(Da “Lutte de classe” n° 156 – Dicembre 2013)
Il discredito del partito socialista
All'indomani dell'elezione di Hollande, avevamo spiegato che, se la situazione economica fosse peggiorata, il governo socialista difficilmente avrebbe resistito sia alle pressioni della destra e dell'estrema destra sia al suo prevedibile discredito nel proprio elettorato. Avevamo anche espresso l'idea che, forse, Hollande non avrebbe finito il suo mandato. 15 mesi fa era solo un ragionamento astratto.
Le possibilità di uno scioglimento dell'assemblea, amplificate dalla stampa, per ora sono solo voci che riflettono innanzitutto la speranza e gli appetiti di una destra e di un centro allontanati dai loro posti di deputati dall'”ondata rosa” del 2012. Abbiamo tuttavia sotto gli occhi i meccanismi concreti che possono portare ad uno scioglimento. La vacuità dell'opposizione parlamentare è senz'altro la principale garanzia della maggioranza socialista perché, in mancanza di un'alternativa chiara, la borghesia non si augura una crisi politica grave, suscettibile di trasformarsi in una crisi di regime.
Il governo contava su una ripresa economica per dimostrare l'efficacia della sua politica. Questa debole speranza sta sparendo sotto la nuova valanga di piani di licenziamenti e di chiusure di aziende quali Alcatel, Goodyear, La Redoute, Fagor, senza dimenticare l'ondata di chiusure di fabbriche nell'agroalimentare bretone che, con la tassa ecologica, è alla fonte del malcontento profondo scoppiato in questa regione.
Il timore che questa mobilitazione fosse contagiosa è stato senz'altro il motivo che ha spinto il governo a fare un passo indietro rispetto al varo di questa tassa ecologica.
Il discredito del governo è ormai profondo. Molti tra quelli che hanno votato Hollande lo hanno fatto senza illusioni, ma con la speranza diffusa nell'elettorato popolare che la sinistra al governo avrebbe cambiato alcune cose e che la situazione sarebbe diventata più facile per i ceti più modesti. Oggi essi si sentono traditi. Traditi sul problema della disoccupazione che continua ad aumentare, traditi per i tagli nei servizi pubblici, traditi anche per la vampata delle tasse.
Da questo punto di vista, la mobilitazione in Bretagna, regione dominata dalla sinistra dove Hollande è stato eletto con il 56,35% dei voti, dimostra che il governo perde credito in un elettorato che, fino a quel momento, gli era rimasto fedele.
Hollande, per provare ad arginare questo discredito, ha chiesto di essere giudicato sui risultati. Ha fatto dell'inversione della curva della disoccupazione una delle sue priorità. Se la promessa si poteva accettare otto mesi fa, oggi non è più il caso tanto è evidente agli occhi di tutti che solo degli artefici statistici potrebbero diminuire l'aumento della disoccupazione.
Incapace di creare illusioni sulla sua politica economica e sociale, il governo vuole piacere in materia di politica di sicurezza. Da qualche mese il ministro degli Interni Valls è il salvagente del governo. Ergendosi a difensore della sicurezza, adottando i discorsi più duri contro i rom e contro l'immigrazione, Valls permette al governo di seguire lo spostamento a destra dell'elettorato, a cui partecipa a sua volta.
Il governo, senza essere in grado di convincere i più reazionari, che in questa materia preferiranno sempre la destra e l'estrema destra, demoralizza e disorienta gli stessi aderenti al Partito socialista i quali credevano che, almeno nel campo della tolleranza e della solidarietà umana, il loro partito avesse ancora qualche valore da difendere.
Per non parlare del pietoso spettacolo da politicanti dato dal Partito socialista come fu in occasione dell'affare Cahuzac o durante le primarie di Marsiglia.
Se la fronda contro la politica del governo si è espressa per qualche tempo per il tramite del Fronte di sinistra (Partito di sinistra - Partito comunista), adesso si esprime sempre più apertamente in seno al Partito socialista stesso. Eletti sempre più numerosi cominciano a prendere le distanze, sia che critichino il governo da sinistra, sia che lo critichino da destra, tanto è loro evidente che sarà l'unico modo di limitare i danni alle elezioni comunali. Meno si appare associati ad Hollande e alla sua politica, meglio è per le future elezioni.
Se i socialisti hanno pochi margini di manovra, gli ecologisti ne hanno di più. Tra loro Placé chiama gli studenti alla rivolta, Mamère abbandona la nave EELV (Europe Écologie - Les Verts), Cécile Duflot e Pascal Canfin si aggrappano alla loro poltrona di ministri a prescindere dalle rinunce del governo in materia di ecologia.
L'UMP non ne approfitta
L'indebolimento di Hollande e del governo non frutta all'UMP. Il movimento contro il “matrimonio per tutti” forse ha rafforzato le organizzazioni di gioventù di destra ma non sembra che l'UMP, impantanata nella battaglia fra i suoi capi, se ne sia avvantaggiata. Nessuno dei numerosi pretendenti riesce ad imporsi come Sarkozy aveva saputo farlo a suo tempo.
La rapidità - due mesi - con cui l'UMP è riuscita a trovare gli 11 milioni per pagare la campagna del 2012 dimostra la popolarità di Sarkozy a destra. Lo dimostra anche il fiasco sul bilancio degli anni Sarkozy. Nonostante lo svantaggio della sconfitta elettorale del 2012, questi si pone sempre più come principale elemento di unità in un partito minato dai dissensi al vertice e ai vari livelli dell'apparato.
Per ora l'UMP non sembra tanto capace di intercettare i delusi di Hollande all'interno della frazione di elettorato di centro e di destra che, per la sua ostilità a Sarkozy, aveva contribuito all'elezione del candidato del PS. Questo perché la politica del governo assomiglia come due gocce d'acqua a quella fatta a suo tempo dal governo Sarkozy. L'UMP e il PS al potere si spartiscono in parti uguali la responsabilità degli aumenti delle tasse. Condividono i regressi sulle pensioni. E se domani la tassa ecologica si aggiungerà ad uno scandalo di Stato, ognuno dovrà assumersene il carico.
In questa continuità tra destra e sinistra, è facile per il Fronte nazionale denunciare lo Stato “UMPS”.
Poiché l'UMP non riesce a conquistare i malcontenti, l'ex ministro di Sarkozy Jean-Louis Borloo ha accettato di affiancare l'ex candidato centrista Bayrou per provare a lanciare una nuova “offerta politica” centrista, come loro stessi spiegano. Bayrou, che aveva chiamato a votare Hollande, ha dovuto pentirsene due mesi dopo, avendo perso sia il suo posto di deputato sia una buona parte delle proprie truppe. Alleandosi con Borloo, egli scommette sul fatto che ci saranno delusi della persona stessa di Hollande e che forse ci sarà un posto per lui. Bayrou e Borloo, ripetendo sempre che di fronte al fallimento della destra e della sinistra ci vogliono idee nuove, senza però essere capace di annunciarne anche una sola, sperano di attrarre verso di loro sia i delusi dell'UMP, sia i delusi della destra del Partito socialista.
Le divisioni nel Fronte di sinistra
La strategia elettorale del Fronte di sinistra consiste nell'attrarre dalla sua parte la frazione dell'elettorato delusa da Hollande ma che si considera di sinistra. Il suo dirigente Mélenchon non risparmia i discorsi per apparire come l'oppositore numero uno ad Hollande. Ma la dirigente del Fronte Nazionale Marine Le Pen lo supera di gran lunga e il tempo in cui Mélenchon credeva di poter rivaleggiare con lei in una singolare battaglia è passato. I suoi talenti mediatici non possono arginare l'evoluzione verso destra.
La stessa demoralizzazione dell'elettorato di sinistra, che favorisce le spinte a destra e pesa sui militanti politici e sindacalisti, pesa anche sul Fronte di sinistra. A questo si aggiungono le divisioni interne del Fronte di sinistra, provocate dalle differenti strategie elettorali del Partito di sinistra e del Partito comunista rispetto alle prossime elezioni comunali.
L'obiettivo della direzione del PCF consiste nel conservare le posizioni nelle giunte comunali, i sindaci e gli 8000 eletti, quindi essa è a favore dell'alleanza con il Partito socialista sin dal primo turno, come ha dimostrato l'esempio di Parigi. Lì c'è, nell'immediato, un conflitto d'interessi con il Partito di sinistra che ha pochi eletti comunali e scommette sulle elezioni europee. Gli eletti e il radicamento nei comuni, ciò che rimane di quello passato, sono vitali per il PC, che ha ben più possibilità di conservare questi eletti negoziando posti e posizioni con il Partito socialista.
Ben diversi sono gli interessi politici di Mélenchon che si erge a salvatore della sinistra al di sopra della mischia. Bisogna ricordare che lo è diventato grazie al PC stesso, senza il quale non avrebbe potuto conquistare questo titolo. Per garantire il proprio futuro politico, Mélenchon ha l'interesse di sottolineare la sua specificità, anche se sia lui che le sue truppe dovessero raggiungere il PS al secondo turno. Tra le due elezioni successive, sono le europee a convenirgli meglio e la sua strategia per le comunali deriva da quella adottata per le europee.
Anche se le tensioni tra il PC e il PG nei prossimi mesi potrebbero essere forti, soprattutto nelle città come Parigi dove liste del PG si presenteranno contro quelle del raggruppamento PS-EELV-PCF, il corpo del PG, in cui le migliaia di militanti PCF sono i piedi e Mélenchon la testa, non è sul punto di sciogliersi. Un corpo come il Fronte di sinistra risponde a bisogni simmetrici. Mélenchon ha bisogno dei militanti del PC mentre il PC ha bisogno della popolarità di Mélenchon.
A Parigi i militanti del PC hanno seguito la direzione, votando in maggioranza per la presenza nella lista socialista sin dal primo turno. In due altre città, Lione e Grenoble, il voto dei militanti ha deciso in due sensi contrari. Le divergenze tra la strategia di Mélenchon e quella della direzione del PC entrano quindi all'interno del PC stesso, preoccupano e disorientano i militanti. Molte sezioni locali sono praticamente scisse in due parti. E anche quando non è così, i militanti si interrogano.
Bisogna approfittarne per parlare con loro dappertutto, quando è possibile. Bisogna farlo senza illusioni perché la linea di divisione non si trova, neppure indirettamente, intorno ad una linea di classe, ma ad una divergenza nella tattica elettorale. I militanti del PC, che sono in disaccordo con l'accodamento al Partito socialista sin dal primo turno, lo sono più per opportunismo elettorale che non per la preoccupazione di difendere davanti ai lavoratori una politica di classe. Basta infatti vedere la sorte riservata al candidato PC sostenuto dal PS durante l'elezione parziale di Brignoles per capire che il discredito del governo ricade su tutte le componenti della sinistra, PC compreso, anche se quest'ultimo non ha ministri nel governo.
Bisogna però approfittare della situazione per discutere dell'evoluzione del PC, del come e del perché del suo continuo declino. Bisogna discutere anche dell'integrazione di lungo periodo del PC nel sistema politico borghese, dei motivi profondi del codismo nei confronti del PS e dell'elettoralismo stesso. Bisogna portare avanti questa discussione mostrandoci come quelli che non hanno mai abbandonato la bandiera della lotta di classe e del comunismo. In altri termini, non bisogna mettere l'accento sull'”indipendenza” nei confronti del PS, come fa l'NPA. Su questo terreno, Mélenchon è più convincente. Bisogna toccare quelli del PC per i quali la parola “comunismo” ha ancora, se non proprio un senso, almeno una certa risonanza. Questi certamente sono una piccola minoranza ma, quando si tratta di militanti operai, essi contano per il futuro.
La politica di Mélenchon è una sottile miscela di fraseologia vendicativa e di offerte di servizio ad Hollande poiché ha proposto i suoi servizi come primo ministro solo poco tempo fa. L'elettorato a cui egli mira è la base elettorale tradizionale del Partito socialista. È un elettorato in gran parte piccolo-borghese, anche se la direzione del PC vi ha aggiunto il proprio.
Se Mélenchon ha qualche credito presso il proprio elettorato, è perché questo gli assomiglia, sia per le invettive che per lo stesso profondo disinteresse nei confronti del mondo del lavoro, dei suoi veri problemi, delle sue preoccupazioni, della sua vita e soprattutto della prospettiva che solo la classe operaia può rappresentare. L'elettorato di Mélenchon gli assomiglia per il rifiuto della lotta di classe, per il terrore sociale di fronte a quella che il proletariato dovrà condurre per emanciparsi.
Bisogna innanzitutto essere consapevoli che, in caso di ascesa delle lotte, la politica di Mélenchon sarà quella di incanalarle verso una soluzione politica accettabile per la borghesia. E per questo tale politica sarà l'opposto di quella che mira alla presa di coscienza rivoluzionaria della classe operaia.
Il Fronte nazionale e i pericoli di una spinta reazionaria
La crescita dell'influenza elettorale del Fronte nazionale, così come appare nei sondaggi e in alcune elezioni parziali recenti, è significativa del clima politico.
In questo paese la destra è maggioritaria sul piano elettorale. L'estrema destra, da parte sua, ha avuto spesso in passato risultati elettorali importanti, almeno quando l'elettorato più reazionario si identificava con una personalità emblematica. Così fu con De Gaulle e l'RPF all'inizio degli anni '50, con il movimento di Poujade sempre negli anni '50, con Tixier-Vignancourt negli anni '60 e, in ultimo, con la dinastia Le Pen. D'altra parte, i confini tra l'estrema destra e la destra parlamentare sono talmente porosi che una parte dell'elettorato dell'estrema destra spesso si mischia con quello della destra classica.
L'aspetto preoccupante della crescita dell'influenza elettorale del Fronte nazionale consiste soprattutto nell'attrazione che il partito d'estrema destra esercita su una parte significativa dell'elettorato operaio. È una constatazione che non facciamo partendo dai sondaggi, ma dalle discussioni nei quartieri popolari o nei luoghi di lavoro. I motivi sono chiaramente riconducibili alle delusioni nei confronti dei partiti della sinistra tradizionale i quali, quando sono al governo, conducono una politica che praticamente non si distingue da quella della destra.
La denominazione “UMPS”, cara a Marine Le Pen, trova tanto più facilmente un riscontro anche tra i lavoratori in quanto corrisponde alla loro esperienza politica. I nostri argomenti intorno al fatto che il Fronte nazionale è al servizio del gran padronato e dell'ordine capitalista, tanto quanto gli altri partiti, possono avere qualche influenza, ma si scontrano con la seguente obiezione, che appare di buon senso: "questi non li abbiamo ancora sperimentati".
La nostra pratica militante ci dimostra che l'attrazione del Fronte nazionale non è, o almeno non è ancora, un'adesione, ma l'espressione di una perdita di riferimenti politici, di un profondo disorientamento. Il nostro peso militante è tuttavia troppo debole per controbilanciare questo disorientamento al livello che servirebbe e, a maggior ragione, per superarne le cause profonde.
La crescita dell'influenza elettorale del Fronte nazionale non si alimenta solo con il disgusto rispetto alla politica condotta dai grandi partiti di sinistra quando sono al governo. Si alimenta ancor più profondamente a causa dell'assenza dei partiti del movimento operaio sul campo, nei quartieri o nelle aziende, partiti in grado di prendere in contropiede gli argomenti dell'estrema destra almeno su alcune questioni quali il razzismo, la xenofobia. Il Fronte nazionale riprende demagogicamente i pregiudizi che sono nell'aria e li rafforza grazie al fatto che i partiti parlamentari classici li fanno propri sempre di più.
A questo si aggiunge il fatto che l'allineamento a vari livelli di tutti i partiti che si pretendono repubblicani su tale o tal altra posizione del Fronte nazionale dà una credibilità a queste posizioni e fa in modo che si banalizzino. Quegli stessi che già prima avevano questi pregiudizi ma non li osavano propagare oggi lo fanno apertamente.
A nulla serve fare speculazioni su quello che c'è nella testa di Marine Le Pen o del suo stato maggiore: integrarsi nel gioco politico tradizionale o impegnarsi in una politica più violenta.
In Francia non si è nella situazione di emergenza dovuta all'esistenza di organizzazioni come Alba dorata in Grecia o Jobbik in Ungheria. Ma le manifestazioni contro il “matrimonio per tutti” devono essere un avvertimento. Esse hanno dimostrato che esistono gli elementi umani che potrebbero diventare i quadri di un'evoluzione in quella direzione. Hanno lasciato intravedere i legami tra questi elementi e la gerarchia dell'esercito e della polizia. L'espressione “non demonizzare il Fronte nazionale” certamente non è opera della sola Marine Le Pen, ma di tutta un'evoluzione dell'opinione pubblica in cui le provocazioni del FN non sembrano più, o sembrano meno, vergognose. Un'evoluzione in cui non solo la destra parlamentare ma anche la sinistra, il Partito socialista al potere, hanno un ruolo importante. Questa non demonizzazione facilita ovviamente l'attività politica di tutti quelli che difendono le idee dell'estrema destra, senza che per questo si trasformino necessariamente in militanti fascisti. Ma se esistono - ed esistono! - i quadri di un'eventuale movimento fascista, se esiste un clima politico che rende più facile il loro reclutamento, mancano ancora le truppe che l'aggravarsi della crisi può far sorgere e mettere a loro disposizione.
Ciò che aveva consentito all'oscuro demagogo ultra-nazionalista Hitler di ottenere credito, e poi di candidarsi al potere, fu l'esistenza di decine, centinaia di migliaia di piccolo-borghesi rovinati, mobilitati dalla crisi, cioè dalla propria decadenza. In questo senso l'avvenire del Fronte nazionale, o di questa o quella sua componente, come futuro partito fascista è collegato alla durata e all'aggravarsi della crisi.
Non siamo a tal punto, ma la situazione può cambiare rapidamente. Le manifestazioni in Bretagna devono costituire un segnale d'allarme. La fronda dei “baschi rossi” ha dimostrato come la piccola borghesia poteva manifestarsi e intraprendere azioni radicali. Queste azioni non erano affatto dirette contro i lavoratori, ma contro il governo e in particolare contro la tassa ecologica. Esse avrebbero però potuto prendere di mira i sindacati, la CGT in particolare, che ha fatto di tutto per perdere il contatto sia dei lavoratori che dei piccoli borghesi che manifestavano a Quimper il 2 novembre, difendendo la politica del governo anche se in modo ipocrita.
In caso di radicalizzazione della piccola borghesia, tutta la questione sarà allora di sapere in quale campo essa si schiererà: nel campo dei lavoratori o nel campo della borghesia slittando verso l'estrema destra o addirittura costituendo truppe d'urto.
Per fare sì che la piccola borghesia scelga il campo dei lavoratori, non basterà affermare che la borghesia è la sua nemica, responsabile del suo fallimento, occorrerà che i lavoratori lottino in modo tanto radicale quanto lo farà lei, che dimostrino di essere capaci di combattere la borghesia con efficacia e di avere una prospettiva per il futuro.
Niente indica che i lavoratori prenderanno la strada delle lotte per le proprie rivendicazioni prima che le altre categorie sociali entrino in azione. È possibile che, come in Bretagna, le due cose si mischino e che sia la piccola borghesia a trascinare i lavoratori dietro le sue parole d'ordine. Seppur le nostre dimensioni non ci consentano di influire sul corso degli avvenimenti, dobbiamo avere una politica per la classe operaia anche in tale situazione.
Nella lotta contro la tassa ecologica non siamo stati neutrali. Siamo stati solidali nonostante la composizione eterogenea delle manifestazioni. La principale, quella di Quimper, ha attratto lavoratori licenziati di aziende agroalimentari della regione, ma anche rappresentanti del Medef locale (Confindustria), così come membri di varie categorie della piccola borghesia, artigiani, pescatori, piccoli contadini. Al di là del simbolo della bandiera bretone, queste manifestazioni si sono svolte con l'idea dell'unità tra gli interessi delle varie classi sociali.
Abbiamo denunciato la pretesa della borghesia di parlare in nome delle classi lavoratrici, e quella di chi licenzia di parlare in nome delle sue vittime. Abbiamo affermato la necessità per i lavoratori di portare avanti le proprie rivendicazioni, ma soprattutto le proprie prospettive per la società. Abbiamo rifiutato di mettere i lavoratori davanti alla falsa scelta consistente nel manifestare dietro il padronato o a favore del governo. In ambo i casi, abbiamo proposto alla classe operaia una politica autonoma. Una politica opposta da un lato al padronato e dall'altro al governo.
Essere solidali con la piccola borghesia non significa che la sua battaglia sia identica alla lotta dei lavoratori. Affermiamo al contrario che i lavoratori hanno la loro lotta da portare avanti sul proprio terreno di classe e che l'unica prospettiva, per i lavoratori come per tutta la società, è di mettersi in testa alla battaglia perché sono loro gli unici che non abbiano alcun interesse al mantenimento di questa società di sfruttamento, gli unici che possano contestare la dittatura della borghesia.
Finora la classe operaia è apparsa smobilitata. Le confederazioni sindacali hanno una schiacciante responsabilità in questa smobilitazione. In primo luogo la CFDT che, firmando l'accordo ANI, ha legittimato sin dall'inizio la politica anti-operaia del governo ed ha contribuito a disorientarla facendo passare in seno alla classe operaia le idee padronali sulla competitività come sul resto. La CGT e FO, che si sono pronunciate contro il progetto del governo, hanno però rifiutato di denunciare questa riforma nel suo complesso e sono state incapaci di organizzare una mobilitazione quando l'avevano deciso. Sono state ugualmente incapaci di dare un orientamento chiaro alle loro rivendicazioni.
Queste politiche delle confederazioni sindacali demoralizzano persino gli ambienti militanti. Essi sono tanto più disorientati e sconcertati in quanto assistono all'ascesa delle idee del Fronte nazionale tra i lavoratori e si sentono impotenti, incapaci di opporre ad esse una qualunque politica. Per questo dobbiamo continuare a cogliere ogni occasione per discutere nei sindacati e difendere lì la nostra politica. Ovviamente continueremo ad affermare che solo lotte potenti dei lavoratori consentiranno di salvare le loro condizioni d'esistenza, ma che comunque è utile e prezioso lottare, non fosse che con le parole, per continuare a difendere i valori e le rivendicazioni di classe.
L'anno elettorale
Che ci siano lotte o no, l'anno sarà comunque un anno elettorale, segnato dalle elezioni comunali, poi da quelle europee. E dobbiamo prepararci ad intervenire anche in questo campo.
In queste elezioni dovremo presentarci come un'opposizione operaia al governo. Il nostro asse consisterà nel far sentire il campo dei lavoratori contro la borghesia e i suoi servitori politici. Ma siccome queste elezioni saranno segnate dal Fronte nazionale, dovremo anche esporre la nostra posizione nei suoi confronti e discutere intorno a noi di esso.
Diremo tutto il male che pensiamo del Fronte nazionale, ma da un punto di vista di classe. Non vogliamo gridare al fascismo, ciò che non è, e non lo criticheremo da un punto di vista morale. Al contrario dei difensori del cosiddetto “fronte repubblicano”, diremo che il Fronte nazionale è un partito della borghesia che si distingue dagli altri per la politica autoritaria che porta avanti, ma che anch'esso governerà a vantaggio del padronato.
Spiegheremo ai lavoratori che hanno ragione di voler respingere la politica del governo e la cricca che governa da decenni, ma che quelli che pensano di poterlo fare col voto al Fronte nazionale si sbagliano di grosso. Il Fronte nazionale è, come gli altri, un partito che mira alle poltrone e non ha niente contro la borghesia, niente contro lo sfruttamento. È un partito che vuole, come gli altri, perpetuare la schiavitù salariale, ma con metodi più dittatoriali.
Bisognerà far riflettere quelli che pensano, non fosse che per provocazione, di votare per il Fronte nazionale sul significato che sarà dato al loro voto. Il voto al FN sarà interpretato come una critica al governo da destra, perché i voti dei più poveri saranno mischiati con quelli dei peggiori reazionari, dei piccoli padroni anti-operai, dei nostalgici delle colonie, dei razzisti. Sarà interpretato come l'esigenza di una politica più dura contro i disoccupati, una politica dura contro i sindacati, dura contro i lavoratori che vogliono organizzarsi e difendersi.
Spiegheremo che bisogna respingere la politica anti-operaia del governo portando avanti gli interessi dei lavoratori, affermando la loro volontà di difendersi contro i licenziamenti, la demolizione del loro potere d'acquisto, il peggioramento dello sfruttamento, i regali fatti al padronato che distruggono la previdenza sociale, le pensioni, i servizi pubblici.
Risponderemo agli argomenti del Fronte nazionale difendendo una politica di classe e insistendo sul fatto che dietro il governo c'è il grande padronato. Non basta esprimere la propria collera contro i burattini, bisogna prendere di mira anche quelli che li manipolano, la borghesia, i finanzieri, gli azionisti. Bisogna prendere di mira gli sfruttatori, i parassiti che s'arricchiscono con il lavoro di tutti.
Nelle nostre attività quotidiane constatiamo che anche quelli attratti dal voto al Fronte nazionale ci possono ascoltare, bisogna soltanto toccarli nei loro interessi di sfruttati.
Sarà attraverso delle battaglie politiche, ivi compreso in occasione di elezioni, che potrà emergere e forgiarsi un partito politico che rappresenti gli interessi dei lavoratori, un autentico partito comunista.
Conclusione
Non sappiamo se la contestazione che si è espressa con una certa mobilitazione in Bretagna sia l'annuncio di altre mobilitazioni. Sappiamo ancor meno in quale misura i lavoratori vi saranno trascinati. Ma è dal momento in cui, spinte dalla crisi, le classi sociali cominciano a mobilitarsi che la difesa di una politica di classe per il proletariato diventa vitale. E una politica di classe non significa solo la difesa degli interessi materiali propri della classe operaia. Significa che la classe operaia mostra la sua capacità di offrire un'uscita dalla crisi sociale, un'uscita che può solo avvenire mediante lo scontro diretto con la borghesia e l'ordine capitalista.
È questa politica che difenderemo fondamentalmente in occasione delle prossime due elezioni. In assenza di lotte, sarà solo propaganda e agitazione. Ma le elezioni offrono un motivo per farle su una scala più ampia del solito.
Esse offrono anche l'occasione di raggruppare intorno a noi, in una battaglia politica, tutti quelli che si riconoscono nel programma comunista di fronte alla crisi dell'economia capitalista e condividono le prospettive che ne costituiscono il fondamento.
Un autentico partito comunista rivoluzionario può sorgere solo nella lotta di classe reale. Potrà conquistare credito nella classe operaia solo candidandosi alla direzione delle sue lotte e conquistando la fiducia di quelli che vi parteciperanno.
Le lotte elettorali sono tuttavia una delle componenti delle lotte politiche nelle quali il programma comunista rivoluzionario si confronta con le scelte politiche proposte non solo dai partiti apertamente al servizio della borghesia, ma anche da quelli che, pur difendendo l'ordine capitalista, affermano di difendere gli interessi degli sfruttati. Non c'è bisogno di ricordare l'importanza che ebbero le lotte elettorali nel far emergere il movimento socialista alle sue origini, cioè all'epoca in cui la corrente socialista incarnava il programma dell'emancipazione sociale.
Le campagne elettorali offrono l'occasione di mettere a confronto il programma sorto dalle lotte del movimento comunista rivoluzionario del passato con i problemi odierni e di conquistare su questa base nuovi combattenti. Bisogna cogliere al meglio tale occasione.
8 novembre 2013