Il MSI, Movimento Sociale Italiano, da cui è nato il partito Fratelli d'Italia della Meloni, è nato nel 1946. Per quasi quarant'anni è stata la bandiera che ha radunato i nostalgici del fascismo. Pur rimanendo un partito minoritario e fuori dalle varie combinazioni governative, poteva contare su una base elettorale che gli dava regolarmente tra il 5% e il 10% dei voti, permettendogli di avere rappresentanti eletti e di gestire un apparato. Uno dei fondatori del MSI, Giorgio Almirante, era stato segretario della rivista La Difesa della Razza dal 1938 al 1942 - il titolo dice abbastanza del suo contenuto - e dirigente della Repubblica di Salò, la repubblica fascista istituita nel 1943 nel nord del Paese e sottoposta alle truppe e alle decisioni di Hitler. Tutto ciò non impedì ad Almirante di essere deputato ininterrottamente dal 1948 fino alla sua morte nel 1988. Né la legge che doveva vietare l'apologia del fascismo, in vigore in Italia dal 1952, impedì al MSI di organizzare una cerimonia annuale per commemorare la Marcia su Roma.
Infatti, gli eredi del fascismo, per integrarsi nel gioco della Repubblica parlamentare, hanno a lungo beneficiato della complicità dei principali partiti cosiddetti democratici e antifascisti, e questo sin dalla fine della guerra e del ventennio di dittatura fascista. Tutte le forze politiche avevano all’epoca lavorato per ricostruire l'apparato statale il più rapidamente possibile, al fine di mantenere l'ordine borghese. Il Partito Comunista si dimostrò il più ardente sostenitore dell'unità nazionale, dichiarandosi addirittura pronto a collaborare con la monarchia se necessario, seguendo la politica dettata dalla burocrazia stalinista per evitare qualsiasi crisi rivoluzionaria. Il suo leader, Togliatti, al suo ritorno in Italia nel 1944, pronunciò un discorso diventato famoso come "la svolta di Salerno", la città in cui lo declamò. Non si trattava più di rivoluzione operaia, ma di liberazione della nazione e di sostegno allo stesso re, Vittorio Emanuele III, che aveva insediato Mussolini al potere nel 1922.
In nome dell'unità antifascista, il Partito Comunista avrebbe partecipato a tutti i governi dal 1944 al 1947, pronto a fare qualsiasi concessione per riportare la borghesia e il suo Stato al potere. E fu proprio Togliatti, in qualità di Ministro della Giustizia, che nel 1946 fece concedere l'amnistia ai fascisti, contemporaneamente all'instaurazione della Repubblica, dimostrando che il Partito Comunista era un partito responsabile, che sapeva anteporre la continuità dello Stato a tutto il resto.
L'apparato statale della giovane repubblica conservava quindi buona parte degli uomini del fascismo, nella polizia, nella magistratura e nell'esercito, tra gli alti funzionari dell'amministrazione, mantenendo inoltre lo stesso codice penale. Molte delle strutture fasciste si mantennero, semplicemente coperte da una vernice democratica. E, per non trascurare alcun aspetto reazionario, la nuova costituzione repubblicana mantenne una posizione privilegiata per la Chiesa.
Sebbene l'MSI abbia potuto costituirsi in modo del tutto legale, dovette rimanere fuori da tutte le combinazioni elettorali per vent'anni. Il sistema parlamentare richiedeva coalizioni e accordi tra i partiti per creare maggioranze e formare governi. Per decenni, la Democrazia Cristiana, legata alla gerarchia cattolica, fu la spina dorsale del sistema, cercando alleanze a volte alla sua sinistra, a volte alla sua destra. Nel 1958 fu un suo rappresentante, Tambroni, che non riuscendo a trovare una maggioranza per costituire il suo governo, accettò i voti del MSI. Nello stesso anno, permise al MSI di tenere il suo primo congresso in una grande città operaia, Genova. Era una provocazione insopportabile per tutti coloro che, quindici anni prima, avevano affrontato la dittatura fascista. A Genova si svolsero manifestazioni e scioperi, portando a scontri con la polizia e facendo feriti da entrambe le parti, dal momento che alcuni manifestanti erano armati, decisi a dimostrare che erano ancora una volta pronti a prendere le armi contro il fascismo. Il movimento di scioperi e manifestazioni si diffuse in tutto il Paese e gli scontri provocarono una decina di morti. Il congresso del MSI però fu impossibilitato a riunirsi, il governo Tambroni cadde e questo primo tentativo di normalizzazione dei neofascisti fu rimandato per molti anni.
Gli anni della normalizzazione
Alla fine, fu il grande sconvolgimento della vita politica degli anni '90 a permettere al MSI di normalizzarsi, anche se a costo di qualche trucco. Nel 1992, l'operazione Mani Pulite portava a galla la corruzione che colpiva tutti i partiti tradizionali della borghesia, sistematicamente corrotti dai padroni al momento della conclusione dei contratti pubblici. L'inchiesta investiva l'intera classe politica, quasi due terzi dei deputati e dei senatori erano stati messi sotto accusa e il regno della Democrazia Cristiana e del Partito socialista finiva.
Qualche tempo prima, il Partito comunista era stato liquidato completando, dopo la caduta dell'URSS, una trasformazione iniziata molti anni prima. In sostanza, come i neofascisti, i dirigenti comunisti volevano liberarsi da ciò che frenava la loro integrazione nel gioco parlamentare e la loro partecipazione ai governi della borghesia. Così il Partito Comunista divenne prima il Partito Democratico della Sinistra (PDS), poi i DS e poi semplicemente il Partito Democratico (PD), essendo la parola "sinistra" considerata ancora troppo radicale!
Sul versante neofascista, anche per la vecchia guardia attorno ad Almirante era arrivato il momento di passare il testimone. Quest'ultima aveva già attuato la politica del sorriso e dell’onorabilità borghese grazie agli sforzi dei suoi membri di mostrarsi educati e rispettosi del gioco democratico. Sotto la direzione di Gianfranco Fini, il partito prese ulteriormente le distanze dall'eredità fascista, pur senza rinnegarla del tutto. Fu assunto il nuovo nome di Alleanza Nazionale, non senza qualche resistenza e al prezzo di una scissione. La generazione di Gianfranco Fini fece così del MSI, a costo di un definitivo cambio di nome nel 1995, un partito integrato nell'estrema destra del cosiddetto spettro politico democratico. Fu Fini che, per sbarazzarsi di domande scomode, inventò l'argomento per cui il suo partito non era neofascista ma “postfascista”, come lo era ormai tutto il Paese.
Era un modo per rifiutarsi di sconfessare il fascismo, un cenno ai gruppi violenti che continuavano a gravitare intorno al partito, pur smettendo di rivendicarlo ufficialmente. È diventato un leitmotiv. Così La Russa, fondatore con la Meloni di Fratelli d'Italia e veterano del neofascismo, ora promosso a presidente del Senato, ha potuto dichiarare beffardo: "Siamo tutti eredi del Duce come italiani, nel senso che siamo eredi dell'Italia dei nostri nonni, nel bene e nel male".
Gli stessi primi anni '90 videro l'arrivo di Berlusconi sulla scena politica. Il miliardario milanese, imprenditore nel settore delle costruzioni e dei media, lanciò il suo partito Forza Italia come si promuove una marca di detersivo. Per costruire maggioranze parlamentari, il contributo di uomini e donne post-fascisti, ormai etichettati sostenitori della democrazia, si rivelò molto utile. Nel 1994, il primo governo Berlusconi fu il risultato di un'alleanza tra il suo partito e tutto ciò che l'estrema destra poteva offrire all'epoca, con da un lato la Lega Nord, precursore della Lega di Salvini, allora non solo xenofoba ma anche secessionista, che chiedeva l'indipendenza del nord del Paese, e dall'altro Alleanza Nazionale di Fini. La mutazione "sorriso e onorabilità" consentiva l'ingresso nel governo dei ministri di Alleanza Nazionale, considerati ora pienamente rispettabili.
Un passato riscritto
I neofascisti si poterono normalizzare tanto più che il passato veniva rivisitato dalle varie autorità. I media, il governo e i libri di testo scolastici vi si dedicarono per diversi anni. Alla fine, questa rilettura vede il fascismo e il comunismo come due totalitarismi che hanno entrambi trascinato giovani sinceri ma esaltati e accecati da ideologie che li spingevano ad atti imperdonabili. Non osando affrontare di petto il periodo del fascismo, questa versione si è inizialmente basata sul periodo degli "anni di piombo", quando alla "strategia della tensione" dell’estrema destra una parte dell’estrema sinistra volle rispondere con il terrorismo brigatista. Così si poteva parlare dei fratelli nemici, i rossi e i neri, entrambi persi sulla strada della violenza.
Soprattutto, questo modo di ragionare veniva applicato al periodo della guerra e della dittatura fascista: la violenza non è accettabile, c'è violenza da entrambe le parti, tutti hanno le mani sporche di sangue, ed è meglio gettare un velo su tutto questo passato, sulla violenza "da una parte o dall'altra", e andare avanti.
Per quanto riguarda il periodo della guerra e del fascismo, l'istituzione dal 2005 di una giornata di commemorazione dei cosiddetti massacri delle foibe svolge questo ruolo. La regione jugoslava e oggi slovena dell’Istria, confinante con la regione di Trieste e oggetto delle tradizionali rivendicazioni nazionaliste italiane, fu teatro dell'italianizzazione imposta dal regime fascista prima e durante la Seconda guerra mondiale, quando le truppe di Mussolini invasero l'intera Jugoslavia, e poi l'Albania e la Grecia. Alla fine della guerra, nel 1943 e di nuovo nel 1945 durante l'avanzata dei partigiani comunisti di Tito, le foibe, voragini naturali negli altopiani carsici dell'entroterra, divennero le tombe di almeno alcune centinaia di persone di lingua italiana. Oltre i soldati caduti durante gli scontri, parte di queste vittime erano fascisti che avevano partecipato attivamente alle esazioni subite dalla popolazione slava durante la guerra - gli storici parlano di centinaia di migliaia di morti in territorio jugoslavo - e che pagarono per i loro crimini per mano dei partigiani jugoslavi. Tradizionalmente, l'estrema destra utilizza il ricordo di questo sanguinoso episodio per tracciare un parallelo con i crimini del fascismo e del nazismo, ritenendo che in questa regione vi sia stata una pulizia etnica o addirittura un genocidio degli italiani.
Il passo per paragonare le foibe al genocidio degli ebrei è breve, ed è stato compiuto con disinvoltura non solo dagli eredi del fascismo, ma anche dalle istituzioni stesse. Lo scorso febbraio, ad esempio, una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione raccomandava di collegare il giorno di commemorazione delle foibe, il 10 febbraio, con quello del 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di Auschwitz diventato un giorno di ricordo del genocidio degli ebrei.
Fratelli d'Italia alla prova del potere
Creando Fratelli d'Italia nel 2012, in continuità con Alleanza Nazionale, Giorgia Meloni ha proseguito l'operazione di lifting iniziata da Fini. A differenza dei leader storici del MSI, e del suo stesso discorso giovanile, la Meloni non parla più di Mussolini come di un grande politico, almeno non in pubblico, e inneggia alla democrazia. Nel delicato esercizio di rendersi presentabile senza offendere la frazione della sua base ancora fedele al vecchio fascismo, ha condannato solennemente non il fascismo, ma nella stessa frase il nazismo e il comunismo.
Per quanto riguarda la storia, Giorgia Meloni può accontentarsi della versione preparata dallo Stato italiano. Le permette di accostare "i crimini del nazismo e del comunismo", di dichiarare la "fine delle ideologie" e di proclamarsi aperta a tutti coloro che vogliono "lavorare per l'Italia, non importa quante salsicce abbiano mangiato alla festa dell'Unità dei comunisti", come ha assicurato durante la sua campagna elettorale.
Per quanto riguarda il contenuto del suo programma, è quello di qualsiasi partito di estrema destra che vuole assicurare alla borghesia la propria competenza per gestire i suoi affari, cercando di deviare la rabbia delle classi lavoratrici additando gli immigrati come nemici. Tra Salvini e Meloni è da tempo in corso una gara a chi fa i commenti più ignobili contro i migranti - e non sempre è la Meloni a vincere - e a chi mostra il nazionalismo più esagerato, a chi ricorda l'attaccamento alla religione, l'uno ricordando che l'identità dell'Italia è necessariamente cristiana, l'altra inginocchiandosi davanti alla Madonna, "madre di tutti gli italiani". Meloni aggiunge una nota di conservatorismo che potrebbe piacere ai circoli reazionari tradizionali. Senza dichiararsi contraria all'aborto, ha affermato che "dobbiamo aiutare le donne che non vogliono abortire a poterlo non fare". Pur non dichiarandosi ostile agli omosessuali, si dichiara militante della "famiglia tradizionale" e condanna il lassismo in termini di repressione, che secondo lei permetterebbe a delinquenti, necessariamente stranieri, di farsi giustizia da soli contro gli italiani onesti.
Ma la prima preoccupazione di Meloni è l'evoluzione del tasso di finanziamento dello Stato italiano sui mercati, che riflette la loro fiducia nelle autorità del Paese. Ha bisogno di rassicurare i finanzieri, di rassicurare la grande borghesia. Ciò comporterà inevitabilmente nuovi attacchi alla classe operaia, che sta già pagando un prezzo elevato per la crisi. La crisi sta spingendo i lavoratori verso la precarietà e la povertà che sta crescendo minaccia una frazione della piccola borghesia di subire lo stesso destino.
Per il momento, questa situazione si traduce politicamente in una massiccia astensione dalle urne della classe operaia e nella progressione di un'estrema destra che si mantiene sul terreno elettorale. Ma se un domani il governo e le istituzioni parlamentari non fossero più sufficienti alla borghesia per mantenere il suo ordine sociale, essa troverebbe nel partito della Meloni, e non solo, le truppe per brandire nuovamente il bastone contro gli sfruttati.
L'evoluzione reazionaria degli ultimi anni, e in particolare i successi elettorali dell'estrema destra, hanno incoraggiato attivisti e gruppi xenofobi e razzisti, come Forza Nuova o Casa Pound, che si sono distinti per le loro azioni violente, spesso omicide, contro i lavoratori immigrati. Non c'è dubbio che, se necessario, queste persone potrebbero fornire le prime truppe di un movimento autenticamente fascista.
In questo contesto reazionario, la classe operaia ha ancor più bisogno di una nuova politica. A differenza del Partito Democratico, vergognoso erede del Partito Comunista, che ha proclamato la "fine delle ideologie" molto prima della Meloni per meglio integrarsi nel gioco politico borghese, i lavoratori hanno interesse a ricollegarsi alla loro storia e alle loro idee, quelle che il movimento operaio ha difeso prima che il Partito Comunista Stalinista le distorcesse e le usasse impropriamente. Hanno interesse a trarne tutti gli insegnamenti, per non essere disarmati e consegnati, mani e piedi, prima allo sfruttamento più feroce, poi alla reazione più sfacciata.
26 dicembre 2022