La capitolazione di Tsipras di fronte alle grandi potenze

Da Lutte de classe n°170 (settembre-ottobre 2015)

Il primo ministro greco Tsipras, arrivato al po­tere dopo aver vinto le elezioni politiche del gennaio 2015 e con la promessa di rompere con le politiche d'austerità dei predecessori, ha finito col sottomettersi completamente alle esigenze dei creditori del paese. Il leader, con l'accordo firmato il 13 luglio a Bruxelles, si è impegnato ad imporre nuovi sacrifici alla sua popolazione. Questo accordo, come quelli precedenti, costituisce un "piano di aiu­ti alla Grecia".

Gli 80 miliardi di euro circa sbloccati dai dirigenti europei serviranno, infatti, a pagare innanzitutto la somma del debito giunta a scadenza che lo Stato greco deve onorare, senza che tale debito sia per questo diminuito. Una parte di questa somma è destinata alla ricapitalizzazione del settore bancario. Ciò significa che la popo­lazione greca non ne vedrà neanche un cen­tesimo. È in realtà la continuazione della politica che ha condotto lo Stato greco al suo fallimento attuale, politica che Syriza affer­mava di voler rimettere in discussione.

Quanto alle contropartite imposte al governo greco, anche quelle sono nella continuità dei memorandum precedenti, denominazione data a questi testi in cui gli strozzini della Grecia stilavano l'infinito elenco delle loro esigenze. L'accordo attuale prevede un au­mento dell'IVA, una riforma delle pensioni che comporta allo stesso tempo il rinvio pro­gressivo dell'età del pensionamento a 67 anni e la soppressione dell'indennità asse­gnata alle pensioni più modeste, una riforma fiscale, una riforma del mercato del lavoro nel senso di una liberalizzazione che faciliti i licenziamenti, una riforma del mercato inter­no secondo le raccomandazioni dell'OCSE (che include, ad esempio, una legislazione sull'apertura domenicale dei negozi)... Si pre­vede l'attuazione di tagli quasi automatici delle spese in caso di "eccesso" di bilancio e si cita il fatto che Atene dovrà "consultare le istituzioni creditrici e decidere con esse di ogni progetto legislativo nei settori interessati entro un termine adeguato, prima di sottoporlo alla consultazione pubblica o al Parlamento". Per quanto riguarda le privatizzazioni, dovrà essere creato un fondo sottoposto al controllo delle autorità europee al fine di vendere gli attivi dello Stato con l'obiettivo di generare l'enorme somma di 50 miliardi di euro.

La capitolazione di Tsipras è stata resa an­cor più spettacolare in quanto una settimana prima, il 5 luglio, egli aveva promosso un re­ferendum per presentare gran parte di queste misure alla popolazione greca, che le aveva respinte con più del 61 % dei voti.

Ma questo risultato, non più di qualunque altra votazione precedente, poteva influire sul­l'atteggiamento dei dirigenti europei. Al con­trario, all'indomani di questa consultazione, costoro hanno ancora aumentato le loro esigenze per arrivare al "catalogo degli or­rori" testé riportato, un'espressione utilizzata dalla rivista tedesca Der Spiegel per riferire sulle misure imposte alla Grecia. È chiaro che hanno voluto punire la popolazione gre­ca “colpevole” di aver osato sfidarli portando Tsipras al potere.

La dittatura del grande capitale all'opera

I dirigenti europei, dando prova del più com­pleto disprezzo per le volontà espresse dalla popolazione, hanno utilizzato l'arma finan­ziaria, cessando ogni pagamento, asfis­siando l'economia greca, imponendo la chiu­sura del sistema bancario e portando il paese sull'orlo del fallimento. Varoufakis, ex-ministro delle finanze di Tsipras, in un arti­colo comparso su Le Monde diplomatique del mese d'agosto, dove egli descrive le riu­nioni con i suoi colleghi europei, riassume così le motivazioni dei suoi interlocutori: "In pubblico, i creditori affermavano il loro desi­derio di recuperare il loro denaro e di vedere la Grecia riformarsi. In realtà avevano un solo obiettivo: umiliare il nostro governo e costringerlo a capitolare". Varoufakis, spie­gando di aver ridotto le sue rivendicazioni "ad una leggera ristrutturazione del debito", a cui i suoi interlocutori avevano opposto un netto rifiuto, conclude: “da noi si esigeva una capitolazione aperta e pubblica che desse al mondo intero lo spettacolo del nostro inginocchiarsi".

Infatti, il senso della dimostrazione politica doveva essere chiaro: non era ammessa al­cuna messa in discussione della dittatura dei banchieri e dei finanzieri.

Molti paesi hanno beneficiato in passato di una ristrutturazione del loro debito. Nello stesso momento in cui i dirigenti dell'Unione europea si mostravano inflessibili con la Grecia, accettavano di can­cellare una parte del debito dell'Ucraina. Ma, come dirigenti responsabili nei confronti dei banchieri e dell'insieme della classe capitali­stica, rifiutano che tali concessioni possano essere loro imposte correndo il rischio di destare la seppur minima speranza nel­l'animo delle popolazioni europee, ovunque sottoposte alla stessa politica d'austerità in nome del rimborso del debito.

Le manovre di Tsipras

Tsipras, per ciò che lo riguarda, ha accettato di voltare le spalle ai suoi impegni. Per giustificarsi, è stato costretto a riprendere la stessa argomentazione dei suoi prede­cessori, spiegando di aver firmato questo testo "per evitare catastrofi al paese". Quan­to all'aver proclamato che si batterà per non applicare completamente l'accordo, ci si può chiedere se potrà ancora creare illusioni quando dovrà attuare i primi attacchi contro la popolazione.

Di fronte ad una contestazione in seno al proprio partito ed alla defezione in Parla­mento di una trentina di deputati, Tsipras ha potuto far approvare l'accordo firmato il 13 luglio solo grazie ai voti dei deputati del­l'opposizione. Il 20 agosto, Tsipras ha an­nunciato le sue dimissioni e l'organizzazione di nuove elezioni il 20 settembre, affermando di rimettere il proprio mandato per "rispetto della democrazia". Egli ha preferito, in effetti, trovandosi senza maggioranza nell'assem­blea, presentarsi agli elettori prima di aver perso ogni sostegno popolare, in particolare dopo il varo delle misure d'austerità.

Ma questo significa appunto che Tsipras vo­leva darsi gli strumenti politici per attuare la politica d'austerità. Qui il rispetto della de­mocrazia non c'entrava niente, anzi. Una vit­toria in queste elezioni avrebbe potuto dare a Tsipras i mezzi per esercitare una specie di bonapartismo parlamentare di basso profilo, in equilibrio precario tra i creditori im­perialisti, a cui poteva apparire come l'uomo capace di imporre al suo popolo le misure che i predecessori non sono stati in grado di imporre, e la popolazione nei cui confronti si ergeva a protettore.

Una parte di quelli che, all'interno di Syriza, avevano espresso la loro opposizione al­l'accordo del 13 luglio, hanno fondato una nuova organizzazione, Unità popolare, fa­cendo capo a Panayotis Lafazanis, ministro dell'energia e della ricostruzione produttiva del governo Tsipras fino alla metà di luglio. Nel riprendere il programma adottato da Sy­riza prima del suo arrivo al potere, essi de­nunciano il tradimento di Tsipras che, secon­do loro, di fronte al ricatto dei dirigenti euro­pei avrebbe dovuto scegliere di uscire dal­l'euro.

Ma un'uscita dalla zona euro non permet­terebbe di liberarsi dalla sovranità del capi­tale finanziario, e il ritorno alla dracma come valuta nazionale non porrebbe fine al­l'oppressione e alla dominazione che deri­vano dall'organizzazione imperialista del­l'economia mondiale. Tale scelta non sa­rebbe affatto in grado di evitare alle classi popolari di dover subire sacrifici e un re­gresso delle loro condizioni di vita. Coloro che riprendono al proprio conto tali obiettivi non fanno altro che preparare nuovi vicoli ciechi politici per i lavoratori e le classi po­polari.

Il vicolo cieco del riformismo

Come comunisti rivoluzionari, abbiamo espresso la nostra solidarietà con Tsipras nella misura in cui si opponeva a quelli che assumevano la funzione di esattori del gran capitale. Invece, ci siamo rifiutati, a diffe­renza di gran parte della sinistra e della quasi-totalità dell'estrema sinistra, di presen­tarlo come un modello o, per riprendere l'espressione di un redattore del giornale del PCF, L'Humanité, di dire che la sua elezione costituiva “una prima breccia aperta da un governo nella fortezza europea dell'auste­rità". Il seguito ha mostrato che nessuna breccia era stata aperta: vincendo le ele­zioni, sarà Tsipras stesso ad attuare l'au­sterità.

Quali insegnamenti ne traggono coloro che hanno sostenuto Tsipras e lo hanno presentato come una speranza per tutta la sinistra europea? Alcuni, come i dirigenti del Partito comunista francese, continuano a so­stenerlo e si accontentano di denunciare l'in­transigenza dei dirigenti dell'Unione europea, soprattutto quella di Merkel e del suo mini­stro delle finanze. Altri, che riprendono le cri­tiche degli oppositori a Tsipras, affermano che quest'ultimo non è andato fino in fondo alla politica che proponeva. È, in particolare, il discorso di Varoufakis.

Ma, anche ammesso che sia così, rimane il fatto che il fallimento di Tsipras è quello di una politica riformista che cercava di ottene­re dalla borghesia imperialista il rispetto del­l'indipendenza dei piccoli stati, dei diritti dei lavoratori e delle loro condizioni di vita. Tale politica, a prescindere dal modo in cui è con­dotta, si scontra necessariamente con la borghesia e le istituzioni che essa controlla. L'esempio della Grecia dimostra, infatti, come in questa Unione europea, che si af­ferma tanto democratica sia nel suo com­plesso sia in ognuno dei suoi Stati, gli elettori non hanno alcuna influenza sulle decisioni dei propri dirigenti. Non sono assemblee de­mocraticamente elette dai popoli a decidere della politica attuata dai capi di Stato, bensì i consigli d'amministrazione dei grandi gruppi capitalisti aiutati da alti funzionari pienamente dediti alla difesa dei loro interessi. E non sarà altrimenti finché la borghesia sarà al potere ed esisterà il capitalismo.

Dal momento che Tsipras non ha mai preteso di essere anticapitalista, né di essere un rappresentante dei lavoratori, non ha senso accusarlo di non avere mantenuto impegni in un campo in cui non ne aveva mai presi. Tsipras è un uomo politico borghese la cui azione si è limitata a cercare di far rispet­tare un po' la sovranità dello Stato greco e che è diventato un burattino nelle mani dei suoi creditori. Egli ha fallito, come molti altri politici prima di lui.

Lottare per rovesciare il capitalismo

Tsipras continua a beneficiare di un so­stegno dell'elettorato popolare sufficiente per mantenersi al potere, come hanno mostrato i risultati delle elezioni del 20 settembre. Il nuovo governo lancerà comunque nuovi at­tacchi contro la popolazione. Occorre augu­rarsi che la delusione generata dalla capito­lazione di Tsipras non conduca i lavoratori alla rassegnazione, bensì alla conclusione di poter contare solo sulla loro capacità di mo­bilitarsi per difendere i propri diritti. Oltre questo, c'è da auspicare che, fra quelli che hanno a cuore la difesa degli interessi dei lavoratori, alcuni traggano lezione degli ultimi eventi e s'impegnino a costruire una forza politica mirante al rovesciamento del capitali­smo. Una forza che militi per preparare la classe operaia a lottare per prendere il potere ed espropriare la borghesia per porre fine alla sua dittatura sull'economia e, per il suo tramite, su tutta la società.

22 settembre 2015