Da “Lutte de classe” n° 144 – Maggio 2012
Non sono mancati i commenti sull'avvenimento storico che sarebbe l'elezione di François Hollande alla Presidenza della Repubblica in Francia. Si pensi che, per la prima volta dall'elezione di Mitterrand nel 1981, un candidato del Partito socialista arriva alla presidenza della Repubblica! In questo intervallo di 31 anni c’è stato anche il triste episodio del candidato socialista Jospin che nel 2002, dopo cinque anni alla testa del governo, era tanto screditato che fu eliminato sin dal primo turno, consentendo al candidato di estrema destra Jean-Marie Le Pen di essere presente al secondo turno contro il candidato della destra Chirac.
L'avvenimento può sembrare storico agli ingenui e a quelli per i quali la storia si riduce alla loro ambizione personale. Lo è sicuramente per i cosiddetti “elefanti”, i dirigenti di spicco del Partito socialista che da tanto tempo mordono il freno, e per la loro clientela. Lo è anche per tutto quel piccolo mondo la cui carriera è dovuta ai suoi legami con il potere politico, per esempio i padroni delle imprese a partecipazione statale. Ma per la schiacciante maggioranza della popolazione sicuramente non lo è.
E questo non solo perché è evidente per tutti che, in una situazione segnata dalla crisi economica e dai sobbalzi finanziari, gli episodi elettorali sono solo eventi apparenti. È evidente che qualunque sia la loro etichetta, i dirigenti politici non controllano niente di questa situazione economica, e che tutta la loro agitazione è solo falsa apparenza.
Di più, nel caso dell'elezione di Hollande, anche sullo stretto terreno politico non si tratta di una spinta a sinistra. Hollande ha saputo cavalcare l'onda anti-Sarkozy esistente e sommare i voti dell'elettorato di sinistra, minoritario nel paese, con altri in provenienza dal centro o addirittura dall'estrema destra.
Già Mitterrand era arrivato alla presidenza non come l'espressione, e ancora meno come punto più alto, di una spinta politica a sinistra. Al contrario il suo arrivo al potere chiudeva definitivamente il periodo del dopo ‘68. Ma dopo 23 anni di potere della destra, che il maggio ‘68 non aveva interrotto ma rafforzato sul piano elettorale, Mitterrand aveva suscitato illusioni che tra l'altro poggiavano su un programma elettorale rispetto al quale quello di Mélenchon (candidato del Fronte di sinistra) è solo all'acqua di rose.
Niente di simile con Hollande. Tutto ciò che si può dire del suo successo elettorale è che stava lì al momento giusto, in un contesto in cui Sarkozy era rigettato per tutta una serie di ragioni del tutto contraddittorie, e inoltre il candidato socialista ha avuto la grande fortuna della sua vita con le "disavventure" che hanno interrotto la carriera di Dominique Strauss-Kahn. Se la sua elezione è storica, significa davvero che qualche volta la storia prende strade stranissime.
Per il modo in cui si è svolta, l'elezione di Hollande non è stata un avvenimento storico. Lo può però diventare, almeno come punto di riferimento cronologico, a prescindere assolutamente da cosa farà o non farà Hollande.
Il fatto che Hollande arrivi al potere - ha detto: come candidato "normale" di una sinistra "normale", cioè anche incapace di suscitare illusioni nell'elettorato popolare - può essere solo l'ultima espressione dell'evoluzione reazionaria delle cose. Ma il semplice fatto che si afferma socialista, con il poco di significato che oggi questa etichetta può avere in materia di legami con il movimento operaio, può cambiare i dati politici ed essere all'origine di una nuova fase dell'evoluzione in senso reazionario.
La storia di questa nuova fase non sarà però scritta da Hollande, e neanche dal Partito socialista e dalla maggioranza che ha vinto le elezioni politiche dei 10 e 17 giugno. Sarà scritta dall'evoluzione stessa della crisi.
La sinistra al governo in un contesto di crisi
Anche se ha già portato cambiamenti importanti nelle condizioni d'esistenza della classe operaia, la crisi economica in corso forse non ha ancora conosciuto la sua fase più grave. Ricordiamoci che la precedente grande crisi, quella che aveva seguito il crollo bancario del 1929, si era tradotta con un calo della produzione che aveva raggiunto quasi il 50% nei due paesi capitalisti più potenti dell'epoca, gli Stati Uniti e la Germania. Anche in Francia, meno colpita probabilmente a causa del suo ritardo economico, dell'importanza dell'agricoltura nell'economia e dei contadini nella società, il calo era stato importante.
Certamente nessuna crisi economica è la copia della precedente. E in questa economia irrazionale e anarchica, non esiste regolarità neanche nello svolgimento delle crisi. Si può sempre immaginare che, come ripetono i dirigenti politici al potere, il momento più grave sia dietro di noi. Ma bisognerebbe essere molto ingenui per crederci.
Le economie delle grandi nazioni capitaliste funzionano al rallentatore, o addirittura sprofondano nella recessione. E innanzitutto c'è sempre questa instabilità finanziaria, queste masse enormi di capitali che non si investono nella produzione ma dai quali si aspetta un rendimento, almeno grazie alle operazioni finanziarie. Tale situazione era già stata all'origine di molti sobbalzi finanziari, e in particolare della grave crisi del settembre 2008 segnata dal fallimento della banca Lehman Brothers, che minacciò di portare al crollo del sistema bancario, e alla quale gli Stati poterono far fronte solo indebitandosi a morte. Ma adesso sono gli Stati stessi e i loro debiti ad essere oggetto di speculazioni di un'ampiezza senza precedenti.
Nessuno può aspettarsi che Hollande possa far fronte a questa situazione, e nessuno se lo aspetta.
Tutti gli uomini al potere hanno fallito in questa situazione, quelli delle piccole nazioni trascinate nella tempesta come la Grecia hanno perso tutto il loro credito politico. Altri come Zapatero o Sarkozy hanno perso il posto.
Se prosegue l'attuale evoluzione, cioè se le preoccupazioni finanziarie continuano a dominare, l'ammontare del debito farà da pretesto a politiche di austerità sempre più drastiche. In Francia l'austerità di sinistra sostituirà l'austerità di destra.
Per le classi popolari, il fatto che l'austerità provenga dalla sinistra anziché dalla destra non cambierà un gran che dal punto di vista delle conseguenze materiali. Ma sul piano delle conseguenze politiche questo comporta nuovi pericoli. Il semplice fatto che sarà un governo di sinistra a prendere le misure di austerità sarà inevitabilmente un vantaggio per la destra e l'estrema destra.
La destra all'opposizione non avrà difficoltà a dare la responsabilità di ogni misura di austerità voluta dalla finanza, non solo al Partito socialista al potere, ma anche ai sindacati “troppo rivendicativi”, agli “statali che costano troppo”, al costo della manodopera, cioè all'ammontare dei salari e degli oneri sociali, alla mancanza di competitività delle imprese perché i salariati non lavorano abbastanza ed esigono troppo, ecc.
Basti ricordare come Sarkozy ha attaccato il candidato socialista per la sua proposta di creare posti di lavoro supplementari nell'educazione. Questa sarebbe la dimostrazione che Hollande è incapace di resistere alle esigenze dei sindacati degli insegnanti.
Tutta questa demagogia, mirata al consenso della piccola borghesia possidente, tanto numerosa in questo paese, aumenterà il peso elettorale della destra e rafforzerà al suo interno il peso dell'estrema destra. E ciò che sarà ancora più grave per i lavoratori, questo manterrà un clima ostile non solo ai sindacati, alle organizzazioni più o meno legate al mondo del lavoro, ma più largamente ai lavoratori in generale, a cominciare ovviamente dai lavoratori immigrati.
L'esempio della Grecia dimostra come, in questa situazione di crisi, con l'impreparazione del movimento operaio organizzato, le cose possono evolversi rapidamente. È bastato che i piani di austerità imposti alla Grecia dalle potenze dominanti d'Europa avessero screditato i grandi partiti che si davano il cambio al potere, perché un burattino tanto odioso quanto ridicolo, alla testa del partito “Alba dorata”, che alle elezioni precedenti era lontano dall'1%, si ritrovasse con il 7% dei voti, spinto alla ribalta della politica, e potesse inviare deputati al Parlamento greco, ostentando apertamente la sua pretesa di espellere tutti gli immigrati e di richiamare all'ordine la classe operaia. Anche in questo caso la storia non si ripete sempre in modo identico da un paese all'altro, ma la crisi può far sorgere le stesse mostruosità qui in Francia.
Le minacce politiche contro la classe operaia
Questo per la classe operaia significa che, ancor prima di essere nella situazione di imporre alla borghesia le misure indispensabili per difendere le sue condizioni di esistenza materiale, forse sarà di fronte ad una situazione che necessiterà il suo intervento politico. Infatti non dobbiamo lasciarci ingannare. Non saranno la demagogia verbale e i proclami di Mélenchon a poter arrestare un'eventuale ascesa dell'estrema destra violenta, e neanche a ostacolare l'agitazione antioperaia della destra.
Per ora l'ambizione dell'estrema destra, comunque quella espressa dai suoi esponenti, è di porre fine all'ostracismo che la colpisce da parte della destra parlamentare, di riuscire ad avere dei deputati e, se l'Ump fosse lacerata dalle rivalità dei capi che vogliono succedere a Sarkozy, di lanciare una specie di offerta pubblica di acquisto in direzione dell'insieme della destra. Nonostante le dichiarazioni dei capi dell'Ump, che continuano ad escludere ogni tipo di intesa globale con il partito d'estrema destra, molteplici contatti sono in corso in modo evidente. Sarkozy una volta parlava di una destra “disinibita”. Un certo numero di deputati sono tanto più disinibiti nei confronti del Fronte nazionale, in quanto il candidato locale di quest'ultimo li poteva minacciare al secondo turno delle politiche. Ma lì si trattava solo delle solite manovre del sistema parlamentare.
Nessuno però può scartare l'eventualità che, sulla scia del Fronte nazionale o nel suo interno, appaiano correnti più radicali, pronte a passare dalle parole ai fatti e a prendersela fisicamente con i lavoratori immigrati, poi con il movimento operaio organizzato e con i suoi militanti, e in questo modo con l'insieme dei lavoratori.
In tale eventualità, la forza dell'estrema destra può essere fermata solo da una forza opposta, ma che sia collocata sul terreno degli interessi materiali e politici della classe operaia. In altri termini, la classe operaia dovrà essere capace di mobilitarsi non solo per imporre le sue rivendicazioni materiali, per difendere le sue condizioni di esistenza di fronte alla crisi, ma anche per difendere i propri interessi politici e così aprire una prospettiva alla società, di fronte al fallimento dell'economia capitalista e alla decomposizione della società borghese.
Svolta verso la "crescita"?
Altri tipi di evoluzione solo possibili. Alcune sfumature appaiono nel discorso di un numero crescente di dirigenti politici e di portavoce della classe capitalista, intorno alla necessità di una politica di crescita. Diventa evidente che le somme allucinanti dedicate al rimborso del debito e le politiche di austerità che ne derivano aggiungono crisi alla crisi, cioè restringono ancora di più un mercato già in situazione di stasi.
Alcuni banchieri ed economisti che analizzano il precedente della crisi del 1929 cercano di far uscire dal dimenticatoio Keynes e la politica keynesiana, cioè una politica di intervento più massiccio dello Stato in grado di favorire il consumo, sia direttamente - il premio alla rottamazione è un esempio - sia indirettamente, con uno statalismo accresciuto per rilanciare alcune attività economiche, tra l'altro con programmi di grandi lavori statali. Tale politica, dal punto di vista monetario, sarebbe inflazionistica.
Non insisteremo qui sulla difficoltà di condurre questa politica nell'ambito dell'eurozona, che certamente dispone di una sola e unica moneta ma è composta da 17 Stati con 17 debiti pubblici diversi e 17 politiche economiche da coordinare. Se l'interesse dei più potenti gruppi capitalisti spinge in questo senso, troveranno sicuramente una soluzione tecnica, anche a costo di imporre ai più deboli, con ancora più brutalità di ciò che hanno fatto nei confronti della Grecia, la legge delle due potenze dominanti dell'eurozona.
Una svolta in questo senso non verrebbe certamente dall'efficacia del discorso di Hollande, che ne ha parlato durante la campagna, né dalla sua personalità, ma da una svolta nella politica della classe capitalista stessa.
Se tale svolta diventerà realtà, non sarà più favorevole alla classe operaia rispetto alla politica di austerità e di restrizione delle spese. Una politica inflazionistica è certamente un modo apparentemente più indolore di far pagare le classi sfruttate, ma è comunque un modo per farle pagare.
Chi dice inflazione dice diminuzione permanente del potere d'acquisto delle categorie sociali che, come i salariati, non sono padroni dei loro redditi.
Un orientamento in questo senso, anche se fosse avviato, dovrebbe radicarsi nella situazione presente segnata dall'indebitamento enorme degli Stati. I creditori non sarebbero in questo caso più disposti a lasciare i loro prestiti sull'altare della crescita. Tanto meno considerando che coloro che vorrebbero un rilancio del mercato da parte degli Stati, sono gli stessi che incassano gli interessi del debito. L’esito più probabile è che alle classi sfruttate toccheranno tutte e due le cose. A loro si imporranno i sacrifici, cioè le misure di austerità, col pretesto del debito, pur rosicchiando il loro potere d'acquisto grazie all'inflazione.
Le conseguenze sociali e politiche potrebbero essere le stesse, e rafforzare la destra e l'estrema destra con un ragionamento sempre più antioperaio.
Durante la grande crisi degli anni trenta, questo tipo di politica era piuttosto una prerogativa della sinistra in senso largo, cioè dei democratici negli Stati Uniti e dei socialdemocratici in Europa. Anche se bisogna aggiungere che la politica economica di Hitler era diversa da quella di Roosevelt non tanto per il suo contenuto, quanto per la sua violenza contro la classe operaia.
La questione del partito
Qualunque sia la strada presa dalla borghesia di fronte alla crisi della sua economia, poggerà sulla violenza, almeno economica, contro la classe operaia. La classe operaia per ora non è preparata a difendersi. Rovesciare questo rapporto di forze tra la classe operaia e la grande borghesia necessita un alto livello di combattività, ma anche un alto livello di coscienza. E chi dice coscienza operaia dice un partito per incarnarla.
La corrente comunista rivoluzionaria è troppo debole e troppo in ritardo per essere all'altezza delle circostanze. Ma anche così le cose possono cambiare molto rapidamente, se questa corrente non abbandona le sue idee e le difende con abbastanza fermezza perché i lavoratori, spinti alla lotta per difendere le loro condizioni materiali, si rivolgano ad essa.
Questo è il motivo per cui, nelle elezioni politiche che hanno seguito la presidenziale e nonostante il regresso delle tradizioni, delle idee e dei valori della lotta di classe, o precisamente per questo motivo, abbiamo preferito collocarci su questo terreno, come abbiamo fatto durante l'elezione presidenziale.
Più ancora della presidenziale, le elezioni politiche sono un aspetto accessorio che non cambia la questione essenziale, nonostante gli sforzi fatti da una parte e dall'altra per drammatizzarlo. In queste condizioni, cercare alleanze all'estrema sinistra nella speranza di raccogliere alcune frazioni di percentuali in più al prezzo di molteplici concessioni, non ha senso.
Se i legami tra il movimento operaio e la sinistra diventano un ricordo storico col passar del tempo, questo è ancora più vero per quanto riguarda l'identificazione tra l'estrema sinistra e il comunismo rivoluzionario.
Seguendo un'altra strada storica, ma fondamentalmente per la stessa ragione che deriva dalla sopravvivenza dell'imperialismo, la sinistra francese si avvicina sempre più a ciò che è il partito democratico degli Stati Uniti, cioè un partito che, pur beneficiando di una certa simpatia negli ambienti popolari, consente di assicurare l'alternanza seguendo pienamente il gioco delle istituzioni della borghesia.
Le piccole alleanze elettorali, le addizioni aritmetiche, non sono certamente all'altezza delle circostanze e della necessità di far sorgere un autentico partito comunista rivoluzionario, legato alle battaglie della classe operaia e deciso a spingerle fino in fondo, cioè fino alla rivoluzione sociale e alla presa di potere da parte della classe operaia.
La questione del partito non sarà certamente risolta dall'attività di un solo piccolo gruppo. Ma non lo sarebbe neanche dall'addizione di parecchi piccoli gruppi con idee disparate. A maggior ragione ancora, non sarebbe una soluzione per tutti questi piccoli gruppi dell’estrema sinistra quella di accodarsi dietro una corrente riformista come quella incarnata dal Fronte di sinistra. Anche se quest'ultimo è dipinto da colori abbastanza piacevoli da poter assecondare, in una mezza opposizione, il Partito socialista al potere in caso di problemi con il mondo del lavoro; oppure eventualmente per dargli il cambio, sempre nell'ambito del sistema istituzionale.
Il partito comunista rivoluzionario nascerà quando, di fronte alla necessità di fronteggiare l'offensiva sempre più violenta della borghesia, nel campo materiale come nel campo politico, la classe operaia farà sorgere dalle sue file migliaia, decine di migliaia di donne e uomini pronti a dedicare la loro esistenza all'emancipazione della loro classe, alla rivoluzione sociale.
I comunisti rivoluzionari possono e devono giocare il loro ruolo quando la lotta di classe produrrà tale situazione. Ma la situazione non dipende fondamentalmente da loro. Ciò che dipende da loro e solo da loro è trasmettere le idee e il programma comunisti rivoluzionari. E questo comincia con il rifiuto di svenderli in cambio di irrisori compromessi e per addizionare alcune percentuali di più, in occasione dell'elezione di un’assemblea dal ruolo ridotto al minimo.