Gran Bretagna: nuovi volti per una politica simile

Il 4 luglio in Gran Bretagna, il Partito Conservatore ha perso le elezioni generali a vantaggio del Partito Laburista, suo rivale, subendo una storica battuta d'arresto. Il partito, al potere da quattordici anni, aveva ottenuto la maggioranza assoluta nelle precedenti elezioni generali alla fine del 2019, ma in quella data ha perso 252 seggi e ne ha conservati solo 121 – riportando il suo peggior risultato di quasi due secoli. La maggior parte dei candidati ministri non è stata rieletta.

Questa caduta rispecchia un profondo discredito. Il primo ministro conservatore Rishi Sunak, che non è riuscito a fornire alcuna soluzione ai problemi vitali della popolazione, come quello del costo della vita e la fatiscenza dei servizi pubblici, ha pagato per i suoi predecessori: Cameron e i suoi tagli alla sanità e all'istruzione, Johnson e le sue bugie sui benefici della Brexit, Truss e il suo avventurismo di bilancio, ecc.

Quindi il rigetto dei Tories (conservatori) è stato la causa principale della vittoria laburista, che, in realtà, è stata molto relativa. Nella Camera dei Comuni, composta da 650 membri, il Labour è passato da 202 a 412 deputati, superando nettamente la sua maggioranza assoluta. Ha ripreso dai Tories la maggior parte delle roccaforti nel nord dell'Inghilterra perse nel 2019 e una serie di circoscrizioni urbane dai nazionalisti scozzesi dell'SNP. Ma anche se occuperà quasi due terzi dell'assemblea, il Labour ha ottenuto poco meno di un terzo dei voti espressi (34%). Questa discrepanza è dovuta al sistema di voto "first-past-the-post", che assegna, in ogni circoscrizione, il seggio al candidato che risulta in testa, anche se il suo punteggio è basso o appena superiore a quello dei suoi rivali. Rispetto al 2019, il Labour è in crescita di soli 1,6 punti e perde addirittura 600 000elettori. L'astensione, pari al 40%, non era mai stata così alta in occasione di un'elezione generale dal 1885, con l'eccezione del 2001. Il voto per i laburisti è stato, quindi, principalmente una scelta di default. Infatti, durante le sei settimane di campagna elettorale, Starmer si è imposto di non fare promesse sociali, di non suscitare troppe aspettative tra i lavoratori e di apparire come uno statista rispettabile, serio e favorevole alle imprese. Nell'ultima settimana, questo gli ha fatto guadagnare il sostegno di 120 importanti uomini d'affari del Times e persino quello del Sun, un giornale reazionario se mai ce n'è stato uno. Dire che le classi lavoratrici hanno poco da aspettarsi da Starmer è un eufemismo.

Oltre che con l'astensione, il malcontento è stato espresso con il voto per i partiti minori. I conservatori hanno perso voti al centro a favore dei liberaldemocratici, che con il 12% dei voti sono passati da 8 a 71 seggi, e soprattutto a destra favorendo Reform UK, il partito xenofobo erede dell'UKIP e il Brexit Party. Con il 14% dei voti, avrà cinque deputati, compreso il suo dirigente, il demagogo Nigel Farage, che sogna di soppiantare i Tories come principale opposizione al Labour. Questa svolta è preoccupante per i lavoratori, perché si basa su una propaganda nauseante che incolpa gli stranieri di tutti i mali. Tale discorso, che divide la classe operaia, ha trovato eco in alcune delle circoscrizioni più povere del Paese. E poiché Starmer non ha più soluzioni all'aumento della povertà e della disuguaglianza rispetto a Sunak, Reform UK spera di raccogliere i frutti del suo futuro discredito.

Il 5 luglio come ogni politico borghese che si rispetti, Starmer ha dichiarato: “Il cambiamento inizia oggi”. Ma sebbene il suo governo sia composto da ministri di estrazione sociale più modesta rispetto alla cricca precedente, comunque le sue politiche saranno dettate dagli interessi dei capitalisti, determinati a far pagare la crisi ai lavoratori e pronti a trascinarli in guerra se possono trarre i loro profitti da questo.

Il discredito dei conservatori

Il 4 luglio i conservatori avrebbero dovuto compiere un miracolo per mantenere la loro maggioranza. Settimana dopo settimana, i sondaggi mostravano i Tories a 20 punti dal Labour. Questo calo era dovuto alla loro perdita di credibilità non solo presso l'opinione pubblica ma anche presso gli stessi capitalisti, dopo che, per decenni, il Partito Conservatore è stato il loro partito di governo preferito, una sorta di rappresentante "naturale".

Le classi lavoratrici hanno forti motivi di risentimento nei confronti della scuderia politica che ha tenuto le redini dello Stato dal 2010 perché sono tante le difficoltà che, in questo periodo. hanno visto accumularsi nella loro vita quotidiana. Naturalmente, il fattore fondamentale del continuo declino delle condizioni di vita dei lavoratori è la crisi globale del capitalismo e, in questo contesto, l'offensiva delle grandi imprese britanniche per preservare i propri profitti esercitando una pressione sempre maggiore sui lavoratori. Ma i governi conservatori che si sono succeduti sono stati complici di questi attacchi, e li hanno addirittura creati.

Quando è diventato Primo Ministro nel 2010, David Cameron ha promesso di riparare una "società distrutta". Ma il suo governo, che ha unito conservatori e liberaldemocratici, ha iniziato a distruggere i servizi pubblici che erano già in pessime condizioni. Ha tagliato centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore pubblico con il pretesto di ridurre il debito contratto dal suo predecessore, il laburista Gordon Brown, che aveva salvato il sistema bancario durante la crisi delle subprime per centinaia di miliardi di sterline. Il risultato è stato lo smantellamento dei servizi comunali e i drastici tagli alla sanità e all'istruzione, in un contesto di crescente precarietà del lavoro.

Nel 2016, sfidato all'interno del suo partito dagli "euroscettici" e minacciato alla sua destra dall'affermazione dell'UKIP (United Kingdom Independence Party) alle elezioni europee del 2014, Cameron ha tentato un colpo politico organizzando il referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, la famosa Brexit. Era sicuro che avrebbe vinto il no ma ha avuto la peggio. I suoi rivali, guidati da Boris Johnson, hanno condotto una campagna stucchevole all'insegna della demagogia xenofoba. Hanno promesso di reindirizzare 350 milioni di sterline a settimana da Bruxelles al sistema sanitario britannico, l'NHS (National Health Service). E il 26 giugno 2016 i Brexiters hanno vinto. anche se per poco (51,9%) e con un'affluenza di appena il 72,2%. Ma questo errore politico ha avuto conseguenze ben più gravi delle dimissioni di Cameron. In un Paese già in crisi, il fragile equilibrio economico e politico è stato sconvolto e, nel 2024, la società britannica non ha ancora finito di pagarne il prezzo.

La Brexit e le sue conseguenze

In termini economici, ancor prima di entrare in vigore il 31 gennaio 2020, la Brexit ha complicato la circolazione di merci e persone e, per un'economia sempre più integrata nell'UE, non è stata priva di danni. La marcia di avvicinamento alla Brexit ha indotto alla partenza centinaia di migliaia di lavoratori europei, con conseguente carenza di manodopera a cascata: negli ospedali, nelle case di cura, nei servizi di assistenza alla persona; nell'agricoltura e nell'edilizia; nei trasporti e nella logistica e altro. Sebbene queste partenze siano state in parte compensate da un aumento dell'immigrazione extraeuropea, il servizio sanitario nazionale rimane sotto organico, con decine di migliaia di posti vacanti. Riguardo agli scambi di merci, la reintroduzione di una moltitudine di controlli alle frontiere ha provocato colli di bottiglia. E ha aumentato gli oneri amministrativi per ogni azienda che commercia con l'UE. In breve, la Brexit, rialzando barriere che erano scomparse, ha causato moltissime disfunzioni, con ripercussioni anche sul buon funzionamento delle imprese dei capitalisti.

Anche nella situazione politica, la Brexit ha moltiplicato le fonti di instabilità. L'uscita del Regno Unito dall'UE all'inizio del 2020 ha riacceso le tendenze nazionaliste sia in Scozia che in Irlanda del Nord, dove il voto a favore della Brexit era minoratario. I nazionalisti scozzesi dell'SNP, con la prospettiva della secessione scozzese da un lato, e i nazionalisti del Sinn Fein, con quella della riunificazione irlandese dall'altro, stanno ora presentando queste alternative come l'unico modo per rientrare nell'UE e quindi, come dicono, per sfuggire alle politiche antisociali dettate da Londra. E anche se la disgregazione del Regno Unito non è così vicina, la Brexit sta alimentando focolai di tensione che la grande borghesia britannica potrebbe evitare. In Irlanda del Nord, è soprattutto la corrente unionista, teoricamente alleata dei conservatori, ad essere entrata in fibrillazione. Nel 2021, Johnson li aveva delusi con un "Protocollo dell'Irlanda del Nord" che introduceva una barriera doganale nel Mare d'Irlanda, all'interno del Regno Unito stesso. Da allora, questa è stata attenuata e il clamore si è spento. Ma forse gli effetti domino della Brexit in queste regioni non sono ancora del tutto evidenti.

Una classe dirigente delusa dai suoi politici

La Brexit è stata principalmente il risultato di un braccio di ferro tra i conservatori con i loro calcoli meschini da una parte e dall'altra, non la scelta delle grandi imprese, che avevano beneficiato dell'adesione al mercato comune nel 1973 e vedevano più svantaggi che vantaggi nell'uscita dall'UE. Una volta fatto il referendum, poiché non si poteva tornare indietro facilmente, Theresa May che aveva sostituto Cameron, dovette negoziare un accordo conveniente con le autorità europee. La May, che da parte sua era ostile alla Brexit, non ebbe successo e lasciò nel luglio 2019 il posto a Boris Johnson, fautore dell'uscita dall'UE che aveva giurato di portarla a termine.

Di certo, Johnson ha presieduto all'uscita del Regno Unito dall'UE. Nel dicembre 2019, il suo partito ha conquistato decine di circoscrizioni operaie tradizionalmente detenute dai laburisti. Ma le promesse di investimenti massicci e di sviluppo equilibrato delle regioni chiaramente non sono state mantenute. HS2, il progetto di ferrovia ad alta velocità per servire il nord dell'Inghilterra, è stato abbandonato. Il miraggio di una Gran Bretagna rivitalizzata dalla Brexit è svanito. Invece di attrarre nuovi capitali da tutto il mondo, la Borsa di Londra è stata superata dalle sue rivali di Parigi e Francoforte. Invece di una crescita del 5%, l'economia ha oscillato tra stagnazione e recessione e i problemi sociali sono peggiorati. Nel 2020-2021, la gestione calamitosa della pandemia da parte di Johnson ha reso la Gran Bretagna uno dei Paesi ricchi più colpiti, con oltre 200.000 morti. I filmati dei suoi festeggiamenti mentre imponeva limitazioni e sacrifici all'intera popolazione hanno reso inevitabili le sue dimissioni nel luglio 2022.

Ma il Partito Conservatore è riuscito ad apparire ancora più irresponsabile con la Prima Ministra Liz Truss che, dal 5 settembre al 24 ottobre 2022, si è comportata come un'apprendista stregona dell'economia. Pensando di essere una nuova Thatcher, ha promesso tagli fiscali ai ricchi così esagerati da gettare nel panico i mercati. Il "mini-bilancio" del suo Cancelliere dello Scacchiere faceva prevedere deficit pubblici così elevati da mettere a rischio il valore dei titoli del Tesoro britannico. Sull'orlo della catastrofe, le banche hanno chiesto e ottenuto un'inversione di rotta. Il collasso è stato evitato all'ultimo momento, ma il conseguente aumento dei tassi di interesse ha avuto gravi ripercussioni su milioni di famiglie con l'aumento delle rate dei mutui.

Sunak, la fine di un regno

L'impopolarità del governo Sunak non era quindi dovuta solo alla sua persona, anche se l'ha favorita la condizione di milionario sposato con una miliardaria. Ma soprattutto incarnava un partito conservatore che è diventato sinonimo di ripetuti scandali e piccoli accordi tra amici, un partito di privilegiati che non prova altro che disprezzo per la maggioranza, in un momento in cui la vita non è mai stata così difficile per le classi lavoratrici. Nel tentativo di ribaltare la situazione, poco prima delle elezioni amministrative del 23 aprile 2024, Sunak ha finalmente fatto approvare la sua legge sul Ruanda, sperando che questa misura anti-migranti gli facesse riconquistare gli elettori. Ma l'operazione politica gli si è ritorta contro. Più recentemente, ha proposto di reintrodurre il servizio nazionale - abolito alla fine del 1960 - un annuncio fatto anche per lusingare gli elettori più reazionari. Sarà ugualmente inefficace e non convince neanche gli stessi parlamentari conservatori: 78 su 369 non si sono candidati per la rielezione e alcuni hanno addirittura aderito al Labour.

In un articolo pubblicato il 13 giugno, il Financial Times ha tracciato un duro bilancio del lungo regno dei conservatori, definendolo "anni sprecati". In un mondo sempre più turbolento, egli ritiene che al Partito Conservatore siano mancati capitani competenti e che Cameron, Johnson e poi Truss abbiano solo aggiunto caos al caos. Come segnale di questo disordine, sottolinea che, in media, i ministri conservatori degli ultimi quattordici anni sono rimasti in carica per meno di due anni. Esaminando i costi della Brexit:evidenzia che la produttività è in calo del 4%, il commercio internazionale lo è del 15%.

Naturalmente, le difficoltà dell'economia britan­nica e gli sconvolgimenti politici che hanno minato la governance della Gran Bretagna negli ultimi anni non sono attribuibili esclusivamente agli errori dei conservatori o alle loro guerre intestine. La causa più profonda va ricercata nella crisi del capitalismo mondiale a partire dagli anni Settanta e nell'incapacità della classe dirigente di superare le contraddizioni del proprio sistema. Ma proprio perché sa che il futuro è incerto, la borghesia ha bisogno di servitori che siano all'altezza della situazione. Dopo decenni di fedele servizio, il Partito Conservatore è logorato dall'esercizio del potere e deve cedere il posto al suo sostituto designato nella gestione del capitalismo in crisi: il Partito Laburista.

Una campagna laburista prudente

Rispetto ai Tories che hanno toccato il fondo, il Labour, con un vantaggio di 20 punti nei sondaggi, ha condotto una campagna minimalista. Essendo il secondo grande partito di governo dagli anni Venti, intendeva approfittare quasi naturalmente del crollo del suo rivale. In ogni sua apparizione sui media, Starmer si accontentava di presentare il suo partito come una versione più seria e rispettabile del Partito Conservatore. Considerato poco brillante da alcuni, questo giurista arrivato tardi in politica ha affinato la sua immagine di statista responsabile nei confronti della borghesia. La stampa economica gli è grata per aver epurato il partito dalle sue frange di sinistra, quelle che tra il 2015 e il 2020 si sono riconosciute in Jeremy Corbyn e nel suo discorso socialista, persino pro-operai, che voleva essere una rottura con i governi del New Labour (1997-2010). Per voltare pagina, per far ridiventare il Labour un partito pronto a governare al servizio dei capitalisti quando i Tories saranno esausti, Starmer non ha badato a spese.

Per tenere a bada Corbyn e i suoi sostenitori, Starmer ha lanciato accuse di antisemitismo. Questi processi alle streghe sono ripresi dopo il 7 ottobre 2023. L'accusa contro Corbyn, da sempre antirazzista, in realtà ha origine dal suo antisionismo e dalle sue critiche ai governi israeliani. Questo accanimento è anche, e soprattutto, per Starmer un modo per affermare il suo allineamento con la politica statunitense in Medio Oriente, e per garantire ai potenti di essere completamente dalla loro parte in materia di affari esteri. Starmer non può rivendicare apertamente l'eredità di Tony Blair, che nel 2003 inviò le truppe britanniche in Iraq: questo allineamento con la politica di George W. Bush portò alle più grandi manifestazioni della storia britannica. Ma le dichiarazioni di Starmer, in particolare sugli aiuti militari all'Ucraina, non lasciano spazio ad ambiguità: come rappresentante dell'imperialismo britannico, è pronto a mettersi al servizio del poliziotto del mondo.

Anche relativamente alla politica interna, Starmer ha voluto garantire il suo sostegno alle grandi imprese. Durante l'ondata di scioperi del 2022-2023, ha vietato ai parlamentari laburisti di presentarsi ai picchetti davanti alle stazioni o agli ospedali. I rappresentanti politici laburisti non hanno potuto appoggiare nemmeno la più piccola protesta del mondo del lavoro. Più recentemente, durante un incontro con gli elettori trasmesso da Sky News, ha risposto a un medico del servizio pubblico, che lo interrogava sul calo dei salari, che gli scioperi negli ospedali erano stati dannosi per i pazienti. Ha affermato che lui non si impegnava ad aumentare i salari, ma ad evitare i conflitti sociali essendo un negoziatore migliore del governo Sunak. Allo stesso modo, riguardo all'immigrazione, Starmer non ha accusato i conservatori di tormentare i lavoratori immigrati, ma di lasciarne entrare troppi nel Paese. Ha promesso di abolire la legge sul Ruanda... perché la considera troppo costosa e inefficace per frenare l'immigrazione. A maggio, Starmer ha accolto tra le fila laburiste una certa Nathalie Elphick, una disertrice del Partito Conservatore nota per essere di destra almeno quanto la famigerata Suella Braverman, ex ministro dell'Interno (2022-2023) particolarmente ostile ai migranti.

Ai giornalisti che hanno cercato di farlo passare per un fautore di maggiori tasse e spese, Starmer ha risposto promettendo di non aumentare la pressione fiscale; in un momento in cui tutti i servizi pubblici soffrono per la mancanza di investimenti, questo significa prevedere che rimarranno decapitati. Persino i liberal­democratici sembrano di sinistra al suo confronto, con la loro promessa di tassare i profitti delle banche per finanziare l'assistenza personale. Per Starmer, però, qualsiasi intervento sui ricchi è fuori discussione. Si capisce che il Financial Times sia stato pieno di elogi per il dirigente laburista, in cui si aspettava di vedere "il dirigente più affidabile delle democrazie liberali" all'indomani delle elezioni. Ma questa posizione di Starmer non era priva di rischi. Il Labour ha così tanto esaltato il suo senso di responsabilità nei confronti dei privilegiati e svuotato il suo programma di qualunque contenuto che potesse essere inteso come radicale o anti-establishment, che appare sempre più come il fratello gemello dei conservatori. E molti lavoratori non vedono più la ragione per cui dovrebbero dargli il loro sostegno.

I sindacati al seguito di Starmer

Nella sua campagna elettorale, Starmer ha avuto il sostegno della maggior parte dei dirigenti sindacali. È un aspetto da tenere in conto, anche se i sindacati sono passati dai 13 milioni di iscritti del 1979 (il loro picco) ad appena 7 milioni oggi. Persino Mick Lynch, un ferroviere a capo di un sindacato, l'RMT, che non è affiliato al Partito Laburista dal 2003, ha difeso il voto laburista tra i suoi iscritti. Trova Starmer "un po' insipido" e vorrebbe un programma "più audace", ma l'RMT ha sostenuto la campagna laburista. Lynch ha giustificato questa scelta nel il suo New Deal for Working People. Il testo contiene la promessa di revocare una legge del 2016 che limita il diritto di sciopero e una del 2023 che introduce una regolamentazione, ma è ben lontano dal chiedere l'abolizione di tutte le misure antioperaie degli anni Thatcher. E per quanto riguarda l'impegno a nazionalizzare di nuovo parte delle ferrovie, gli stessi conservatori stanno seguendo questa direzione, visti gli evidenti danni causati dalla privatizzazione del 1993..

Sharon Graham, il cui sindacato UNITE è affiliato al Partito Laburista, ha espresso critiche più aspre. Ha giustamente accusato Starmer di aver annacquato il suo New Deal per compiacere agli ambienti padronali. Non parla più di annullare i contratti "a zero ore", che non garantiscono un reddito minimo, o di vietare la pratica del "licenziamento e riassunzione" (fire and rehire), che permette al padrone di firmare un contratto di lavoro meno vantaggioso con un dipendente appena licenziato. Graham sottolinea anche che nel 2023 i laburisti hanno ricevuto 14 milioni di sterline da aziende e ricchi donatori, contro i 6 milioni dati ai sindacati. A parte queste giuste osservazioni, la Graham è principalmente arrabbiata con Starmer per aver trattato le burocrazie sindacali senza rispetto, ma affermava che avrebbe comunque votato Labour.

Questo non sorprende. I dirigenti sindacali hanno sempre sostenuto il Labour, sin dalla fondazione del partito nel 1906, come loro voce nell'arena parlamentare. In realtà, né la burocrazia sindacale né la dirigenza laburista determinano le loro politiche in base agli interessi della classe operaia, come è emerso ancora una volta durante gli scioperi del 2022-2023. I dirigenti sindacali li hanno trascinati in una situazione senza risoluzione mantenendoli su binari corporativi, sciogliendoli e persino firmando accordi scandalosi che ratificavano tagli salariali. Sebbene in diversi settori i sindacati abbiano il mandato di dare preavvisi, quasi tutti hanno scelto di sospendere le azioni di sciopero fino a dopo le elezioni, come se il ritorno dei laburisti al governo fosse la garanzia di conquiste che non sono state ottenute con la lotta. È chiaramente un'illusione, perché Starmer non ha nulla da offrire ai lavoratori, e non lo nasconde.

Una profonda crisi sociale

Anche attraverso il prisma distorsivo dei sondaggi elettorali, si poteva avere un'idea della profondità della crisi sociale in Gran Bretagna. Le preoccupazioni espresse dagli intervistati sono sempre statea le stesse: la difficoltà di far fronte alle spese vitali e il deterioramento dei servizi pubblici. È stato nel 2022, in seguito all'invasione dell'Ucraina, che i prezzi, già in aumento, sono esplosi, causando la peggiore crisi per il potere d'acquisto da decenni. Lo stato pietoso del sistema sanitario e dell'istruzione è stato percepito in modo ancora più intenso dalle famiglie della classe operaia. Sono ricomparse le banche alimentari e la povertà infantile è di nuovo in aumento. Nel 2024, i prezzi si sono stabilizzati ma non sono scesi, cosicché cibo, riscaldamento e alloggio rimangono una sfida per milioni di lavoratori. Più di 7 milioni di persone sono in lista d'attesa per le visite in ospedale e più di un milione di famiglie aspettano una casa popolare. E le carceri sono stracolme.

È chiaro che i lavoratori e le classi popolari non possono aspettarsi nulla di positivo da questo nuovo Primo Ministro che giura sul rigore di bilancio e sul rispetto dell'ordine costituito.. Per difendersi dai colpi, prima, e per strappare il potere ai capitalisti poi, i lavoratori britannici, come gli altri, potranno solo contare sulle loro lotte.

20 giugno e 10 luglio 2024 - Da "Lutte de Classe" n°241Luglio-Agosto 2024