Da "Lutte de Classe" n°237 – Febbraio 2024
Dal 1° gennaio cinque nuovi membri (Iran, Egitto, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) sono entrati a far parte del gruppo BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), integrazione annunciata lo scorso agosto nel corso di un vertice a Johannesburg in Sud Africa. Questo inserimento di altri paesi, secondo alcuni commentatori, potrebbe scuotere il mondo e mettere in discussione il dominio degli Stati Uniti, poiché i BRICS più, come viene chiamato il gruppo allargato il 1° gennaio, riuniscono metà della popolazione del pianeta e producono il 25% del suo prodotto interno lordo (PIL). Per il quotidiano l'Humanité legato al Partito comunista francese, l' aumento di numero dei BRICS non è stato altro che “una pietra lanciata contro l'ordine mondiale”!
La risoluzione finale del vertice ha quasi annunciato un cambio d’epoca, mirando alla fine dell'egemonia del dollaro nel commercio e nella finanza internazionale. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha affermato che l’allargamento ha riunito i paesi “che condividono il desiderio comune di un ordine mondiale più equilibrato”; Il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato: “Difendiamo insieme il nostro diritto allo sviluppo e andiamo in tandem verso la modernizzazione".
Questo rinnovamento tanto pubblicizzato dei BRICS ha suscitato discussioni e illusioni in alcuni ambienti alla ricerca di sostenitori in grado di contrastare il dominio americano. Ma dopo queste clamorose dichiarazioni, la guerra in Medio Oriente ha messo in evidenza le differenze tra i membri di questo sodalizio costituito alla bell’e meglio, dall’India allineata sulle posizioni americane fino ad arrivare al Sudafrica filo-palestinese. L'Argentina, dopo le elezioni presidenziali che hanno portato al potere Javier Milei, ha annunciato che il paese non avrebbe più aderito al gruppo e si sarebbe unito al campo del dollaro e degli Stati Uniti. Questa unione appare sempre più chiaramente come uno strumento per la Cina, il cui Pil rappresenta il 70% dell’insieme, e per la Russia, che presiederà il prossimo vertice, per costruire alleanze idonee a fronteggiare l’aggravamento della pressione imperialista e in particolare di quella americana. Quanto alle promesse di uno sviluppo economico che metta in discussione la dittatura del dollaro, non sono altro che parole. In realtà, i BRICS sono un’alleanza di circostanza di paesi che affermano di resistere alla dominazione americana, ma che non sono un blocco, né politico né economico.
Multipolarità, o allineamento momentaneo dietro Cina e Russia?
Quello formato dai BRICS non è un'istituzione come la NATO o l'Unione Europea, ma un gruppo di paesi inizialmente creato dagli ambienti finanziari: nel 2001, Jim O'Neill, allora uno dei direttori della banca americana Goldman Sachs e futuro Ministro del Tesoro britannico, ne faceva la pubblicità presso gli investitori. Vedeva Brasile, Russia, India e Cina come mercati promettenti, “emergenti” nel gergo economico. A quel tempo, le istituzioni finanziarie crearono “fondi BRICS” che furono redditizi per alcuni anni, grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime negli anni 2000. Molti di questi paesi registrarono una crescita rapida, e addirittura spettacolare, del proprio Pil. L'India fu uno di questi. Un primo incontro si svolse nel 2006 e un vertice annuale a partire dal 2009. Con l’incorporazione del Sudafrica nel 2010, fecero proprio l’acronimo BRICS.
Ma la crisi finanziaria del 2008 e il calo dei prezzi delle materie prime hanno posto fine a un decennio di attivi finanziari e di bilancio. Infatti se le loro economie non sono completamente simili, i grandi Paesi del gruppo BRICS, oltre a raccogliere più di 3,2 miliardi di abitanti, sono tutti grandi esportatori di prodotti non lavorati o semilavorati. In quanto tali, costituiscono importanti fonti per le importazioni dei paesi imperialisti, ma la loro economia dipende fortemente dalle fluttuazioni dei prezzi mondiali delle materie prime, motivo per cui vengono talvolta descritti come “potenze povere”. In Brasile, ad esempio, quasi la metà delle esportazioni nel 2020 consisteva in prodotti primari, come soia, olio e zucchero di canna. Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, i proventi derivanti dallo sfruttamento del petrolio e del gas rappresentavano il 45% del bilancio federale russo. Nel 2021, l’attività mineraria costituiva l’8,7% del PIL del Sudafrica, uno dei maggiori produttori di oro e platino al mondo.
Al di fuori di questo punto in comune, i paesi membri storici dei BRICS non occupano tutti lo stesso posto nell’economia mondiale, tutt’altro. Il gruppo è dominato da due grandi potenze: Cina e Russia, che traggono la maggior parte dei benefici politici da questo raggruppamento. Per ragioni storiche diverse, questi due paesi sono accomunati da una certa capacità di resistenza al controllo economico e militare dei grandi paesi imperialisti. Oggi entrambi sono ritenuti dagli Stati Uniti paesi rivali e sottoposti alle pressioni crescenti di questo campo, parlando delle sanzioni economiche contro la Russia decise dopo la guerra in Ucraina fino all’offensiva protezionistica degli Stati Uniti, seguiti dai paesi europei, contro i prodotti cinesi. Possono riunire attorno a sé Stati le cui relazioni con gli Stati Uniti sono molto diverse come Brasile, Arabia Saudita o India, perché la politica perseguita dai dirigenti americani e la crisi storica del capitalismo mettono in difficoltà gli Stati di molti paesi poveri o semisviluppati che sopportano in pieno il peso delle scelte finanziarie, economiche e militari delle potenze imperialiste. Ma i BRICS non formano un blocco; si tratta di un gruppo fragile di paesi che, come tutte le potenze di secondo o terzo ordine, hanno problemi simili.
Il miraggio della dedollarizzazione
Uno di questi problemi è la dipendenza finanziaria dal dollaro USA. Questo viene utilizzato per il 90% delle transazioni giornaliere sul mercato dei cambi e costituisce il 60% delle riserve valutarie globali. In effetti, tutti i paesi del mondo dipendono dal livello del dollaro. Se crolla, le riserve degli stati cinese, indiano e brasiliano perdono automaticamente parte del loro valore. Se aumenta i tassi di interesse, la banca centrale americana peggiora le condizioni per il pagamento del debito dei paesi più poveri. Un’altra conseguenza del dominio del dollaro è che gli Stati Uniti dispongono di un’arma potente per punire uno Stato che resiste loro: vietando gli scambi di dollari su un mercato, possono soffocarlo e imporre a tutti i paesi del mondo di fare la stessa scelta, come hanno agito, ad esempio, contro l’Iran.
Per arginare questo problema, i BRICS hanno creato un fondo di riserva che dovrebbe consentire loro, in caso di crisi finanziaria, di accedere ad aiuti di emergenza invece di dovere chiedere un prestito al FMI, dominato dagli Stati Uniti. Ma questo fondo di riserva per il momento è… in dollari. I BRICS hanno anche creato, nel 2012, la Nuova Banca per lo Sviluppo (NBD), che si posiziona tra i paesi poveri come alternativa al FMI e alla Banca Mondiale; dalla sua creazione ha quindi concesso prestiti per 30 miliardi di dollari, ben lontani dai 38 miliardi di euro prestati nel solo 2023 dalla sola BIRS, che è l'unica organizzazione creditizia della Banca a livello mondiale. Inoltre, due terzi dei prestiti della NBD sono in dollari e, per finanziarsi, la banca stessa deve contrarre prestiti in dollari sui mercati internazionali!
Per cercare di liberarsi dalla dipendenza dal dollaro, i BRICS stanno, anche, concludendo accordi bilaterali per favorire l’uso delle loro valute nazionali negli scambi commerciali e hanno anche un progetto fumoso di una nuova moneta comune. Ma anche se fosse portato a termine, ed è poco probabile, avrebbe scarse possibilità di successo. Affinché una moneta sia utilizzata da Stati diversi da quello che la emette, deve ispirare fiducia che si basa, in ultima analisi, sulla solidità dell'economia su cui si fonda. Questo è il motivo per cui, dal 1945, nessuna valuta è riuscita a competere seriamente con il dollaro. Lo yuan cinese rimane marginale nel commercio internazionale e nelle riserve statali: anche se la sua quota è aumentata negli ultimi anni, rappresenta solo il 2,6% delle riserve valutarie globali. Anche l’euro, sostenuto dall’economia di una delle aree più ricche del mondo e che rappresenta il 20% delle riserve valutarie mondiali, non è mai riuscito a competere con il dollaro, soprattutto perché l’Unione Europea non è uno Stato , ma un’alleanza economica tra stati che difendono i capitalisti rivali.
I BRICS hanno cercato di formare anche un blocco nei negoziati commerciali condotti presso il WTO (Organizzazione mondiale del commercio, un'arena in cui i paesi più potenti impongono le regole del commercio internazionale ai più deboli) per opporsi alle politiche protezionistiche dei paesi imperialisti, in particolare gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, la Cina prosegue la sua politica di sviluppo sui mercati internazionali e, pur rimanendo ancora molto debole, il commercio intra-BRICS è in crescita; ciò rappresenta uno dei sintomi di quello che un rapporto dell’OMC ha recentemente descritto come la frammentazione dell’economia mondiale. Questo comporta una riorganizzazione delle catene del valore in base alla prossimità geografica e politica. Ma questa frammentazione è una conseguenza della grave crisi economica del capitalismo che porta i paesi imperialisti, e in particolare gli Stati Uniti, a rafforzare le misure protezionistiche e a difendere il proprio mercato nazionale. Non è il segno di una nuova prospettiva di sviluppo futuro per il capitalismo proveniente dai paesi storicamente sottosviluppati.; Ancora una volta, il dominio del dollaro esprime una realtà inevitabile e cioè che gli Stati Uniti continuano a dominare l’economia mondiale, a vantaggio della loro borghesia.
Paesi semisviluppati in un ordine economico dominato dai paesi imperialisti
Davanti a questo problema che affligge tutte le borghesie degli stati dominati dall’imperialismo, i BRICS stanno cercando di negoziare il loro posto. Ma non sono tutti uguali. La Cina, che dispone di un potente apparato statale e produttivo, si scontra con gli interessi americani.; La Russia è l’erede dell’economia dell’ex Unione Sovietica che si era sviluppata disponendo per 70 anni di mezzi per proteggersi dal mercato mondiale capitalista e non si è mai completamente reintegrata in esso. Questo avrebbe portato alla sottomissione economica e al collasso e il regime di Putin, nell’interesse della classe dirigente del Paese, non vi ha voluto cedere. Altri BRICS, come India e Brasile, pur integrati nell’economia occidentale, stanno cercando di fare il proprio gioco diversificando le loro alleanze e i loro mercati.
Il raggruppamento BRICS ricorda il movimento dei non allineati che, dalla metà degli anni Cinquanta fino alla fine di quelli Sessanta, ha riunito i paesi che si rifiutavano di scegliere tra il blocco occidentale e il blocco sovietico. Ma nemmeno i paesi non allineati formavano un blocco economico e, sebbene avesse riunito grandi paesi come l’India e l’Egitto, questo movimento non consentiva né sviluppo né autonomia duratura rispetto alle scelte e agli interessi dei grandi paesi imperialisti. Non ha impedito che la dominazione imperialista persistesse con tutti i mezzi, compresi quelli militari.
I non allineati potevano contare sull’esistenza dell’URSS, molto più potente delle attuali Cina o Russia; oggi alcuni Stati, soprattutto in Africa, pensano di fare assegnamento su di essi per allentare un po' la presa americana o quella francese in Africa. Il dirigente del Mali dopo il colpo di stato del 2021, Assimi Goïta, partecipando al vertice russo-africano a San Pietroburgo alla fine di agosto 2023, ha dichiarato in tale sede: “I paesi BRICS stanno emergendo in prima linea nell’economia mondiale e costituiscono delle risposte affidabili per il continente, senza che sia messo a repentaglio lo sviluppo del nostro continente e lo sviluppo delle nostre popolazioni". In Algeria, il presidente Tebboune parla da mesi dell'adesione ai BRICS, che offrirebbe al paese la possibilità di prestiti e accordi commerciali miracolosi, anche se finora l'Algeria non è ancora stata accettata nel gruppo. L’Iran vede nel riavvicinamento con la Cina un modo per limitare l’isolamento impostogli dagli Stati Uniti.
Ma alle popolazioni di questi paesi, questi tentativi dei loro dirigenti di conquistare un margine di azione all'interno rispetto all’imperialismo, o di negoziare meglio con esso, non offrono alcuna prospettiva. Sostituire il capitale francese con il capitale russo o cinese non cambierà la situazione di base: l’economia è organizzata secondo il profitto della classe capitalista, piccola o grande, e i lavoratori non otterranno nulla senza imporsi per far prevalere i loro interessi sui suoi profitti. L’esempio della Cina parla da solo: certamente l’economia cinese si è sviluppata e lo Stato cinese ha i mezzi per affrontare l’imperialismo su alcuni mercati. Per porre fine alla dipendenza unilaterale dei produttori americani dai subappaltatori cinesi, lo Stato americano deve mobilitare decine di miliardi di dollari finanziando le rilocalizzazioni. Ma questa crescita dell’economia cinese è stata raggiunta imponendo uno sfruttamento frenetico al proletariato e ai contadini e non ha portato allo sviluppo dell’intero paese, perché gran parte di esso è rimasto rurale, poco attrezzato e miserabile. La crescita del Brasile può aver raggiunto livelli elevati negli anni 2000, ma i lavoratori di San Paolo e Rio vivono ancora nelle baraccopoli; I milionari dell’agrobusiness possono vendere i loro semi di soia sul mercato cinese, ma gli agricoltori delle regioni amazzoniche non hanno ancora accesso alla terra che potrebbe consentire loro di alimentarsi. Il Sudafrica potrebbe vendere i suoi prodotti minerari al prezzo più alto possibile, ma i lavoratori delle miniere di platino di Marikana furono fucilati quando nel 2012 scioperarono per avere l’aumento dei salari.
Lo stato di decadenza del capitalismo globale non consente lo sviluppo delle economie nazionali. E in ogni caso, tra le aspirazioni dei ricchi e degli Stati dei paesi semisviluppati e gli interessi del proletariato e delle classi povere di questi paesi, ci sono gli stessi punti in comune di quelli tra le aspirazioni dei capitalisti e gli interessi dei lavoratori nei paesi imperialisti. L'obiettivo condiviso dalle classi privilegiate dei paesi BRICS, come di tutti i paesi del pianeta, è quello di accedere ad una quota maggiore della ricchezza creata dai lavoratori del mondo. Per fare questo, con il pretesto dello sviluppo, sono capaci di servirsi della legittima percezione che l’imperialismo sfrutta e saccheggia l’intero pianeta, per far accettare i sacrifici che impongono alla popolazione e al proletariato del proprio paese. In Iran, ad esempio, il blocco imposto dagli Stati Uniti è abietto e le sue conseguenze sulla popolazione sono drammatiche, ma per il regime dei mullah serve a giustificare la povertà e la prevaricazione che regnano nel paese e la sua dittatura contro l'intera società.
Le illusioni diffuse tra la popolazione dai governi BRICS o da coloro che aspirano ad aderirvi sono una trappola: non solo è illusorio voler aggirare il dominio dell’imperialismo sull’economia mondiale, come tutte le esperienze passate hanno dimostrato, ma inoltre, per i lavoratori non esiste nessuna correlazione diretta tra l’aumento del PIL del Paese in cui vivono e il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita.
Un'alleanza fragile
L’alleanza tra i BRICS, e ancor più fra i BRICS più, è soprattutto un raggruppamento opportunistico tra paesi che hanno infinitamente più disaccordi e differenze che punti in comunei. L’India e l’Arabia Saudita rimangono profondamente legate agli Stati Uniti. Le tensioni, comprese quelle militari, tra India e Cina non sono scomparse con la formazione dei BRICS. Le reazioni differenziate dei paesi che si definiscono BRICS alle due più grandi crisi militari degli ultimi due anni, in Ucraina e in Medio Oriente, lo confermano: tutt’al più si tratta solo di parole vuote e gli interessi nazionali di ciascuno di questi paesi hanno la precedenza nei loro rapporti con l’imperialismo.
Nella guerra in Ucraina, i BRICS avevano una posizione generalmente distante dalla politica americana, anche se con piccole differenze. Allo scoppio della guerra, il Brasile, allora guidato da Jair Bolsonaro, aveva adottato una posizione di neutralità, atteggiamento assunto anche dal suo successore Lula che, durante un viaggio in Cina nell’aprile 2023, ha dichiarato: “Gli Stati Uniti devono smettere di incoraggiare la guerra e cominciare a parlare di pace, l’Unione europea deve cominciare a parlare di pace". » Il Sudafrica, ufficialmente non allineato, lancia segnali di sostegno alla Russia e ha persino organizzato esercitazioni navali congiunte con l’esercito russo nel febbraio 2023, e anche un vertice russo-africano nel luglio 2023. L’India afferma di avere un “approccio equilibrato”, rifiutandosi di condannare l’invasione dell’Ucraina ma non l'appoggia e importa massicciamente petrolio russo, che rivende con profitto sui mercati internazionali. Nessuno di questi tre paesi ha applicato preso sanzioni economiche contro la Russia, e nemmeno la Cina. Quest’ultima, presa di mira direttamente dall’imperialismo americano, mantiene i suoi legami economici e diplomatici con la Russia, ma chiede, allo stesso tempo, una soluzione negoziata del conflitto. Quindi la Russia ha un interesse particolare a consolidare i legami tra i BRICS e il loro ampliamento e non è un caso che presieda il gruppo nel 2024 e si prepari a organizzare il vertice di Kazan il prossimo ottobre.
Ma di fronte alla ripresa della guerra in Medio Oriente, i BRICS hanno un atteggiamento ancora meno omogeneo che nei confronti della guerra in Ucraina. L’India ha una posizione filo-israeliana identica a quella dei paesi imperialisti, mentre il Sudafrica attribuisce tutta la responsabilità della situazione allo Stato di Israele e denuncia un “genocidio” a Gaza e, non a caso, l’Iran recentemente integrato nel gruppo sostiene Hamas. L’Egitto e l’Arabia Saudita sono punti d’appoggio militari degli Stati Uniti nella regione e non possono rischiare un vero e proprio contrasto fra loro anche se non sostengono esplicitamente Israele. I paesi membri del BRICS hanno quindi reagito ciascuno secondo i propri imperativi immediati, e assolutamente non come gruppo. Non sono riusciti nemmeno a concordare una dichiarazione congiunta durante il vertice di emergenza del 21 novembre 2023.
“Unipolare” o “multipolare”, un mondo borghese da combattere
Quindi, se la storia dei conflitti futuri non è ancora scritta, la potenza americana può contare su numerosi alleati nel caso di una crisi grave, anche da parte di Stati che, come l’India, possono avvicinarsi, a volte e su determinate questioni, a Russia o Cina. L’equilibrio economico del potere e gli interessi particolari delle classi dirigenti di ciascun membro del gruppo – compresi quelli politici interni – saranno molto più risolutivi delle dichiarazioni di intenti fatte durante i vertici pubblicizzati.
Lo stesso varrà per l’atteggiamento del gruppo BRICS nei confronti degli altri paesi del pianeta, in Africa e nel Maghreb in particolare. In alcuni paesi poveri, strozzati dall’imperialismo, attribuire peso ai BRICS è un modo per trovare spazio fuori dal campo americano. È un mezzo per far credere alla popolazione che gli investitori cinesi, russi o brasiliani potrebbero contribuire al miglioramento della situazione economica, o addirittura consentire protezione contro gli interventi militari imperialisti,. E' ciò che stanno cercando di fare i dirigenti delle giunte dell’Africa occidentale, chiedendo la partenza delle truppe francesi ma compiacenti nei confronti delle milizie russe Wagner. Queste politiche sono trappole per la popolazione, convinta a credere che l’unica prospettiva possibile sia quella di barcamenarsi tra questo o quel protettore delle grandi potenze del mondo. La lotta contro la dominazione imperialista non può essere condotta sulla scala dei paesi dominati; una politica che non spiega che non è possibile alcun reale sviluppo finché la borghesia domina su scala globale, nelle cittadelle dell’imperialismo, si basa su una menzogna.
Sulle popolazioni di questi paesi, e su coloro che si illudono sulla possibilità di sfuggire alla tutela imperialista, la cosiddetta multipolarità di oggi non avrà altra conseguenza che il non-allineamento di ieri. Nessun paese, nemmeno uno grande come la Cina, è mai realmente riuscito a liberarsi dei rapporti di dipendenza instaurati dall’imperialismo durante il suo sviluppo. Per il proletariato dei paesi dominati da esso sarebbe un grave errore pensare che l’allineamento con la Russia o la Cina potrebbe proteggerlo dallo sfruttamento e aprire una prospettiva di sviluppo, per non parlare addirittura di pace. Anzi: le manovre e i raggruppamenti diplomatici che si sono moltiplicati negli ultimi mesi consentono alle grandi potenze di stabilire e mettere alla prova le loro alleanze, di tenere i conti, di combinare accordi, e l’attività della Cina e della Russia attraverso i BRICS è un sintomo, tra molti altri, dell’inasprimento delle tensioni internazionali e dei rischi di generalizzazione dei conflitti.
Contro il saccheggio imperialista, contro le guerre provocate dalla spartizione controllata del mondo di un gruppo di grandi potenze, e contro lo sfruttamento in generale, l’unica prospettiva è quella di rifarsi alla consapevolezza che il proletariato forma una classe internazionale, che i lavoratori europei e americani devono condurre una lotta comune insieme ai proletari cinesi, brasiliani e maliani. Questa deve essere portata avanti non per le banche di sviluppo o le nuove valute internazionali, né per creare gruppi diplomatici e militari alternativi allo schieramento dietro gli Stati Uniti. Deve mirare all'espropriazione della borghesia mondiale, quella dei paesi imperialisti che hanno maggiori responsabilità nel caos globale, ma anche quella che si pone come alternativa alla prima e promette lo sviluppo incontrastato del capitalismo. Questo è l’unico modo per costruire un mondo libero dalla povertà e dalle guerre causate dalle convulsioni del capitalismo.
5 gennaio 2024