Da “Lutte de classe” n°215 – Aprile 2021
I vaccini contro il coronavirus erano stati autorizzati dalle agenzie sanitarie di tutto il mondo ma, dopo quasi cinque mesi la vaccinazione stava ancora andando a rilento. Alla fine di marzo, solo 126 milioni di persone erano state completamente vaccinate e 320 milioni avevano ricevuto almeno una dose, il che rappresenta rispettivamente l'1,5% e il 4% della popolazione mondiale. Mancano le dosi di vaccini, ma non i profitti ai cosiddetti "Big Pharma", i grandi gruppi industriali farmaceutici. Questi sono riusciti ad accumularne ancor prima di produrre.
L'industria farmaceutica è un settore estremamente concentrato. Una decina di grandi gruppi industriali americani ed europei dominano il mercato mondiale. I margini di profitto sono tra i più alti di tutti i settore economici, più o meno allo stesso livello del settore bancario. Quello specifico dei vaccini è ancora più concentrato. Quattro gruppi si dividono la maggior parte del mercato: gli americani Pfizer e Johnson & Johnson, il britannico GSK e il francese Sanofi. Essi hanno legami stretti e privilegiati con gli Stati, con i quali concordano il costo dei loro medicinali a caro prezzo perché, tramite i sistemi sanitari statali, i mercati sono loro. Per di più, sono gli Stati che anticipano il denaro.
Quando il coronavirus si è diffuso in tutti i continenti, questi grandi gruppi hanno visto aprirsi davanti a loro un mercato gigantesco: quello di un nuovo vaccino per miliardi di esseri umani, forse da rinnovare ogni anno come accade per l'influenza. Tutto questo ha alimentato le rivalità e gli appetiti, e ha rimescolato alcune carte.
La corsa alla quota di mercato e l'intervento dei governi
I quattro giganti del settore sono entrati in gara. Alcuni sono andati avanti da soli, come Johnson & Johnson, altri hanno unito le forze, come Sanofi e GSK, e altri ancora si sono appropriati delle ricerche fatte dalle start-up di vaccini, come Pfizer con la società tedesca BioNTech. Poi altri pezzi grossi dell'industria farmaceutica, anche non specializzati nel settore dei vaccini, sono stati coinvolti, attratti da questo nuovo mercato. Così è stato per la società anglo-svedese AstraZeneca, che ha messo le mani sul vaccino sviluppato dall'Università di Oxford. Alcune start-up, come Moderna, hanno anche cercato di distinguersi dalla massa e giocare in serie A.
Tutte queste società hanno avuto il sostegno finanziario dei governi fin dall'inizio. Per le grandi aziende, ciò è un dato di fatto. Ma anche Moderna ha legami privilegiati con il governo americano. Moncef Slaoui, il capo della struttura Warp Speed, istituita da Trump il 15 maggio 2020 e incaricata di distribuire 10 miliardi di dollari per sovvenzionare la ricerca sui vaccini, è stato un dirigente GSK prima di esserlo di Moderna.
Lo stato americano, grazie al suo potere finanziario, ha condotto e conduce il processo, servendo, su un piatto d’argento, l'accesso al mercato dei vaccini per il suo popolo ai trust che ha favorito. Già nel febbraio 2020 erano stati fatti i primi accordi con i grandi gruppi industriali del settore. Ed entro giugno, centinaia di milioni di dosi erano state acquistate in anticipo da Johnson & Johnson, Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Sanofi, tutte ditte con sede negli Stati Uniti.
Nel maggio 2020, l'amministratore delegato della Sanofi, Paul Hudson, ha detto che gli Stati Uniti avrebbero "ottenuto i vaccini per primi" perché avevano pagato per primi. Era già un modo per spingere l'Europa a mettere la mano in tasca e ordinare centinaia di milioni di dosi.
Gli stati europei sono stati lenti a competere con gli Stati Uniti perché non riuscivano a concordare un sistema con cui i paesi più potenti avrebbero potuto sostenere il loro campione industriale nazionale e allo stesso tempo parlare a nome dell'intero mercato europeo. Ci sono riusciti con qualche mese di ritardo. Tutti i grandi trust europei sono stati serviti: l'anglo-svedese AstraZeneca, la filiale belga Janssen di Johnson & Johnson, e il raggruppamento tedesco-svizzero Curevax, associato a Bayer e Novartis. Il contratto con Sanofi per diverse centinaia di milioni di dosi non è stato annullato, nonostante le difficoltà tecniche del laboratorio. È stato solo rimandato fino alla consegna del vaccino promesso per l'autunno 2021.
In totale, 4,6 miliardi di dosi sono state acquistate dagli stati più ricchi del mondo, anche se la loro popolazione totale è di meno di un miliardo di abiitanti. Questo significa che in media sono state acquistate più di quattro dosi pro capite, mentre oggi meno del 10% della popolazione è stato vaccinato. Sono cifre che mostrano fino a che punto l'industria farmaceutica è stata sovvenzionata nche se poi non è riuscita a fornire le dosi per le quali si era impegnata.
Un protezionismo appena nascosto
Una volta raggiunta questa condivisione iniziale della torta, ogni gruppo è andato per la sua strada per sviluppare e produrre vaccini, mentre gli Stati facevano di tutto per favorire la loro industria nazionale.
A fine marzo, mentre in Europa gli Stati chiedevano decine di milioni di dosi alla AstraZeneca, negli Stati Uniti questo gruppo non era ancora riuscito a fare approvare il suo vaccino. Nel novembre 2020, mentre in Gran Bretagna il governo aveva iniziato a iniettare questo vaccino a milioni di persone, l'agenzia sanitaria americana rifiutava di utilizzarlo esigendo una nuova sperimentazione clinica su un campione della propria popolazione. Il gruppo dovette adeguarsi e ha pubblicato nuovi risultati il 22 marzo. Nonostante ciò l'agenzia americana ha trovato un modo per rifiutare di accettarli. Nel frattempo, Pfizer, Moderna e ora Johnson & Johnson stanno vendendo i loro vaccini sul mercato statunitense.
Più ancora, nei suoi siti di produzione statunitensi la AstraZeneca ha già prodotto 30 milioni di dosi di vaccini che sono attualmente inutilizzabili sul suolo americano. Inoltre il governo ha vietato che siano esportati in Europa, avvantaggiando ancora di più i concorrenti americani della ditta anglo-svedese, che possono vendere più dosi sul mercato europeo.
I vaccini russi e cinesi, d'altra parte, non hanno avuto accesso né al mercato statunitense né a quelli degli stati europei più ricchi. I pretesti propagandistici e sanitari per non approvarli non sono altro che misure protezionistiche. In occasione del braccio di ferro tra l'Unione Europea e il gruppo AstraZeneca, la dirigente tedesca Angela Merkel ha minacciato di ordinare dosi del vaccino russo Sputnik V, dimostrando così che lo considera efficace e che solo questioni commerciali hanno motivato il boicottaggio. La Merkel metterà in atto ciò che ha detto? Le conseguenze politiche della crisi sanitaria in Germania e la sua popolarità in declino potrebbero spingerla a farlo. Ma sarà probabilmente solo un ordine per una fornitura limitata, poiché l'approvazione del vaccino del gruppo tedesco Curevac prodotto dai giganti Bayer e Novartis è prevista per il secondo trimestre di quest'anno.
In Francia, la Sanofi ha annunciato che userà uno dei suoi siti per preparare 20 milioni di dosi al mese del vaccino di Johnson & Johnson a partire dal prossimo settembre. Il governo francese ha accolto questa collaborazione presentandola quasi come un atto altruistico. Ma la realtà è che Sanofi ha i mezzi per produrre molte più dosi e le sta riservando per il proprio vaccino, che dovrebbe essere disponibile, con ritardo, nel prossimo novembre. È ciò che, il presidente di Sanofi Francia ha ammesso il 17 marzo davanti a una commissione del Senato, dichiarando che il suo gruppo aveva "capacità industriali molto forti" con "diciotto stabilimenti, in nove regioni della Francia" e che questi stabilimenti potevano produrre "un miliardo di dosi all'anno". Il suo gruppo ha scelto un vaccino ad adenovirus, e si atterrà ad esso: "Sappiamo che ci vorrà più tempo, ma abbiamo una garanzia superiore che questa tecnologia possa funzionare. E il governo francese farà tutto il possibile per permettere a Sanofi di affermarsi sul mercato nazionale ed europeo".
I grandi della farmacia non hanno realmente investito né nella produzione né nella ricerca
Se alcuni impianti di produzione sono sottoutilizzati, altri lo sono al massimo, come quelli di Pfizer o AstraZeneca, le cui fabbriche europee funzionano 24 ore al giorno. Ma le stesse aziende che attualmente hanno un vaccino da vendere non vedono il motivo di investire per aumentare la produzione. Anzi, la carenza di vaccini consente loro di vendere le dosi ad un prezzo elevato. È la vecchia politica malthusiana dei trust in tutti i settori dell'economia quando hanno un monopolio e possono spartirsi il mercato: limitare la produzione per creare o esacerbare la penuria e potere vendere a un prezzo più alto. Nel suo bilancio finanziario, Moderna ha rivelato che era riuscito a vendere il suo vaccino a un prezzo così alto che il costo di produzione vi incideva solo per il 4%. E non è stato l'investimento nella ricerca a costarglielo. La ragione per cui i vaccini a RNA messaggero di Moderna e Pfizer/BioNTech sono una tecnologia veramente rivoluzionaria, secondo gli scienziati, è che sono basati su quasi 30 anni di ricerca di laboratori universitari pubblici americani ed europei. I gruppi privati sono venuti a raccogliere ciò che era stato seminato dagli investimenti pubblici.
Questi gruppi sfruttano per speculare, in particolare nel settore delle biotecnologie, i miliardi di euro provenienti dalla vendita di vaccini non prodotti. In Borsa, il valore delle azioni di Moderna è aumentato di quasi sei volte in un anno, quello di BioNTech di più di tre volte e quello di Novavax, un'altra start-up del settore che sta per lanciare un vaccino con GSK, di più di 15 volte. Ci sono decine di aziende emergenti le cui azioni in borsa sono oggetto di speculazione. In questo casinò finanziario, i guadagni possono essere ancora più grandi e veloci che nella vendita di vaccini.
I sistemi sanitari sono sopraffatti e i morti si accumulano. Ma ad uccidere non è il virus, è questa organizzazione sociale dove prevale la guerra economica tra i trust e tra gli Stati che li sostengono, e un parassitismo finanziario che arricchisce una minuscola minoranza a spese dell'immensa maggioranza. Questo non può che suscitare disgusto.
Intervistata all'inizio dell'epidemia, un anno fa, durante un programma sulla corsa al vaccino, l'economista Sylvie Matelly ha dichiarato che mettere in comune le ricerche di tutti i laboratori del mondo e tutte le capacità di produzione sarebbe straordinario ma rimane un "dolce sogno". La sua prognosi era giusta e scontata. E finché regna la proprietà privata dei mezzi di produzione, l'umanità si troverà sempre davanti a tali incubi.
31 marzo 2021