartizione per accogliere 120000 profughi nell'Unione europea (UE) in due anni. Questo numero era già inferiore al numero dei migranti entrati in Europa que­st'anno – tra 800000 e 900000 secondo le ci­fre dell'alto commissariato delle Nazioni Uni­te per i profughi (ACNUR)   – e riguardava soltanto migranti già registrati in Grecia o in Italia. Ma non appena l'inchiostro di questi accordi si è seccato, i dirigenti europei hanno cercato scuse per negare i loro impegni. Alla metà di novembre meno di 150 migranti era­no stati effettivamente “riassegnati” dalla Grecia o dall'Italia verso altri paesi europei.

Peggio ancora, gli attacchi terroristici di Pari­gi hanno fornito loro un bel pretesto per chiu­dere le frontiere dinanzi ai profughi. Sfruttan­do senza vergogna le paure della popolazio­ne, i dirigenti al potere, e non soltanto i loro oppositori d'estrema destra, non esitano a confondere i profughi, che fuggono precisa­mente il terrore e la guerra, con i terroristi dell'Isis. Il primo ministro francese Manuel Valls, con la scusa che uno dei terroristi di Parigi era riuscito ad attraversare l'Europa mescolandosi col flusso di profughi, ha di­chiarato ad un quotidiano tedesco: “non pos­siamo più accogliere profughi”, prima di chie­dere esplicitamente “la chiusura delle frontie­re dell'Europa”. E infatti, dalla Grecia alla Svezia e alla Francia, le frontiere interne ed esterne dello spazio Schengen, questo spa­zio di libera circolazione tra 26 stati europei, si chiudono l'una dopo l'altra.

Un'onda di profughi generata dalla cre­scente barbarie dell'ordine imperialista

Il fenomeno dei profughi che attraversano l'Africa, il Medio Oriente e l'Asia verso l'Euro­pa per trovare lavoro o sfuggire alle guerre provocate dall'imperialismo non è nuovo. Ma l'importanza della crisi attuale gli dà un'altra dimensione: si tratta del più vasto movimento di profughi dalla divisione dell'India coloniale britannica nel 1947, che causò la partenza di più di dieci milioni di persone per raggiunge­re l'India o il Pakistan nuovamente indipen­denti.

Nel 2014, secondo l'ACNUR, 59,5 milioni di persone su scala mondiale hanno dovuto partire da casa, la cifra più elevata dalla se­conda guerra mondiale. Così, ogni giorno 42500 persone circa sono scappate dalle zone di guerra! Provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan, Somalia, Eritrea e Sudan. I profughi che oggi arrivano in Europa dell'o­vest e del nord vengono innanzitutto da questi stessi paesi, a cui bisogna aggiungere il Kosovo, il Montenegro e l'Albania, dove i migranti fuggono la disoccupazione, la corru­zione e la miseria.

L'inferno ed il caos a cui vogliono scappare sono provocati direttamente o indirettamente dagli interventi imperialisti in questi vari pae­si. Senza risalire al periodo coloniale o post-coloniale, il bilancio dell'occupazione dell'Af­ghanistan iniziata nel 2001 dalla coalizione internazionale in nome della “lotta al terrori­smo” è senza appello. Quattordici anni dopo, a due anni dalla partenza delle truppe NATO che pretendevano di lasciare un paese in pace con un governo centrale rispettato, re­gioni intere sono sotto il controllo di gruppi ri­belli concorrenti, compresi i talebani. La po­polazione è direttamente vittima della guerra tra queste cricche per il controllo dei territori.

Dall'Iraq nel 2003 alla Libia nel 2011, gli in­terventi imperialisti hanno creato un vuoto politico che ha aperto uno spazio all'emerge­re di milizie islamiche rivali che si contendo­no il potere politico. Da quel momento questi paesi si sono trasformati in zone di guerra dove le popolazioni sono prese tra i fuochi di queste milizie e sottoposte alla loro brutale dittatura. Alle distruzioni causate dall'aggres­sione occidentale si sono aggiunte le deva­stazioni causate da guerre civili feroci. Il crol­lo economico ha ridotto la popolazione in po­vertà. Non c'è più futuro per nessuno in que­ste regioni.

La situazione della Siria mostra fin troppo bene il cinismo delle grandi potenze ed il loro disprezzo per la sorte delle popolazioni. Esse hanno prima sostenuto le varie milizie siriane opposte al regime di Bachar al-Assad, com­prese le milizie islamiste che nelle città sotto il loro controllo imponevano una dittatura selvaggia come quella del regime di Assad. Hanno lasciato i loro alleati regionali, Arabia Saudita, Turchia o Qatar, armare e finanziare queste milizie, tra cui quelle che avrebbero rapidamente aderito all'Isis. Poi, quando l'Isis assunse il controllo di un vasto territorio a ca­vallo di Iraq e Siria e incominciò a minacciare direttamente gli interessi occidentali, le gran­di potenze lanciarono bombe sulla popo­lazione siriana delle città occupate dall'Isis stesso. Ultima involuzione, i dirigenti imperia­listi, dopo gli attentati di Parigi, si preparano a fare di Assad, boia del suo popolo e re­sponsabile di circa 250000 morti in Siria, un loro nuovo alleato nella guerra all'Isis. L'eser­cito di questo Assad, di cui volevano la cadu­ta non tanto perché era un dittatore feroce ma perché il suo regime non era abbastanza controllabile, oggi sembra a loro quello nella posizione migliore per combattere l'Isis sul terreno .

Questa nuova involuzione potrà solo spinge­re nuovi contingenti della popolazione siriana sulle strade dell'esodo. Su 23 milioni di Siria­ni, 4,3 milioni si sono già rifugiati all'estero. La metà di questi, più di 2,1 milioni, si trova in Medio Oriente, per la maggior parte in Li­bano e Giordania, dove rappresentano un enorme fardello per le risorse limitate di que­sti paesi. La popolazione del Libano, ad esempio, è aumentata del 20% a causa del­l'afflusso di profughi. Le condizioni di vita sono spesso insopportabili. Il campo di Zaa­tari, in Giordania, accoglie più di 120 000 profughi, per cui è il secondo più grande campo profughi del mondo. Muri di filo spina­to lo circondano e nessuno lo può lasciare senza autorizzazione delle autorità del cam­po. Non c'è acqua corrente potabile e le in­terruzioni di corrente elettrica sono frequenti.

La situazione è così intollerabile che alcuni residenti hanno preferito attraversare la Si­ria, nonostante la guerra civile, per cercare di raggiungere la Turchia. Questo paese è la prima destinazione dei profughi siriani con 1,9 milione di registrati presso l'ACNUR. Ol­tre la sua lunga frontiera con la Siria, la Tur­chia è percepita da numerosi profughi come la porta d'ingresso in Europa e quindi anche come la speranza di sfuggire all'inferno. 450000 di loro, meno del 10% del totale dei profughi siriani, sono riusciti ad insediarvisi quest'anno.

Ad eccezione di Somalia, Mali o Repubblica centrafricana, gli eserciti imperialisti non sono stati impegnati recentemente in aggres­sioni su vasta scala nel corno d'Africa o in Africa sub-sahariana. Ma le grandi società imperialiste non hanno mai smesso di rubare le risorse di quei paesi, che si tratti del petrolio in Sudan e in Nigeria o dell'uranio e di altri metalli preziosi in Repubblica democratica del Congo e in Niger, tra gli altri. Esse, per proteggere questo furto di risorse naturali, hanno fatto sorgere ed hanno armato per decenni violente dittature. Le milizie etniche e religiose apparse in questi paesi terrorizzano la popolazione e strumentalizzano la rabbia provocata dalla brutalità di queste dittature e dalla povertà generata dai furti delle multinazionali.

Un lungo e doloroso percorso verso l'Eu­ropa trasformata in fortezza

La maggior parte dei profughi provenienti dal continente africano percorre la Libia per poi attraversare il Mediterraneo in direzione del­l'Europa. Essi fuggono dalle ricorrenti care­stie che presenti in vaste regioni del Nord Sudan o dal potere brutale di milizie etniche o islamiche in paesi a sud del Sahara o del corno d'Africa. Ma i profughi, non appena giunti in Libia, paese che dal tempo dell'inter­vento occidentale, avvenuto nel 2011, è sotto il controllo dei signori della guerra tra loro ri­vali, sono parcheggiati, picchiati e rinchiusi per giorni, senza cibo né acqua, per opera di gruppi locali che ricattano i loro prigionieri o cercano di farsi pagare operando come po­lizia al confine.

I profughi che riescono a sottrarsi alle ves­sazioni dei gruppi libici rischiano la vita su barconi riempiti oltre la loro capacità per at­traversare il Mediterraneo. In Turchia, la cui frontiera terrestre con la Grecia è stata chiu­sa, migliaia di profughi tentano anche di rag­giungere questo paese per mare. Così, ogni settimana, decine di bambini, donne e uomini annegano quando provano ad attraversare il mare. 3 510 sono morti durante i primi dieci mesi di quest'anno. Secondo l'organizzazio­ne internazionale per le migrazioni (OMI), sa­rebbero 22000 ad avere perso la vita tra il 2000 ed il 2014, una cifra certamente molto sottovalutata.

I sopravvissuti trovano davanti a loro i muri ed il filo spinato che ormai si ergono in tutta Europa. Sono arrestati, bloccati, costretti a fi­darsi di trafficanti senza scrupoli, rischiano di morire asfissiati nei cassoni dei camion, vio­lentati o derubati per strada, parcheggiati in campi infami come quello di Calais. I nume­rosi reportages su questo campo battezzato “la giungla” e costruito vicino all'entrata del tunnel sotto la Manica, ne hanno dato un'i­dea . È un luogo infestato di ratti, il sistema d'acqua è contaminato, il numero dei bagni è irrisorio e la popolazione è colpita da ogni specie di malattia. Le condizioni sono com­parabili a quelle dei molteplici campi che co­stellano l'Europa, che si tratti di campi di for­tuna costruiti dai migranti stessi o di centri di detenzione controllati dai governi.

Con l'arrivo dell'inverno, che si aggiunge alla fortificazione delle frontiere al sud dell'Euro­pa, dall'Ungheria alla Slovenia ed alla Bulga­ria, la situazione dei migranti non cessa di peggiorare. Si sono già riportati casi d'ipoter­mia e di polmonite fra i profughi. L'ACNUR ha distribuito coperte, ma in numero molto in­sufficiente, e tanto inadatte quanto le tende utilizzate nei campi d'emergenza per profu­ghi quando piove forte o quando la tempera­tura si avvicina allo zero.

Ecco come queste centinaia di migliaia di donne e di uomini sono accolte dai governi della ricca Europa , direttamente responsabili della barbarie da cui fuggono questi profu­ghi, gli stessi governi che si atteggiano a protettori della civiltà, della democrazia e dei diritti dell'uomo.

La demagogia reazionaria dei dirigenti eu­ropei

È ovvio che l'Unione europea, con i suoi 515 milioni di abitanti, potrebbe accogliere senza difficoltà alcuni milioni di profughi. Se fosse garantita loro la libertà di circolazione e d'in­sediamento, i profughi si ripartirebbero spon­taneamente in tutta Europa. Potrebbero tro­vare sostegno presso le loro famiglie o i pa­renti e grazie ai molteplici slanci di generosi­tà che sempre si esprimono di fronte ai drammi o alle catastrofi naturali o umanitarie. Ricordiamo l'onda di solidarietà che si è espressa, in particolare in Germania ma non solo, dopo la morte del piccolo Aylan nel settembre scorso. In Germania, la dedizione di migliaia di volontari ha in gran parte contribuito a fornire abiti e prodotti alimentari, ma anche a fornire cure o promuovere corsi di lingua per i circa 800000 profughi arrivati in questo paese nel corso dell'anno, e di cui molti sono costretti a vivere in locali provvisori o in villaggi di tende. Di fronte alle manifestazioni xenofobe e razziste, aizzate dalla demagogia reazionaria di una frazione della classe politica in Germania, questo movimento di solidarietà è un buon segno per il futuro.

Quando Manuel Valls osa dire, come si evince da una dichiarazione fatta alla fine di novembre ad un quotidiano tedesco, che “la popolazione non capirebbe che si continuas­se a lasciare le frontiere aperte dopo gli at­tentati”, fa una scelta politica: quella di far leva , alimentandoli, sulla sfiducia e sul ripie­gamento nazionalistico, quella di cercare ca­pri espiatori per giustificare la disoccupazio­ne e l'aumento della miseria, quella di lusin­gare gli elettori del Fronte nazionale piuttosto che di combattere i peggiori pregiudizi. Quando Valls, Hollande o Sarkozy vogliono far accettare i peggiori regressi sociali, re­spingere l'età della pensione o demolire i di­ritti dei lavoratori, non arretrano col pretesto che “la popolazione non capirebbe”: anzi, moltiplicano le campagne di propaganda per influenzare l'opinione pubblica e farle accet­tare I loro progetti.

Da un capo all'altro dell'Europa, sia con go­verni apertamente di destra come in Gran Bretagna ed in Ungheria, sia con governi che si dicono di sinistra come in Francia, tutti scelgono di rincarare la dose nel campo della difesa dell'“interesse nazionale”. Incapaci di arrestare la disoccupazione e spronati dall'a­scesa dei partiti d'estrema destra, moltiplica­no le leggi repressive per gli stranieri in situa­zione irregolare, rendendo a tutti la vita quoti­diana sempre più difficile e alimentando sen­za fine la demagogia xenofoba.

Le ultime decisioni dei dirigenti europei ri­spetto ai profughi vanno in questa direzio­ne. Mentre il loro piano di ripartizione di 120000 profughi in due anni stenta a comin­ciare ed è apertamente contestato da molti paesi, ormai preparano gli strumenti atti a re­spingere fuori d'Europa numerosi migranti che l'hanno raggiunta.

I paesi europei più ricchi, Gran Bretagna, Francia e Germania, esigono che i paesi me­diterranei dello spazio Schengen, Grecia e Italia, controllino meglio le loro frontiere. Vo­gliono imporre ai paesi di transito, come Tur­chia, Libano o Serbia, estranei allo spazio Schengen, di parcheggiare i candidati all'esi­lio in campi che i dirigenti europei chiamano pudicamente “hotspots”. Saranno veri e pro­pri campi di smistamento destinati a sceglie­re i migranti che saranno ammessi sul territo­rio europeo in funzione della loro nazionalità, della loro qualità di rifugiati politici o di mi­granti economici, ma anche del loro livello di qualifica professionale. Non si sa ciò che è più ignobile in questa politica: organizzare tale selezione tra i migranti, come se fuggire la miseria fosse meno vitale che fuggire la guerra, o dare in subappalto questo lavoro sporco a paesi poveri già sopraffatti dall'af­flusso di profughi!

La Grecia, dopo la minaccia di esclusione dall'eurozona a causa dell'indebitamento ec­cessivo, subisce ora quella di essere estro­messa dallo spazio Schengen per insufficien­te sorveglianza delle proprie frontiere. Il go­verno greco, dopo il controllo economico del­la troika, ha dovuto accettare l'intervento di Rabit, una brigata speciale di guardie di fron­tiera dell'agenzia europea Frontex, incaricata di rafforzare i controlli tra Grecia e Turchia. La Commissione europea, sostenuta da Pari­gi e Berlino, vorrebbe aumentarne l'organico e, soprattutto, poterla dispiegare anche sen­za l'autorizzazione degli stati interessati.

Contemporaneamente a queste misure volte ad arginare l'afflusso di migranti verso l'Euro­pa, i governi di vari paesi, in primis quelli più ricchi, moltiplicano le espulsioni di migranti clandestini o di profughi la cui domanda di diritto d'asilo è stata respinta. Sotto Hollande, il numero di espulsioni e di rinvii in centri di detenzione amministrativa è aumentato rispetto al periodo di Sarkozy. Con lo stato di emergenza e la moltiplicazione dei controlli polizieschi, gli arresti di lavoratori sans papiers possono solo aumentare.

In Germania, la cancelliera Angela Merkel si è inizialmente atteggiata a grande umanista con la sua promessa di accogliere senza ri­serva un gran numero di profughi. Ma non è durato a lungo. Di fronte ad una ribellione a destra del suo partito e alle contestazioni del­l'estrema destra, la Merkel ha rapidamente cambiato tattica, ristabilendo il controllo alle frontiere, e prendendosela con i profughi balcani ed afghani, a cui si è intimato di tor­nare a casa loro. Come se i profughi afghani non fuggissero da una guerra civile sangui­nosa aizzata dalle potenze imperialiste! Come se quelli dei Balcani, che vengono so­prattutto dall'Albania e dal Kosovo, non fug­gissero dalle devastazioni generate dalla guerra civile che è seguita all'esplosione della Jugoslavia!

Dall'inizio di novembre, i cittadini dell'Albania, del Montenegro e del Kosovo non possono più pretendere il diritto d'asilo in Germania, col solo pretesto che questi paesi sarebbero di colpo diventati sicuri. Migliaia di kosovari, giunti clandestinamente in Germania a lavo­rare, quest'autunno sono stati rimandati in Kosovo. Il Parlamento tedesco ha deciso di accelerare le procedure di espulsioni per co­loro a cui non è stato riconosciuto il diritto d'asilo.

Nello stesso tempo, Viktor Orban, Primo Mi­nistro d'Ungheria, e uomo politico di destra, nell'ambito del suo rilancio xenofobo rispetto al partito d'estrema destra Jobbik e agendo come subappaltatore di Germania ed Au­stria, vieta ai profughi di attraversare il suo paese costruendo un muro di filo spinato ta­gliente lungo la frontiera con Serbia e Croa­zia. In maniera solo un po' meno folle, i go­verni sloveni e bulgari erigono anch'essi si­mili difese contro i profughi che cercano di­speratamente una nuova via d'accesso quando un paese richiude i propri confini. L'Austria ha annunciato a sua volta la costru­zione di una barriera contro gli immigrati alla frontiera con la Slovenia.

Sì alla libertà di circolazione

Con questa barriera, si rafforza una frontiera interna allo spazio Schengen. Tanto vale dire che la libertà di circolazione sta per diventare un mito. La crisi dei migranti, come la crisi dell'euro prima di essa, mostra tutti i limiti ed allarga tutte le crepe di un'Unione europea controllata da un pugno di grandi potenze dagli interessi contraddittori.

La borghesia europea ci tiene alla libertà di circolazione, non dei profughi ma delle merci, dei capitali, eventualmente della manodope­ra. Il ristabilimento dei controlli alle frontiere, che siano decisi in seguito agli attentati o per impedire l'arrivo dei migranti, ostacola il fun­zionamento dell'economia borghese con i suoi andirivieni di camion che alimentano fabbriche situate in tutta Europa. Un ritorno indietro definitivo limiterebbe considerevol­mente il ricorso al subappalto ed alle molte­plici delocalizzazioni finendo col peggiorare la crisi economica. D'altra parte, la borghesia tedesca non vuole sopportare da sola il costo dell'accoglienza di uno o più milioni di profu­ghi, non più del governo britannico che non vuole lasciare entrare i migranti di Calais sul suo territorio. È per questo che i dirigenti francesi, tedeschi e britannici esercitano una pressione sempre più forte sui paesi di desti­nazione perché respingano i migranti.

I lavoratori, da parte loro, non hanno nulla da guadagnare con il ristabilimento delle frontie­re nazionali che, nonostante le menzogne dei governanti di ogni specie, non li proteg­gerà né dalla disoccupazione, né dalle chiu­sure di fabbriche, né dalla concorrenza di al­tri sfruttati pronti a vendere ad ogni costo la loro forza lavoro per fare vivere la propria fa­miglia. Essi non ricaveranno alcun vantaggio neppure dal rafforzamento delle frontiere esterne dell'UE o dello spazio Schengen, che trasforma l'Europa in una fortezza sem­pre più inaccessibile ed il Mediterraneo in un immenso cimitero per i profughi.

I lavoratori non devono dare alcuna solida­rietà ai loro dirigenti, a cui non importa nulla della tragica sorte dei profughi, proprio quan­do questi sono vittime delle manovre delle potenze imperialiste che giocano col fuoco in Medio Oriente ed in tutto il continente africa­no.

Indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione o dalla lingua, i migranti sono “i dannati della terra”, i fratelli e le sorelle del­le classi operaie d'Europa con cui condivido­no il medesimo nemico: le classi capitalisti­che dei paesi ricchi. Non solo essi dovreb­bero essere accolti come profughi, ma ve­dersi anche accordato il diritto di circolare li­beramente ed ottenere i mezzi per stabilirsi dove vogliono. C'è abbastanza posto anche per loro. Quanto ai costi dell'accoglienza, spetta ai capitalisti pagarne il conto con i loro immensi profitti: è tempo che paghino i loro debiti!

13 dicembre 2015