Da Lutte de classe n° 215 – Aprile 2021
Mentre per ora non crea alcun problema il debito crescente dei paesi ricchi, ne costituisce, invece, quello dei paesi poveri. Perciò nei mesi di aprile e novembre scorsi, i ministri delle finanze del G20 si sono incontrati per discutere del debito di 73 paesi tra i più poveri del mondo, la cui situazione finanziaria li turba. La loro principale preoccupazione era di evitare che l'attuale crisi economica portasse al moltiplicarsi dei default provocando un'ondata capace di minare i fondi occidentali e le banche che hanno investito massicciamente in questi debiti dalla fine degli anni 2000. Consentendo che una parte delle scadenze siano rimandate di qualche mese, i governi dei paesi ricchi mantengono in vita l'animale per poter continuare a sfruttarlo.
In questa occasione, in tanti hanno denunciato il soffocamento dei paesi poveri dalla morsa del debito. Molti di questi impiegano, per il rimborso del debito, enormi risorse superiori alle loro possibilità, mancano ospedali, scuole e persino cibo, e la disoccupazione, la povertà e la malnutrizione hanno probabilmente già fatto più danni della pandemia. È stato anche sottolineato quanto siano irrisorie le somme il cui pagamento è rimandato grazie alla moratoria del G20, rispetto a ciò che i paesi poveri pagano ogni anno al sistema finanziario internazionale. Oltretutto esse risultano estremamente irrilevanti rispetto ai piani di rilancio economico che gli stati dei paesi capitalisti più ricchi hanno attivato per salvare i profitti delle imprese occidentali. Ma nessuno, né le associazioni né i politici, è andato al fondo del problema. Alcuni, come il dirigente del partito Francia ribelle (France insoumise) Jean-Luc Mélenchon, si sono accordati con l'ex candidato alle primarie democratiche americane Bernie Sanders e altri uomini di sinistra (il laburista britannico Jeremy Corbyn, Yannick Jadot per i Verdi in Francia) di scrivere al FMI e alla Banca Mondiale per chiedere la cancellazione del debito dei paesi poveri.
Scrivono che una pura e semplice cancellazione del debito sarebbe "il minimo che la Banca Mondiale, il FMI e altre istituzioni finanziarie internazionali dovrebbero fare per prevenire un aumento inimmaginabile della povertà, della fame e delle malattie che minacciano centinaia di milioni di persone". Il danno è indiscutibile, ma lasciar credere che le istituzioni internazionali, garanti degli interessi delle borghesie più potenti, possano porre fine alla barbarie di cui sono responsabili è una delle illusioni che questi politici stanno seminando. Il debito dei paesi poveri non è un difetto del capitalismo moderno, ma il suo prodotto. Si inscrive nelle relazioni tra la borghesia dei paesi imperialisti e il resto del mondo. E certamente serviranno altri mezzi e non una lettera per porvi rimedio.
Un debito intrinseco
In realtà, il debito dei paesi poveri è uno dei mezzi con cui, dopo l'indipendenza delle colonie, l'imperialismo ha continuato a sfruttare questi paesi. Molti di loro hanno ricevuto alla nascita in regalo quello che è stato chiamato il debito coloniale: i prestiti concessi negli anni '50 agli stati metropolitani, che servivano per investire nelle colonie, sono stati addebitati ai nuovi stati. La situazione economica non permetteva loro di rimborsare questi crediti. Erano costretti a chiedere nuovi prestiti per ripagare quelli vecchi, mettendo così in moto la macchina del debito. Ma alla fine degli anni '60 e '70 il loro indebitamento ha assunto proporzioni completamente diverse, quando le banche occidentali ne hanno fatto un investimento di primo ordine. Da allora, il debito non ha mai smesso di crescere. Secondo la Banca Mondiale, il debito estero totale dei 135 paesi a basso e medio reddito, quelli più poveri, è passato da 66 miliardi di dollari nel 1970 a più di 8 100 miliardi di dollari nel 2019, 6 000 miliardi togliendo il debito della Cina. Mentre la percentuale del debito rispetto al reddito nazionale di questi paesi era scesa dal 35% al 21% tra la fine degli anni 1990 e gli anni 2000, non ha smesso di aumentare dal 2008. Nel 2019, il debito estero ha rappresentato il 25% del reddito di questi paesi. E il servizio del debito, la quantità di denaro che questi paesi devono pagare ogni anno in interessi e capitale, è ora pari a quasi 1 200 miliardi di dollari - 900 miliardi di dollari senza il servizio del debito della Cina - cioè il doppio di quanto era un decennio fa.
Ci sono varie cause a determinare questo indebitamento massiccio e permanente. La responsabilità dei governi di questi paesi è spesso rilevata . Non c'è dubbio che il debito è una fonte di arricchimento per i leader politici e la borghesia locale, che si accaparrano il meglio e possono sviarne una parte. Ma corrotti e corruttori vanno di pari passo. Molti governi di questi paesi sono strettamente dipendenti dall'imperialismo. Quelli dei paesi decolonizzati erano - e molti lo sono ancora – legati agli ambienti dirigenti dell'ex metropoli. Ad eccezione di Cuba e della Cina, non contestano nulla alla borghesia imperialista, che li seleziona, li educa e li protegge contro i loro rivali, i loro vicini e il loro popolo. Negli anni '70, per ottenere ordinazioni per la loro industria, gli stati ricchi hanno moltiplicato i prestiti ai paesi poveri con l'obiettivo di rilanciare l'economia occidentale. Dedicato all'acquisto di armi e alla costruzione di edifici prestigiosi, questo denaro, che alimentava il debito, tornava presto ai paesi ricchi, tassando i più poveri sotto forma di interessi. E negli anni '70 e '80, come oggi, nei forzieri delle banche occidentali non mancava il denaro in cerca di investimenti redditizi.
I primi debiti vincolavano i paesi poveri a quelli imperialisti. Essendo contrattati in dollari, per ripagarli necessitavano fondi in moneta americana, che i paesi poveri potevano ottenere solo vendendo le loro risorse agricole e minerarie sul mercato mondiale. Ognuno era specializzato in una produzione come caffè, cotone, cacao. Nel 1970, le esportazioni della Mauritania derivavano per il 93% dal ferro, quelle della Zambia per il 93% dal rame, quelle del Vietnam per l'81% dalla gomma, quelle del Ghana per l'80% dal caffè, quelle dell'Ecuador per il 53% dalle banane. Questi paesi erano integrati nell'economia mondiale come fornitori di materie prime minerarie e agricole. Il commercio tra loro e i paesi industrializzati fu sempre più disuguale. Un economista brasiliano ha stimato che nel 1954 si poteva comprare una jeep con quattordici sacchi di caffè, mentre nel 1962 ce ne volevano trentadue, e nel 2011 circa ottanta. Il ricorso al debito per pagare i beni forniti dai paesi industrializzati era sempre più necessario. Così, al di là della corruzione dei governi e dell'avidità delle classi dirigenti dei paesi poveri, il debito di questi ultimi è il riflesso del dominio delle borghesie imperialiste e del loro saccheggio del pianeta.
Da ristrutturazione a ristrutturazioni
In passato, i paesi ricchi hanno rimodulato più volte il debito di quelli poveri, fino al punto di cancellarne una parte. Negli anni '80, la crisi del debito ha minacciato di spazzare via diverse banche occidentali, alcune delle quali avevano crediti sui paesi poveri che superavano notevolmente i loro fondi propri. Il FMI e la Banca Mondiale le salvò fornendo a questi paesi prestiti di emergenza per rimborsare i loro debiti. Ma, oltre a tassi d’interesse elevati, queste istituzioni richiedevano che i paesi poveri attuassero "riforme" per liberare le risorse necessarie a pagare. Furono questi i piani di aggiustamento strutturale: austerità fiscale, con tagli nei settori non produttivi (sanità, istruzione, servizi pubblici), abbandono dei sussidi per i beni di prima necessità, liberalizzazione del mercato del lavoro, fine dell'indicizzazione dei salari, liberalizzazione commerciale e finanziaria, privatizzazione delle imprese pubbliche e aumento delle tasse. In seguito alle rivolte popolari per la fame che seguirono, e con un debito che comunque non diminuiva, i governi degli stati imperialisti decisero nel 1988 di ristrutturare il debito dei paesi poveri, cancellandone prima un terzo, poi due terzi nel 1995. Si trattava di debiti bilaterali, quelli tra due stati, e l'interesse già pagato dai paesi poveri era spesso superiore al capitale iniziale. Le banche, che avevano rischiato molto ma che il FMI aveva salvato comprando i loro prestiti, alleggerirono il debito dei paesi poveri fino agli anni 2010. Ma la tregua fornita dalla sua riduzione fu di breve durata: il servizio del debito riprese a crescere sin dal 1995.
Negli anni 2000, i governi dei paesi ricchi vararono un nuovo piano di riduzione del debito: l'iniziativa HIPC (Heavily Indebted Poor Countries Initiative). La sua diminuzione parziale era soggetta a diverse condizioni, come l'assenza di arretrati verso la Banca Mondiale e il FMI, l'attuazione delle politiche imposte per almeno 3 anni. I paesi selezionati dovevano prima prendere prestiti per estinguere gli arretrati e poi, come prima, aprire le loro economie alle multinazionali. Dovevano, quindi, decidere le proprie misure di austerità, a tal punto da rendere il FMI e i suoi piani di aggiustamento strutturale oggetti dell'odio popolare. Questo regime di austerità doveva comunque essere approvato dal FMI. Come risultato dell'HIPC, il debito dei paesi interessati fu solo ridotto fino al massimo della somma che si potevano permettere.
Dal 2009, l'ascesa del debito
Dopo la crisi finanziaria del 2009, il debito dei paesi poveri è letteralmente salito alle stelle. Negli stati imperialisti, il sistema finanziario, salvato dalle banche centrali, era inondato di liquidità. Mentre si erano per lo più ritirati dal mercato del debito dei paesi poveri negli anni 1990 e 2000, gli investitori privati vi si interessarono di nuovo e nuove somme di denaro di cui i capitalisti occidentali non sapevano cosa fare vi arrivarono. Nell'Africa subsahariana, dal 2009 la proporzione di creditori privati è aumentata dal 17% al 41%. Bisogna dire che, mentre gli Stati di paesi come la Francia, la Germania e il Regno Unito contrattano prestiti a tassi molto bassi o addirittura negativi, oggi gli Stati africani prendono prestiti a tassi di circa il 7%, l'India al 6% e il Messico al 5,4%. Nel 2018 il tasso d'interesse medio era del 4,22%, ma nel 2019 è più che raddoppiato. I creditori privati stanno speculando sulle prossime inadempienze e fanno buoni affari.
L'altro grande cambiamento nel debito dei paesi poveri dopo la crisi del 2008 è dato dall'ascesa della Cina, che è una conseguenza delle contraddizioni interne dell'economia cinese, ma le cui motivazioni - la ricerca di opportunità e investimenti – sono, per certi versi, simili a quelle dei paesi imperialisti. Così la Cina detiene il 40% dei debiti dei paesi africani. In Kenya, un terzo degli interessi sul debito va alla Cina, in Etiopia è il 17%, in Nigeria il 10%.
Prima della crisi attuale iIl debito dei paesi più poveri, senza la Cina, ammontava a più di 6.000 miliardi di dollari, facendo loro pagare 900 miliardi di dollari nel 2019 per il servizio del debito. Nel 2019, quello dei paesi poveri è stato valutato dalla Banca Mondiale e dal FMI come un grande rischio per la stabilità del capitalismo globale.
La crisi attuale ha peggiorato la situazione. A causa della contrazione dell'attività globale e della caduta dei prezzi delle materie prime, le risorse dei paesi poveri sono diminuite. Anche le somme trasferite dai loro lavoratori migranti sono calate. Il deprezzamento delle loro monete sul mercato monetario internazionale, svalutando le loro esportazioni, ha aggravato questi fattori. Infine, nei primi mesi della crisi, quasi 100 miliardi di dollari di capitali stranieri sono evasi dai mercati dei paesi emergenti per ricomparire in quelli ricchi. Per far fronte aIla crisi i bisogni di finanziamento di questi paesi sono aumentati, ma i mezzi per rimborsare i prestiti pregressi sono diminuiti. Il FMI ha previsto che il debito di questi paesi rispetto al loro reddito nazionale aumenterà quest'anno del 10% nei cosiddetti paesi in via di sviluppo e del 7% in quelli a basso reddito. Il 2 ottobre scorso il debito dei paesi poveri, invece di un'opportunità di investimento, è stato ritenuto un rischio sistemico dal FMI, che teme un'ondata di default.
Alcuni stati sono letteralmente asfissiati. Ed è naturalmente la popolazione a pagare il maggior prezzo. In Ghana, dove il 40% del debito è detenuto da creditori privati, il governo spende 11 volte di più per il servizio del debito che per la sanità pubblica. In Nigeria, Egitto, Angola e Ghana, il servizio del debito assorbe più del 30% delle entrate di bilancio. Le esportazioni dello Zambia dipendono per un terzo dal rame, il cui prezzo è crollato, e questo paese ha già fatto default sul suo debito, non pagandolo alla scadenza del novembre 2020.
La pressione dei mercati
In aprile, i ministri delle finanze del G20 hanno raggiunto un primo accordo per una sospensione parziale del servizio del debito per i 77 paesi più poveri, per un importo di 14 miliardi sui 32 che dovevano essere pagati nel 2020. Questa iniziativa è stata descritta come un grande passo avanti dal ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire! Un passo importante per i creditori, senza dubbio, ma una goccia nell'oceano del debito, che non veniva più cancellato come si evinceva, invece, dalle dichiarazioni di Macron in cerca di pubblicità alla vigilia del vertice. Per i paesi che ne faranno domanda, i rimborsi saranno semplicemente posticipati di due anni e riprogrammati su tre anni, con un costo aggiuntivo per compensare il ritardo. I rappresentanti dei creditori privati si sono impegnati ad uno sforzo simile. Ma tra tale promessa e la realtà, c'è tutta la distanza consentita dalla proprietà privata. Né la Banca Mondiale né il FMI, con cui gli stati sono anche indebitati, sono stati coinvolti nella ristrutturazione.
A metà novembre, i paesi creditori hanno ritenuto opportuno estendere il loro meccanismo nel tempo, proponendo un quadro comune per studiare caso per caso le richieste di rinegoziazione, riduzione o addirittura cancellazione del debito. C'erano ancora 73 paesi nel sistema. Quelli che erano già in default per i loro pagamenti sono stati esclusi. Per gli stati creditori, il quadro comune è un modo per impedire ai governi dei paesi poveri di negoziare con alcuni creditori a spese di altri.
Questo fronte unito dei paesi ricchi contro i più poveri è considerato storico dai primi tanto più che la Cina ha aderito al quadro, avendo timore che la nazione cinese continui ad appropriarsi di infrastrutture in cambio di una parte del debito come ha fatto in alcuni paesi. Quanto ai creditori privati, sono invitati a partecipare alla ristrutturazione, ma niente li può costringere a farlo. È quindi molto probabile che le finanze liberate dalla ristrutturazione del debito verso gli stati creditori vengano utilizzate per rimborsare le società capitaliste occidentali o asiatiche che hanno investito nel debito.
I paesi più poveri si finanziano in parte sui mercati al tasso d'interesse che le banche e gli altri fondi e imprese danno loro. Questo spiega perché molti di loro sono stati riluttanti a chiedere una ristrutturazione del loro debito. Una tale richiesta può avere esattamente le stesse conseguenze di un default, cioè far aumentare i tassi d'interesse a cui questi paesi possono ottenere prestiti sui mercati dai capitalisti dei paesi ricchi, poiché questi prestiti saranno considerati più rischiosi. Il Camerun, che, in primavera, ha chiesto una moratoria, ha visto il suo rating declassato dalla Moody's, agenzia che valuta il rischio assunto dai creditori. Ciò influenzerà inevitabilmente le condizioni alle quali questo paese potrà prendere prestiti. A maggio, il Pakistan e l'Etiopia sono stati messi sotto osservazione in vista di un declassamento del loro rating sovrano. I paesi poveri potrebbero pagare a caro prezzo la cancellazione o la ristrutturazione del loro debito.
La parola d'ordine di cancellazione del debito
La moratoria decisa dai paesi del G20 è estremamente limitata. Riguarda solo una parte molto piccola del debito dei paesi poveri. Esclude tutti quelli che sono già in default e altri che sono considerati abbastanza ricchi da ripagare comunque, come l'Argentina, la Turchia e molti ancora. Riducendo di qualche miliardo il servizio del debito dei paesi in situazione più critica, i paesi del G20 sperano di consolidare la maggior parte dei 900 miliardi che i 134 paesi più poveri devono pagare, stando alle cifre dell'anno scorso. Questo dimostra che chiedere alle istituzioni finanziarie internazionali di cancellare i debiti che stanno strangolando i paesi poveri è una prospettiva vana. Queste istituzioni sono i guardiani del tempio. Quando intervengono, è per ottenere il più possibile dalla situazione in cui sono intrappolati i paesi poveri, nell'interesse della borghesia degli stati imperialisti. Le lettere al FMI e alla Banca Mondiale servono solo per la notorietà che i loro autori ne ricavano. Ma questo non fa progredire di un centimetro la causa dei popoli, né allevia il loro dolore.
Gli stati di questi paesi sono integrati nel sistema imperialista. Sono un anello della catena che permette la concentrazione di fortune sempre più gigantesche nelle mani della borghesia imperialista. Alla fine di questa catena ci sono i popoli, gli operai e i contadini il cui lavoro viene carpito dai governi per pagare il debito. Questi governi, volenti o nolenti, sono ingranaggi del sistema e hanno la loro parte nel processo. Per questo, anche se il debito dei loro Stati fosse cancellato, i popoli non sfuggirebbero alla miseria e allo sfruttamento.
Lo sfruttamento del Terzo Mondo è uno degli aspetti più odiosi del capitalismo moderno. Ma non si combatte questa barbarie scrivendo lettere ai leader del mondo imperialista e, soprattutto, non la si combatte rispettando il capitalismo stesso. In passato, l'unico paese che sia riuscito a cancellare il suo debito senza dover negoziare un aggiustamento strutturale o concedere questa o quella infrastruttura, è stato la Russia rivoluzionaria del 1917. I lavoratori non hanno scritto lettere ai banchieri francesi o inglesi che detenevano il debito russo. Hanno preso il potere. Così facendo, hanno dimostrato di essere gli unici capaci di rompere con i paesi imperialisti e i mercati internazionali e di togliere questo peso dalle spalle del popolo russo.
Non solo si deve fermare il saccheggio dei paesi poveri e lo sfruttamento delle loro classi lavoratrici compiuti dalla borghesia dei paesi imperialisti, ma si deve restituire a questi paesi la ricchezza che è stata rubata loro durante i secoli. Questo è l'unico modo per farli uscire dal sottosviluppo, ma per ottenere ciò, bisogna distruggere l'imperialismo, vale a dire porre fine al capitalismo. Solo così si potrà eliminare definitivamente il debito che sta risucchiando interi continenti. Il proletariato è l'unica classe sociale capace di fermare non solo il saccheggio del Terzo Mondo, ma anche lo sfruttamento e tutte le conseguenze sociali che ne derivano. Per coloro che sono indignati per la situazione dei paesi poveri, l'unica alternativa è riscoprire le idee della lotta di classe, le idee comuniste, e lottare per radicarle di nuovo nella classe operaia.
23 febbraio 2021