Francia - La situazione politica

Da “Lutte de classe” n°204 – Dicembre 2019 – Gennaio 2020

Testo votato dal congresso di Lutte ouvrière (Dicembre 2019)

La situazione interna rimane segnata dai regressi sociali e politici nel mondo del lavoro e in tutta la società.

Bassi salari, ritmi di lavoro insostenibili, flessibilità imposta, posti di lavoro soppressi: di fronte alla crisi del proprio sistema economico, la classe capitalista sta conducendo una brutale guerra ai lavoratori. Approfitta inoltre del rapporto di forze a suo favore per strozzare i lavoratori autonomi, i piccoli imprenditori, gli agricoltori, artigiani e commercianti.

P

er facilitarle il compito, Macron ha realizzato di corsa tutta una serie di riforme: ordinanze sul lavoro, liberalizzazione delle ferrovie e fine dello statuto dei ferrovieri, riduzione dei sussidi di disoccupazione. Ha fatto parecchi miliardi di regali ai grandi padroni: trasformazione del credito d'imposta deciso da Hollande (CICE) in sgravi perenni, esenzione fiscale per gli straordinari, riduzione dell'imposta sulle società, abolizione dell'imposta sul patrimonio, ecc.

Uno degli aspetti più eclatanti di questo regresso è il degrado dei servizi pubblici, simboleggiato dal forte disagio esistente nei servizi di pronto soccorso, nelle case di riposo (Ehpad) e negli ospedali in generale. I servizi pubblici sono sempre stati organizzati da e per la borghesia, per i suoi interessi e per i suoi affari. Il servizio postale, le ferrovie di stato, rispondevano innanzitutto alle esigenze della classe capitalista, per cui il socialista Paul Lafargue diceva alla fine dell'Ottocento che i servizi pubblici erano "comunismo ad uso borghese". Progettati per soddisfare le esigenze della borghesia, la sanità pubblica, la previdenza sociale, l'istruzione nazionale, i trasporti pubblici, ecc. rappresenta­vano però anche un vero progresso per la vita degli sfruttati. Nei paesi ricchi come la Francia, sono una componente essenziale del tenore di vita dei più poveri.

Il lento ma costante declino, o addirittura la scomparsa di questi servizi pubblici nei quartieri popolari e nelle zone rurali, può essere misurato ovunque, con la chiusura di ambulatori, centri di protezione dell'infanzia, ospedali ostetrici, la scomparsa degli educatori di quartiere, e così via. Questo si aggiunge ai danni dovuti alla disoccupazione, al declino delle organizzazioni operaie, e rende le persone sempre più indigenti. È particolarmente drammatico nelle case popolari, dove bande di spacciatori e delinquenti occupano il territorio e rovinano la vita degli abitanti creando un clima di violenza e imponendo la propria legge.

Questi peggioramenti materiali pesano sullo stato d'animo dei lavoratori e, ancor più, sulla loro visione della società. Gli ambienti borghesi o piccolo-borghesi si sono sempre nutriti di pregiudizi antioperai sugli assistiti, i disoccupati, i dipendenti pubblici ed altri "lavoratori privilegiati". Queste idee costituiscono le armi ideologiche della borghesia nella lotta di classe. I primi partiti operai si sono costruiti combattendo questi pregiudizi e dotando la classe operaia di una coscienza politica di classe. Ma con la loro integrazione nella società borghese e nello Stato borghese, essi stessi hanno demolito ciò che avevano costruito. Oggi i pregiudizi della borghesia si diffondono nel mondo del lavoro senza incontrare ostacoli.

Il declino della solidarietà tra i lavoratori, l'ascesa dell'individualismo, l'ascesa dell'estrema destra, il ripiegamento sul comunitarismo e sulla religione costituiscono il meccanismo ideologico di una spirale infernale. Quelli che nel mondo operaio vi si oppongono sono sempre meno numerosi. I quartieri popolari sono i primi a doversi confrontare con il degrado sociale, e su questa base prosperano i progetti reazionari dei fondamentalisti religiosi di ogni genere.

L'islamismo politico e la sua variante terrorista, con il suo progetto dittatoriale su tutta la società, sono un pericolo per i lavoratori. Pur rappresentando solo una piccola minoranza, insieme all'estrema destra stanno esercitando una pressione crescente sulla società nel suo complesso, a cui le semplici idee umanistiche difficilmente resistono.

L’opposizione all'immigrazione, la promozione dell'identità nazionale e delle idee protezio­nistiche, che sono aspetti economici del nazio­nalismo, sono veleni per la coscienza di classe. Queste idee sono sempre esistite negli ambienti operai, ma erano combattute consapevolmente dalla frazione rivoluzionaria del movimento operaio. Il PCF non solo ha smesso di combatterle, ma ha contribuito a propagarle con la sua politica nazionalista, anche sciovinista, compreso lo slogan "produciamo francese". Oggi queste idee stanno avanzando e dividendo il mondo operaio.

Lo spostamento politico verso idee sempre più retrograde si riflette nei rapporti di forza politici. Con il 23,3%, il Raggruppamento nazionale (RN, nuovo nome del Fronte nazionale della Le Pen) è arrivato in testa nelle elezioni europee del maggio 2019. E se vi si aggiungono le altre piccole liste, quelle di Dupont-Aignan, Renaud Camus, Philippot.., il risultato complessivo dell'estrema destra è quasi del 30%.

Lo scrutinio ha confermato il sostegno elettorale esistente per la Le Pen nelle classi lavoratrici. Nonostante la forte astensione nei quartieri popolari, il RN ha recuperato il 66% dei suoi elettori delle elezioni presidenziali del 2017 e ha guadagnato 500.000 voti rispetto alle elezioni europee del 2014. Le proiezioni fatte per le elezioni comunali, sulla base di questi risultati, sono a suo vantaggio in molte cittadine operaie. Il giornale Le Monde ha individuato 193 comuni di più di 3.500 abitanti dove il RN ha superato il 40% alle europee, essenzialmente nei diparti­menti del Nord e nella regione mediterranea. Potrebbe avere la meglio alle elezioni ammini­strative del marzo 2020 in città come Calais, Beaucaire, Le Luc, ecc.

Con percentuali del 6,19% per il Partito socialista e dell'8,48% per Les Républicains nelle elezioni europee, i due pilastri dell'alternanza destra-sinistra sono crollati. Macron sta quindi facendo progressi nel suo progetto di seppellire il vecchio sistema di alternanza. Ma nel faccia a faccia che ha istituito col RN, Macron perde punti a favore di quest'ultimo, dato che il suo partito LREM (La repubblica in marcia) è arrivato solo al secondo posto e ha recuperato solo il 56% dei suoi elettori del 2017. Lungi dal fungere da baluardo contro l'estrema destra, ha rafforzato la Le Pen e le idee reazionarie che diffonde.

La base elettorale del partito di Macron si è ridotta e spinta più a destra. Macron riuscirà ad allargarla di nuovo conquistando grandi città alle prossime amministrative? Lo farà tramite le liste LREM e i sindaci LREM oppure grazie ad alleanze varie? Questa è la posta in gioco in queste prossime elezioni dal punto di vista dei rappresentanti della borghesia.

Il periodo di instabilità politica apertosi con il crollo dei partiti a cui la borghesia si è affidata per decenni è lungi dall'essersi chiuso. L'elezione di Macron nel 2017 ha offerto alla borghesia un'alternativa immediata. Dopo due anni e mezzo al potere, la sua fragilità è visibile.

La missione di Macron era quella di ridestare nuove illusioni tra i rappresentanti politici della borghesia e di ristabilire il prestigio delle istituzioni e dello Stato affinché continuassero a svolgere il loro ruolo di ammortizzatori della lotta di classe. Da lì è nata tutta la mistificazione mediatica dei primi mesi della sua presidenza intorno al nuovo modo di fare politica, al nuovo ruolo della società civile... una scena che continua a recitare proponendo un grande dibattito ad ogni occasione.

La diffidenza popolare nei confronti di Macron esisteva già prima della sua elezione, ed è stata rafforzata dalla sua politica. Si estende anche al discorso politico in generale e persino all'apparato statale. La popolazione ormai rifiuta di fidarsi della parola data dai rappresentanti dello Stato contro i quali ha sviluppato un sospetto quasi istintivo, come si è visto nel caso del recente incendio della fabbrica Lubrizol di Rouen. Questa diffidenza ha radici profonde, poiché i casi amianto, Mediator e Dieselgate vi hanno contribuito. Ma in questo meccanismo di perdita di fiducia, anche la crisi economica ha avuto un ruolo importante.

La crisi del capitalismo evidenzia l'impotenza degli Stati e dei politici, se non altro per evitare la chiusura delle fabbriche e la deindustrializzazione che tutti denunciano. La crisi è anche all'origine dei drastici risparmi imposti ai servizi pubblici perché i profitti che la borghesia non trova più nell'espansione dei mercati vanno assicurati attingendo sempre più alle casse dello Stato. La politica della borghesia che consiste nel far pagare la crisi alle classi popolari allarga il divario tra queste classi e lo Stato.

Tale discredito dello Stato è una minaccia per la borghesia. Il suo dominio e la società di classe non si reggono solo sulla brutalità e la violenza dello Stato. Si basano anche su un'autorità che viene accettata e rispettata perché lo Stato facilita la vita sociale organizzando l'istruzione, la sanità, la giustizia e la sicurezza. Questa fiducia in ciò che i difensori dell'ordine borghese presentano come i pilastri della Repubblica è sempre più minata. La polizia, già criticata per le sue violenze contro i giovani nei quartieri popolari, ma il cui ruolo repressivo nel movimento dei gilets gialli ha colpito molto più persone, sta suscitando una diffidenza molto più diffusa.

La personalità di Macron, la sua arroganza e il disprezzo che ha ripetutamente ostentato, suscitano l'odio nei suoi confronti. Macron però sta giocando lì solo un ruolo secondario mentre la crisi assume il ruolo principale.

Il giornale Le Figaro ha elaborato un sondaggio per misurare il livello di protesta elettorale. Pubblicato il 10 ottobre, indica un livello di rifiuto senza precedenti. In vista delle elezioni presidenziali del 2022, tre francesi su quattro sarebbero tentati di astenersi, votare in bianco, votare per Marine Le Pen o Jean-Luc Mélenchon oppure per Nicolas Dupont-Aignan o un candidato dell'estrema sinistra. "I segni elettorali che esprimono una contestazione, un rifiuto dell'offerta politica stabilita, la rabbia, un rifiuto radicale del sistema sono al punto più alto... Questa forma di dissidenza elettorale non è nuova, ma dopo due anni e mezzo di macronismo, il divario si è allargato...". E l'esperto di Le Figaro prosegue sulle conseguenze rappresentate da un’eventuale elezione a presidente della Le Pen: "L'elezione in Francia di un presidente populista, per esempio Marine Le Pen, potrebbe aprire una crisi dell'Unione Europea, dell'euro, un impoverimento radicale dei francesi. Nel mondo attuale sarebbe una sventura! La funzione di un'elezione è quella di fare esistere un confronto pluralista, ma non può arrivare a mettere in pericolo la nazione che la sta organizzando".

La preoccupazione espressa dall'esperto di Le Figaro riflette senz'altro quella di una frazione della borghesia e della piccola borghesia. L'eventualità di un arrivo del RN al potere pone ancora un problema per la classe capitalista, che non ha con i politici di questo partito gli stessi legami di fiducia e di complicità che ha naturalmente stabiliti con il personale politico riunitosi intorno a Macron. Ma stabilire tali legami può essere solo una questione di tempo.

Il RN mette in primo piano una nuova generazione che difficilmente si distingue dai soliti politici responsabili e rispettosi degli interessi della borghesia e del suo sistema. In un mondo politico che nel suo complesso è sempre più a destra, non si distinguono più nemmeno per la loro demagogia contro l'immigrazione e i musulmani. È stato proprio Macron a parlare di una società di vigilanza. È stato il ministro degli Interni Castaner a parlare della barba e del velo come di "deboli segnali" di radicalizzazione. È stato Stanislas Guérini, il Delegato generale di LREM, a raccontare la bugia per cui gli aiuti medici statali agli stranieri finanzierebbero protesi mammarie. E tutti difendono l'idea che l'immigrazione sia un problema, riprendendo i temi e le parole del RN.

L'ostracismo subito dalla Le Pen, a cui è stato vietato di partecipare ai funerali di Chirac, da tempo non è altro che una questione di competizione elettorale. La politica protezionista portata avanti dal RN può aver spaventato alcune frazioni del padronato, ma nel contesto della guerra commerciale il protezionismo, accettato o meno, è di nuovo un'arma importante nella battaglia concorrenziale.

Il RN è un partito perfettamente integrato nel sistema borghese. Non pone lo stesso problema che i partiti operai hanno posto alla borghesia. Questi partiti si sono costruiti sulla base di una politica di lotta di classe e sono stati a lungo sensibili alle pressioni di una classe operaia combattiva. Anche dopo il cambio corso della socialdemocrazia evidenziato dal tradimento del 1914 e la sacra unione, ci volle il contesto dello sciopero generale e delle occupazioni di fabbriche del 1936 perché la borghesia si decidesse a fare appello a Blum. Poi ci sono voluti altri decenni per fare del PS un partito di alternanza, cioè capace di costituire una maggioranza. Questo fu fatto con Mitterrand, che fu il primo, dopo che il PCF aveva lasciato il governo nel 1947, a reintrodurre ministri comunisti. E solo dopo che il PS giunse al potere e quando i ministri socialisti dimostrarono, insieme con quelli comunisti, la loro capacità di condurre una politica antioperaia, hanno davvero rassicurato la borghesia e si sono alzati al rango di rappresentanti politici riconosciuti dalla borghesia.

L'elezione della Le Pen potrebbe non piacere alla borghesia, ma la tollererà allo stesso modo in cui tollera i populisti come Trump altrove, perché con il RN, la borghesia non ha dubbi: in ogni caso saranno i suoi interessi a continuare a condurre il potere. Il RN è sempre stato un partito antioperaio, ostile ai sindacati e alla classe operaia organizzata. Il suo recente radicamento nelle classi lavoratrici non lo vincola agli interessi di classe dei lavoratori o alle lotte che essi possono condurre su questo terreno.

Essendo il principale ricettacolo politico della rabbia popolare, il RN svolge già un ruolo utile come valvola di sicurezza per l'intero sistema. Esso perpetua le illusioni elettorali e contribuisce a portare la protesta all'interno del gioco politico borghese affinché non si esprima sul terreno più pericoloso delle lotte sociali.

La strategia del RN è elettorale, ma quelli che esso influenza possono prendere una strada diversa e travolgerla. Gli attentati e le risposte sempre più liberticide del governo in nome della sicurezza fanno parte di un clima di guerra e di una situazione che ha una sua propria logica e che nessuno controlla. Le varie campagne contro gli immigrati e i musulmani fatte dal RN e da tutti coloro che gli fanno concorrenza in questo campo hanno obiettivi elettorali, ma possono aprire la strada a forze pronte ad agire al di fuori delle istituzioni. Lo si è visto con i militanti di Generazione identitaria che hanno organizzato pattugliamenti contro i migranti sul confine italo-francese.

L'intervento dell'eletto RN Julien Odoul nel consiglio regionale della Borgogna, che ha portato all'espulsione di una donna velata dalla Camera, è stato poco apprezzato dagli altri dirigenti del partito ma può suggerire ad altri azioni analoghe. L'attacco alla moschea di Bayonne da parte di Claude Sinké, un ex candidato FN notoriamente razzista e xenofobo, può già essere attribuito a questa atmosfera.

Per ora non si vedono movimenti di massa organizzati in questo senso, ma esistono potenziali milizie, sia nella piccola borghesia che nelle classi popolari, a cominciare da quelle più emarginate. Tra tutti coloro che si sono mobilitati nel movimento dei gilets gialli, una parte non ha esitato ad ostentare il suo razzismo e il suo rifiuto dei migranti. Nessuno può garantire che domani non ci sarà un altro Claude Sinké. La minaccia autoritaria e fascista rimane incombente.

Come ha dimostrato il movimento dei gilets gialli, l'evoluzione reazionaria della società, la crisi del movimento operaio e il rapporto di forza sociale e politico sfavorevole ai lavoratori non tolgono la possibilità di reazioni sociali.

Questa mobilitazione, che ha segnato tutto l'anno, ha riassunto le contraddizioni della situazione attuale e tutto ciò che comporta sia in termini di potenzialità che di pericolo. Ha dimostrato la capacità di mobilitazione delle categorie più schiacciate del mondo del lavoro, i lavoratori delle piccole imprese, gli aiutanti a domicilio, le madri singole, i pensionati, i disoccupati, i piccoli artigiani e commercianti. Allo stesso tempo, ha sottolineato l'assenza dei grandi battaglioni della classe operaia, poiché la stragrande maggioranza dei lavoratori delle grandi aziende è rimasta spettatrice. Quando si sono uniti al movimento dei gilets gialli, lo hanno fatto come franchi tiratori.

La classe operaia concentrata e organizzata nelle grandi imprese non credeva nella propria forza e non si è unita alla lotta, mentre quelli che avevano meno possibilità di fare pressione sulla borghesia hanno dimostrato la volontà di lottare più a lungo.

È paradossale che i primi a combattere siano stati i lavoratori più lontani dalle organizzazioni sindacali e politiche del movimento operaio. Naturalmente, gli sfruttati nelle grandi aziende sono sempre in grado di unirsi, di acquisire consapevolezza e fare massa, come ha dimostrato il successo dello sciopero della RATP (Trasporti parigini) del 13 settembre. Ma sono anche queste truppe, le più importanti e più organizzate, ad avere anche il maggior numero di impedimenti. Una di queste catene è costituita dai loro stessi sindacati.

Molti lavoratori non immaginano, per ora, di potere lanciarsi nella lotta senza il loro sindacato o con sindacati divisi. Stanno aspettando e seguendo ciò che i leader sindacali possono proporgli. Le burocrazie sindacali pesano molto di più sulla classe operaia che non su tutta una serie di corporazioni con minori tradizioni sindacali. Lungi dall'essere una forza trainante, i sindacati incanalano, deviano e soffocano l'espressione della rabbia dei lavoratori.

Non soggetto a questa tutela, il movimento dei gilets gialli ha permesso ad una rabbia elementare di esprimersi e ha dimostrato inventività, spontaneità e una capacità organizzativa che non si vedeva da tempo. I gilets gialli hanno indubbiamente maturato un'esperienza politica, a partire dall'esperienza della repressione e del ruolo delle forze di polizia. Qua e là, si sono anche trovati di fronte l'arroganza dei politici.

Le loro richieste sono rimaste confuse, persino contraddittorie. C'era il desiderio di migliorare il potere d'acquisto senza fare richieste chiare sui salari e senza attaccare direttamente i padroni. C'è stata la richiesta di poter ricorrere in modo permanente al referendum, pur rivendicando il valore dell'apoliticità. C'è stata la denuncia delle disuguaglianze, ma non dello sfruttamento capitalistico e ancor meno della proprietà privata dei mezzi di produzione. C'era la volontà di bloccare il paese senza porre la questione dello sciopero.

Tutte le lotte un po' massicce sono situazioni complesse in cui gli interessi di diverse categorie sociali si mescolano e si contraddicono. Nell'attuale contesto di regresso politico e in assenza di lotte nelle aziende, per i gilets gialli costituiti per lo più da sfruttati era difficile, se non impossibile, esprimere una politica di classe, cioè la coscienza della classe sociale contro cui combattere e delle armi da usare.

Ma partendo dalle proprie lotte sul terreno di classe, cioè nelle aziende, la classe operaia può ricostruire i punti di riferimento, i valori e le tradizioni della lotta di classe che da soli apriranno prospettive per gli sfruttati e per l'intera società. L'entrata in lotta della classe operaia contro il grande capitale sarà un elemento decisivo per il futuro.

Dal mese di settembre e in particolare dallo sciopero della RATP, il governo teme una nuova esplosione di rabbia. Con il movimento dei gilets gialli, i dirigenti politici hanno scoperto che il mondo del lavoro non si limita solo ai sindacati e ancor meno ai suoi capi sindacali. Questo movimento, spettacolare nella sua forma, li ha sorpresi e gli fatto capire loro che un'esplosione di rabbia può succedere senza preavviso. E anche se la stragrande maggioranza non è entrata in azione, questi dirigenti politici sanno che i lavoratori si sono riconosciuti nel malcontento dei gilets gialli. Ora osservano ogni espressione di rabbia con una lente d'ingrandimento.

Tutti gli osservatori della vita politica notano il "clima sociale elettrico" o la "irrequietezza sociale" che fa "sudare freddo" il governo. Con queste espressioni, essi identificano tutte le contestazioni. Non solo le reazioni dei lavoratori, la cui agitazione in merito ai servizi di pronto soccorso è notevole, ma anche le lamentele dei contadini, le manifestazioni ecologiche, anima­liste, o anche le manifestazioni dei poliziotti e dei vigili del fuoco.

Queste mobilitazioni si inseriscono nello stesso clima di protesta, ma portano prospettive politiche diverse e persino opposte. Da questa situazione può uscire il meglio, cioè una crescita delle lotte dei lavoratori, ma anche il peggio, con il rafforzamento della politica di sicurezza e dei soprusi contro gli immigrati. Per ora, nessuna categoria sociale si è lanciata in una vera e propria lotta, e tutto il problema è cosa accadrà nell’ambito del mondo del lavoro.

La dimostrazione di forza dei dipendenti RATP del 13 settembre e le recenti mobilitazioni dei ferrovieri sono segnali di una ripresa della combattività in alcuni settori della classe operaia. Il movimento per la sicurezza nelle ferrovie e lo sciopero degli operai della manutenzione di Châtillon sono tanto più notevoli in quanto provengono dalla base; una base che si è stufata delle sue condizioni di lavoro ed è entrata in sciopero, senza preoccuparsi dei regolamenti amministrativi e del termine di 48 ore, imposti in questi anni dalla legge, nel tentativo di frenare gli scioperi.

Il 5 dicembre, giorno di sciopero intercategoriale contro la riforma delle pensioni indetto dai sindacati CGT, FO, FSU, Solidaires e organizzazioni giovanili, arriva in questo clima. Non si sa quale sarà il suo successo, né se questo sciopero poi sarà prolungato, come alcuni propongono, alla RATP e alla SNCF? Quanto si manterrà lo spirito combattivo? I lavoratori di questi settori saranno in grado di andare oltre i limiti ristretti fissati dai sindacati? Quali sono le possibilità di successo e di allargamento di queste mobilitazioni? Le incognite sono tante e non faremo ipotesi sulla possibilità di una rinascita delle lotte dei lavoratori nelle prossime settimane o mesi. Ma dal momento che l'atmosfera cambia, fosse solo un po', tutto può accelerare e dobbiamo pensare alle strategie degli uni e degli altri ed essere attenti al minimo cambiamento dello stato d'animo dei nostri.

È possibile che le confederazioni sindacali si portino in avanti per controllare meglio i settori più combattivi. Lo si è già visto, per esempio nel 1995, quando queste stesse confederazioni hanno contribuito a generalizzare il movimento a tutto il settore pubblico. Da parte sua, il governo sta facendo tutto il possibile per disinnescare la contestazione, sia alla RATP che alla SNCF, annunciando di attivare la "clausola del nonno", ossia di non toccare i regimi speciali per i dipendenti già in servizio. Non si sa se vi rinuncerà davvero e quale margine di manovra avrà. Non abbiamo risposte a queste domande e le avremo solo dallo svolgimento delle lotte e dalle loro dinamiche. In ogni caso, dobbiamo militare nell'ottica di una ripresa delle lotte dei lavoratori e metterci in situazione di cogliere la minima opportunità.

Il nostro obiettivo è quello di difendere le idee rivoluzionarie comuniste in un contesto in cui queste idee e anche i punti di riferimento e i valori più elementari del movimento operaio sono scomparsi. Si tratta di fare sorgere e di educare una generazione di militanti operai che, sulla base di queste idee, saranno in grado di conquistare la fiducia dei loro compagni di lavoro e avranno presso loro un'influenza e una credibilità sufficienti per poter proporre una strategia politica quando la classe operaia entrerà in lotta.

I militanti rivoluzionari potranno davvero conquistare fiducia e autorità solo se saranno in grado di proporre una politica di scioperi a decine, centinaia o addirittura migliaia di lavoratori. Gli sforzi che si fanno per circondarsi di diverse decine di lavoratori e conquistarne la fiducia e il sostegno nelle prese di posizione quotidiane, ci daranno forse domani l'opportunità di svolgere questo ruolo di primo piano.

Dobbiamo cogliere tutte le opportunità e, in caso di ripresa delle lotte, ce ne saranno molte. Se no, dovremo creare queste opportunità partendo da tutte le piccole cose che stanno accadendo, per costruire reti e punti di appoggio, per essere riconosciuti come militanti dediti agli interessi dei lavoratori sulla base delle nostre idee rivoluzionarie comuniste. La sfida è quella di creare nuovi legami e di rafforzare quelli già esistenti nelle aziende.

La stessa preoccupazione di legarci alla classe operaia ci ha portati a lanciarci nella preparazione delle elezioni comunali che si svolgeranno nel marzo 2020. Le liste che rappresentano il terreno dei lavoratori daranno ai quelli più coscienti l'opportunità di esprimere i loro interessi di classe. Daranno a tutti coloro che accetteranno di candidarsi con noi un'opportunità di organizzarsi per dare forza e vitalità ai lavoratori nella loro città.

Dovremo dispiegare al massimo le nostre forze. Si tratta di entrare in contatto con donne e uomini del mondo del lavoro "dall'esterno", perché con loro prendiamo contatto non nelle aziende ma a casa, andando a bussare alla loro porta. È ovvio che anche lì una crescita delle lotte moltiplicherebbe le nostre possibilità. Comunque è un'attività ricca per tutti coloro che vi si sono impegnati e un compito indispensabile da portare avanti in questo periodo di regresso politico.

In conclusione, dobbiamo lavorare a favore della classe operaia a partire dalle posizioni che abbiamo nelle aziende e dai mezzi militanti di cui disponiamo. Lo facciamo sulla base delle idee rivoluzionarie comuniste, cioè con la certezza che il futuro della società dipende dall'intervento cosciente della classe operaia.

Non si può dare una risposta ai flagelli che devastano la società, che si tratti della crisi economica, della crisi sociale o di quella ecologica, senza l'intervento cosciente della classe operaia.

Una parte della gioventù sembra ritrovare la strada dell'impegno intorno alle questioni dell'ecologia, del femminismo, del rispetto per gli animali, ecc. Questa attrazione si è riflessa negli ottimi risultati degli ecologisti in Europa e nel successo di organizzazioni come Extinction Rebellion. Pur legittime che siano, queste mobilitazioni non saranno in grado di contrastare l'evoluzione individualistica e reazionaria della società, finché non porranno il problema in termini di lotta di classe.

Nonostante tutte le buone volontà, non si potrà salvare né il clima né il pianeta senza chiamare in causa la minoranza capitalista che gestisce l'economia e costituisce il principale ostacolo ad una sua organizzazione razionale e a fare in modo che rispetti le persone e la natura. La questione centrale posta per salvaguardare il pianeta è togliere il potere a questa classe capitalista irresponsabile. È espropriare questi grandi gruppi, queste multinazionali, e gestire collettivamente queste immense risorse. Solo la classe operaia, che è al cuore del sistema capitalistico e non ha niente da perdere fuorché le sue catene, può spingere la contestazione del sistema fino al punto di rovesciarlo. Solo la classe operaia, che è al centro della produzione capitalistica e non ha alcun legame con la proprietà borghese, è in grado di dare l'impulso ad un'altra economia, organizzata collettivamente per soddisfare le esigenze di tutti. Dipende da essa, dalla sua azione e dalla sua coscienza, offrire una via d'uscita dalla crisi e dalla putrefazione del capitalismo in tutti i campi. Bisogna però che emerga un partito che difenda questa prospettiva e sia in grado di conquistare la fiducia dei lavoratori su questa base.

Nel 1938, mentre una nuova fase della crisi stava colpendo duramente la classe operaia statuni­tense, Trotsky rispose ad un sindacalista ameri­cano che gli chiedeva soluzioni e prospettive per il futuro: "La borghesia, che possiede i mezzi di produzione e il potere dello Stato, ha condotto l'economia in un vicolo cieco e senza speranza. La borghesia debitrice va dichiarata insolvente e l'economia va messa in mani oneste e pulite, cioè nelle mani dei lavoratori. Come si può raggiungere questo obiettivo? Il primo passo è chiaro: tutti i sindacati devono unirsi per creare il loro Partito del lavoro". 

Contro l'impasse mortale che il capitalismo rappresenta per l'intera società, l'unica prospettiva è quella di un potere operaio. Può imporsi solo nel corso di una crisi rivoluzionaria in cui la classe operaia avrà costruito il suo partito rivoluzionario. Tocca a noi porre le basi di questo partito.

7 novembre 2019