Italia: Giorgia Meloni, il nuovo volto della reazione

Se il partito Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni ha riscosso il maggiore consenso elettorale il 25 settembre scorso, è bene avere presente che questa consultazione ha avuto la minore partecipazione dal dopoguerra, poiché meno del 64% degli aventi diritto ha votato. D'altra parte la stampa e gli altri organi di informazione hanno descritto il nuovo quadro politico tenendo solo in parte conto della verità.

Del partito della Meloni si è detto che il suo era stato un "trionfo", una "valanga di schede", ecc. Si è parlato di un disastro del PD e di un recupero dei 5 Stelle. Il PD e il suo segretario senza spina dorsale, Enrico Letta, si sono immediatamente conformati al giudizio che gli altri davano del loro partito. Letta ha anche annunciato le proprie dimissioni da segretario e un congresso straordinario. In realtà, rispetto alle elezioni politiche precedenti, nel 2018, le cose non sono andate così male per il PD che ha perso solo 800 mila voti a fronte dei 6 milioni persi dai 5 Stelle e dei più di cinque persi da Forza Italia e Lega presi insieme. Ma questi sono passati per vincitori ed è da vincitori che si atteggiano in tutte le occasioni, avendo beneficiato del successo della Meloni con la quale condividevano la lista unitaria presentata agli elettori.

Quali mutamenti ci mostrano realmente queste elezioni del 25 settembre? In sintesi: ha vinto la lista dell'unico partito d'opposizione al precedente governo di "Salvezza nazionale" presieduto da Draghi: Fratelli d'Italia. I voto persi dalla Lega e da Forza Italia corrispondono a quelli guadagnati dal partito della Meloni. Quindi, nell'ambito di un elettorato di destra o di centrodestra già esistente, si sono spostate quote di voti da un partito all'altro. Ma l'altro dato importante è quello della crescita dell'astensionismo, specie negli strati sociali più poveri. Il disinteresse per la "politica" in questo caso ha una spiegazione ovvia e immediata mostrata bene dalle statistiche sulla crescita del numero di poveri in Italia.

Il partito della Meloni affonda le sue radici nella storia del fascismo. Sono stati in molti a chiedersi se l'Italia stia andando verso un regime fascista. Il fatto che l'insediamento del nuovo governo avvenisse quasi a cento anni esatti dalla Marcia su Roma ha reso più suggestive, sul piano giornalistico, le analogie col passato. Ma le differenze con la situazione di allora sono talmente tante che il paragone non regge. Senza elencarle tutte, si sa che Mussolini andò al potere, con il sostegno dei grandi industriali e di buona parte dell'esercito e della polizia, per stroncare definitivamente un movimento operaio che aveva fatto vivere alla borghesia italiana almeno due anni di "Grande paura" fino alla sconfitta dell'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. Si era allora scatenata nel Paese una vera e propria guerra civile, con le squadre fasciste, quasi sempre armate e affiancate dall'esercito e dai carabinieri o dalle guardie regie, che incendiavano le sedi socialiste e le camere del lavoro, picchiavano, assassinavano i militanti più in vista del movimento operaio.

È vero che dal secondo dopoguerra, come movimento, come corrente, politica e anche "culturale", il fascismo c'è sempre stato. I quadri dirigenti dell'apparato statale sono passati pressoché indenni dal ventennio fascista alla "democrazia". Magistrati, prefetti, alti graduati di polizia e delle forze armate, rettori universitari, dirigenti e quadri intermedi di tutte le amministrazioni di Stato, hanno semplicemente tolto dalla giacca il distintivo del Partito fascista per continuare a svolgere le loro mansioni. Questa massa di persone si è portata dietro, in varia misura, il bagaglio ideologico del regime mussoliniano ed ha alimentato partiti come il Movimento Sociale di Giorgio Almirante, che è il progenitore dell'attuale partito della Meloni.

Ma se è vero che, almeno nelle circostanze attuali, il governo Meloni non vuole e non è in situazione di instaurare un regime fascista, nondimeno deve tener conto di una parte di elettorato che "vuole vedere" che qualcosa è cambiato, nel senso di un riferimento esplicito ai "valori" della destra. Così si spiega la nuova denominazione di alcuni ministeri, come il ministero delle Pari opportunità che è diventato ministero della famiglia e della "Natalità", o quello dell'agricoltura che è diventato anche ministero della..."Sovranità alimentare", o quello dell'Istruzione che ora si chiama "dell'Istruzione e del Merito". E anche le prime mosse del governo hanno evidentemente voluto dare la sensazione di un governo "Legge e ordine". Sia con la vicenda vergognosa dell'Ocean Viking, nella quale la vita di poche centinaia di immigrati è servita per mostrare quanto l'Italia sappia "farsi rispettare" sia con le manganellate agli studenti che contestavano un convegno neofascista all'università la Sapienza di Roma, sia con la proposta di legge "anti-rave", cioè contro i raduni non autorizzati di giovani per i quali, almeno nella stesura originaria, sono previsti fino a sei anni di galera.

Ma gli aspetti sostanziali sono quelli economici e qui si prosegue la strada imboccata da Draghi, come si vede nei dettagli della legge finanziaria. È evidente la preoccupazione di garantire qualche briciola alla piccola borghesia commerciale e professionale attraverso l'innalzamento del limite di reddito da lavoro autonomo tassato con l'aliquota unica del 15%. A questo si aggiunge la possibilità di fare transazioni economiche con i contanti fino a 5mila euro e il tentativo, poi ritirato sotto pressione dell’Unione europea, di togliere parzialmente ai commercianti l'obbligo di accettare pagamenti in carte bancarie. Non sono mancate pennellate di colore "sociale", come la tassazione degli extraprofitti per le imprese del settore energetico che si sono spaventosamente arricchite già prima della guerra russo-ucraina. Un provvedimento analogo, varato negli ultimi mesi del governo Draghi, si era risolto in un fiasco totale.

In realtà le condizioni della classe operaia e dei ceti più poveri non hanno cessato di peggiorare negli ultimi anni e questo governo, come gli altri che lo hanno preceduto, non ha nessuna intenzione di cambiare le cose. La povertà si estende, come confermano tutte le rilevazioni statistiche e tutti i rapporti delle organizzazioni caritatevoli. Secondo i dati più recenti, 5 milioni e mezzo di persone sono in condizione di povertà assoluta. Ed è in questo quadro che il governo Meloni, in coerenza con gli argomenti agitati nel corso della campagna elettorale, ha cominciato a demolire il Reddito di cittadinanza. Questa misura, voluta dal movimento Cinque Stelle nel corso del cosiddetto governo "gialloverde", composto anche dalla Lega di Salvini, ha costituito una minima possibilità di sopravvivenza per milioni di persone, per quanto sia uno strumento assolutamente insufficiente ed escluda una larga parte di poveri da questa indennità, come è il caso degli immigrati con meno di dieci anni di residenza in Italia.

La questione salariale, che tutti i partiti, più o meno, hanno finto di fare propria da un anno a questa parte, rimane solo come argomento per qualche stanco dibattito. Tutti hanno detto e scritto da mesi e mesi che i salari hanno diminuito il loro potere d'acquisto negli ultimi trent'anni, sui giornali sono apparse tabelle e diagrammi con i confronti rispetto ai salari degli altri paesi sviluppati, ecc. . Risultato? Niente. I governi in carica non hanno fatto niente e i sindacati, da parte loro, non hanno promosso alcuna lotta, o meglio alcun piano di lotte per un salario minimo generalizzato decente.

Per quanto riguarda la politica estera il governo italiano, come con Draghi prima, si è completamente appiattito sulle posizioni della Nato, come e più dei suoi omologhi europei. Il PD gareggia con la destra nel cercare di dare prova della massima fedeltà atlantica. Su questo terreno si è prodotta una evidente frattura tra il sentimento della popolazione e la quasi totalità dei partiti e dei maggiori giornali, tutti arruolati nella crociata antirussa. Anche affidandosi ai sondaggi ufficiali, la percentuale di popolazione contraria all'invio di armi al governo Zelensky e, ancora di più, al coinvolgimento nella guerra è vicina al 50%.

Se la vittoria del partito della Meloni conferma il radicamento del voto di estrema destra, non è una novità e queste elezioni non riflettono una massiccia progressione della destra. È vero che con la Meloni è per la prima volta una donna, relativamente giovane, 45 anni, soprattutto rispetto agli 85 anni di un Berlusconi, ad essere a capo della politica italiana. Ma la novità si ferma qui, perché la Meloni è già un vecchio personaggio politico. Eletta prima come consigliere regionale a 21 anni, lo è stata poi come deputato e addirittura ministro a 31 anni nel governo Berlusconi del 2008. Tutto questo senza dover nascondere la sua ammirazione per Mussolini, "un grande statista" la cui azione era giustificata, secondo lei, in quanto compiuta "per il bene dell'Italia". Il “post fascismo” non si vergogna per niente della sua matrice ideologica.

2 dicembre 2022