Da "Lutte de Classe" n°230 – Marzo 2023
Un anno fa, il 24 febbraio 2022, Putin dava al suo esercito l’ordine di invadere l'Ucraina. Secondo lui si trattava di denazificarla, alludendo all'influenza acquisita da nazionalisti eredi del banderismo, la corrente filonazista che massacrò ebrei, russi e polacchi dal 1941 al 1945. Putin voleva spazzare via il governo di Kiev perché non riusciva a convincerlo di rinunciare al progetto di aderire nella NATO, e quindi di lasciarla installare i suoi missili a 700 chilometri da Mosca. Un anno dopo, l'esercito di Putin controlla il 20% del territorio ucraino, la sua economia ha resistito alle sanzioni occidentali, ma non ha raggiunto il suo obiettivo. Lui, che nega persino l'esistenza di una nazione ucraina, avrà contribuito, con il suo sanguinoso disprezzo per il popolo, all'affermazione del sentimento di appartenenza all'Ucraina che prima stentava a prendere forma nonostante gli sforzi delle autorità e dei nazionalisti.
Spesso si sente dire che il relativo fallimento di Putin sia il risultato della mobilitazione di un popolo deciso a difendere la propria patria, mentre nulla di simile motiva i soldati russi. È vero, ma è solo in una parte della storia. Se l'Ucraina ha resistito, nonostante un'industria e un esercito certamente meno potenti di quelli del Cremlino, lo deve innanzitutto alla trentina di membri della NATO, tra cui Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia, che l'hanno armata, finanziata e sostenuta in molti modi. E non smettono di rincarare, come ha fatto Biden il 20 febbraio a Kiev.
Quando i Paesi della NATO riforniscono l'Ucraina di armamenti sempre più sofisticati ed efficaci, perseguono un obiettivo immediato e affermato: evitare la sconfitta dell'Ucraina e far durare la guerra per indebolire la Russia e, se possibile, metterla in ginocchio. Questo per dimostrare al mondo quanto costa non piegarsi all'ordine imperialista. È questo il senso delle parole di Biden a Varsavia: "L'Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia", del suo aperto rifiuto di negoziare con Putin, del fatto che i dirigenti occidentali abbiano tutti assunto la stessa postura e lo stesso discorso in questo periodo.
Ma il conflitto in corso non è il motivo principale dell'escalation che l'Occidente sta conducendo a tutto spiano. Fa anche da sfondo a una battaglia delle menti, se non altro attraverso la banalizzazione di una guerra che si sta insediando per un lungo periodo in un'Europa che non ne ha vista una dal 1945, tranne il bombardamento della Serbia da parte della NATO un quarto di secolo fa. Un assetto di guerra che si applica anche alle economie di ciascun Paese, in un mondo capitalista che sta sprofondando nella crisi senza che i suoi dirigenti vedano alcuna via d'uscita. Sebbene i governanti del mondo capitalista non abbiano ancora scelto di buttarsi a capofitto in un conflitto generalizzato, come quelli che hanno portato alla Prima e alla Seconda guerra mondiale, non c'è alcuna garanzia che il conflitto ucraino non precipiti da un momento all'altro l'umanità in una nuova guerra mondiale.
Questo conflitto sta già servendo agli Stati imperialisti come campo di addestramento per prepararsi alla possibilità di un cosiddetto “scontro ad alta intensità", che gli stati maggiori militari e politici evocano già esplicitamente. Serve anche ai dirigenti dell'imperialismo per rafforzare i blocchi di Stati alleati, con le loro reti di basi intorno alla Russia e alla Cina, invitando altri Stati a unirsi a queste alleanze militari e ad adottare pacchetti di sanzioni contro la Russia anche quando ciò è contrario ai loro interessi e a quelli dei loro capitalisti. Lo dimostrano il blocco delle importazioni di petrolio e gas russo, il divieto di commercio con la Russia, il divieto di mantenervi attività industriali, che penalizza i Paesi europei, tra cui Germania, Francia e Italia, ma avvantaggia gli Stati Uniti.
Se c'è un fatto nuovo, cruciale per il futuro dell'umanità, che è emerso dal fuoco di questa guerra, è la rapida evoluzione della situazione mondiale verso la militarizzazione. E questo ricorda con forza l'attualità delle parole di Jaurès poco prima dell'inizio della prima carneficina mondiale: "Il capitalismo porta in sé la guerra come una nuvola porta la tempesta".
Una guerra prevedibile da tempo
Lanciando l’anno scorso i suoi missili e i suoi carri armati sull’Ucraina, Putin ha risposto in modo mostruoso alle continue pressioni dell'imperialismo occidentale in Europa orientale. Ma è questo imperialismo che si sta preparando da tempo ad andare allo scontro, a far precipitare prima o poi l'Ucraina in guerra, rendendo così i suoi abitanti ostaggi di una rivalità che non li riguarda, perché contrappone il campo guidato dagli Stati Uniti alla Russia, con il suo dittatore, i suoi burocrati e i suoi oligarchi ladri. Da una parte e dall'altra, non c'è spazio per il diritto del popolo di decidere il proprio destino, anche se si cerca di far credere che sia così.
L'ex cancelliere Angela Merkel non ci crede. Lo dice in un'intervista (1) in cui ripercorre la crisi iniziata nel febbraio 2014, quando l'allora presidente ucraino, contestato dalle piazze e soprattutto abbandonato da settori della burocrazia e dell'oligarchia, dovette scappare. Dopo che il governo sorto dal Maidan (2) si sia allineato agli Stati Uniti, Putin recuperò la Crimea e spinse il Donbass alla secessione.
Gli accordi di Minsk, che la Merkel aveva sponsorizzato insieme a Hollande e che Mosca e Kiev avevano sottoscritto, avrebbero dovuto risolvere pacificamente il conflitto, secondo quel che sosteneva all'epoca. Ma ora ammette che si trattava di una finzione. Putin a quel momento, dice, “avrebbe potuto vincere facilmente”. E aggiunge “dubito fortemente che la NATO avrebbe avuto la capacità di aiutare l'Ucraina come fa oggi. […] Era ovvio per tutti noi che il conflitto sarebbe stato congelato ma che il problema non era risolto, ma questo ha solo dato all'Ucraina tempo prezioso”. E questi accordi hanno dato alla NATO il tempo di preparare il confronto con Mosca.
Il conflitto era in corso da quando l'URSS era crollata nel 1991. Da quel momento, gli Stati Uniti e l'Unione Europea stavano manovrando per risucchiare l'Europa orientale nell'orbita della NATO. I consiglieri della Casa Bianca spiegarono che occorreva staccare l'Ucraina dalla Russia, in modo che non fosse più possibile alla Russia di tornare a essere una grande potenza. Dopo gli anni di Eltsin (1991-1999), caratterizzati dal collasso economico, dal crollo dello Stato e dall'umiliante sottomissione del paese da parte dell'Occidente, Putin e la burocrazia russa volevano ripristinare la Grande Russia.
Un primo tentativo dell'Occidente di risucchiare l'Ucraina avvenne nel 2004 con il tandem Yushchenko-Timoshenko, che rovesciò il filorusso Yanukovych. Fu di breve durata, poiché quest’ultimo fu rapidamente richiamato da una popolazione schifata. Fu di nuovo spodestato nel 2014 e questa volta fu il momento giusto per il campo occidentale, che significava la guerra: nel Donbass, che l'esercito di Kiev e le truppe d’estrema destra cercavano di strappare ai separatisti, ha lasciato 18.000 morti e centinaia di migliaia di profughi. Otto anni dopo, l'intero Paese è sprofondato nell'orrore.
I dirigenti americani ed europei sapevano che Mosca non avrebbe potuto accettare un'Ucraina che fosse diventata una base avanzata della NATO. Sapevano i rischi mortali che la loro politica comportava per gli ucraini e per i giovani russi che Putin avrebbe mandato a uccidere ed essere uccisi. Fin dal 2014 la NATO aveva reso inevitabile questa guerra, armando, addestrando e consigliando l'esercito ucraino e le truppe dei nazionalisti fascisti.
Ai dirigenti occidentali questo non importava, perché fare la guerra sulla pelle dei popoli è stata una costante della politica delle potenze coloniali, poi imperialiste. Lo si vede ancora una volta nel sangue e nel fango delle trincee ucraine, nelle rovine delle case popolari di Kharkiv, Kherson o Donetsk che i missili dell'uno o dell'altro hanno fatto crollare sui loro abitanti. Questo nonostante i discorsi dei mass media che ripropongono la favola di un conflitto improvviso tra il piccolo, isolato e disarmato Davide ucraino, attaccato senza motivo dal grande e cattivo Golia russo. In occasione del primo anniversario dell'invasione dell'Ucraina, i mass media hanno prodotto una propaganda senza mezzi termini. Ci sarebbe il campo del Male (Russia, Iran e soprattutto Cina), di fronte al campo del Bene, quello delle potenze che, dominando il pianeta, garantiscono la perpetuazione del sistema di sfruttamento capitalistico in nome della democrazia o della salvaguardia di Paesi come l'Ucraina, a patto che questi ultimi gli prestino fedeltà.
Questa massiccia propaganda mira a far sì che l'opinione pubblica aderisca senza riserve a quella che le viene presentata come la difesa di un popolo aggredito, in realtà alla guerra condotta dalle grandi potenze tramite gli ucraini. È vero che gli Stati imperialisti dicono di volere la vittoria di Kiev pur temendo che una sconfitta di Putin possa destabilizzare la Russia e il suo "estero vicino" in modo incontrollabile. Ma al di là di queste preoccupazioni contraddittorie e di ciò che accadrà alla Russia e al regime di Putin, questi stessi Stati hanno un obiettivo almeno altrettanto importante per loro. Vogliono servirsi del conflitto ucraino per incatenare la propria popolazione al loro carro da guerra, avendo in mente conflitti più ampi a venire.
In effetti, il conflitto ucraino ha tutte le sembianze di un prologo a un confronto più o meno generalizzato, di cui l’obiettivo principale è già stato identificato da politici, generali e commentatori, e non è altro che la Cina. Così, Les Echos del 15 febbraio scriveva in prima pagina che: "Per l'America, la Cina è di nuovo il nemico numero uno", dopo che "la guerra in Ucraina [aveva per un certo periodo distolto l'attenzione] dal confronto" con la Cina.
Da una guerra a una più grande
Le steppe, le città e i cieli dell'Ucraina sono già stati utilizzati dagli stati maggiori e dagli industriali occidentali per confrontarsi con la Russia tramite i soldati ucraini, e per collaudare i loro veicoli corazzati, l'artiglieria, i sistemi di comando, di comunicazione, intercettazione e intelligence, e per trarre le lezioni necessarie. Vi vedono anche un'occasione per sbarazzarsi di munizioni ed equipaggiamenti più o meno vecchi che i combattimenti avrebbero consumato. Ciò giustifica l'escalation delle consegne di armi e, di conseguenza, l'esplosione delle spese militari per incrementare l'industria bellica.
Questa situazione permette agli Stati di prendere ordini, a volte enormi, da Paesi che dipendono da protettori più potenti e dai maggiori produttori di armi. Ad esempio, Varsavia ha preso in considerazione la possibilità di dare a Kiev i vecchi Mig-29 di concezione sovietica per sostituirli con gli F-16 americani, e ha promesso di consegnare i vecchi carri armati Leopard, che sostituirà con nuovi modelli. Ovviamente, questo non piace né alla dita Dassault né a chi produce il carro armato francese Leclerc, che fatica a trovare acquirenti. Infatti, anche se sono alleati all'interno della NATO, e anche se sono ansiosi di mostrare la loro unità, come ha sottolineato Biden quando lui e Scholtz hanno promesso simultaneamente di consegnare carri armati a Kiev, gli Stati imperialisti rimangono rivali in questo campo come in altri. Gli Stati Uniti si riservano la parte del leone, con ordini di armi che sono raddoppiati nel 2022, in linea con la loro potenza industriale, la loro supremazia militare... e le guerre a venire. Queste produzioni di armi per l'Ucraina, che si aggiungono a quelle che si dice siano destinate all'ammodernamento di tutti gli eserciti occidentali, servono tanto a tenere sotto controllo Putin quanto a trasformare le economie occidentali in "economie di guerra" ad un ritmo accelerato, secondo i termini stessi del programma stabilito dai ministri della Difesa dei Paesi della NATO al vertice di Bruxelles del 14-15 febbraio.
Da mesi i dirigenti politici occidentali e ancor più i loro capi militari discutono pubblicamente e concretamente di una guerra generalizzata che sanno essere alle porte. Così, a Brest in Francia, l'ammiraglio Vandier, capo di Stato Maggiore della Marina, ha detto alla nuova classe di ufficiali cadetti: "State entrando in una Marina che probabilmente conoscerà il fuoco in mare". Alcuni hanno persino indicato una data, come il generale Minihan, capo delle operazioni aeree degli Stati Uniti: "Vorrei sbagliarmi, ma ho l'impressione che nel 2025 ci scontreremo con la Cina".
Ucraina: uno spaventoso tributo umano, sociale ed economico
Nel frattempo, la guerra in Ucraina ha già ucciso o ferito 180.000 soldati russi, poco meno di soldati ucraini, e ucciso più di 30.000 civili, secondo le stime del capo dell'esercito norvegese, membro della NATO. 7,5 milioni di ucraini si sono rifugiati in Polonia, Slovacchia, Austria, ecc. e in Russia. Tra questi, la stragrande maggioranza è costituita da donne e bambini, poiché agli uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni, che possono essere mobilitati, è vietato lasciare il Paese. Ci sono anche diversi milioni di sfollati nel Paese stesso.
Molte città, grandi e piccole, sono state bombardate, a volte rase al suolo, e le infrastrutture energetiche sono state colpite ovunque, lasciando la popolazione al buio e al freddo. L'ammontare delle distruzioni di strade, ponti, ferrovie, porti, aeroporti, aziende, scuole, ospedali, abitazioni, ecc. ha raggiunto i 326 miliardi di dollari, secondo le stime del Primo Ministro nello scorso settembre. Questa cifra, già colossale, è cresciuta da allora, se non altro perché accompagnata da enormi appropriazioni indebite che sono state e saranno fatte da ministri, generali, burocrati e oligarchi ucraini.
Zelensky ha riconosciuto l’esistenza di questa corruzione dell'apparato statale fino al vertice quando ha licenziato parte del suo governo, compresi i ministri della Difesa e della Ricostruzione, e diversi funzionari di alto livello. Ciò non cambia la natura di uno Stato che, in quanto principale fonte di ricchezza come in Russia, è uno dei più corrotti al mondo: più dello Stato russo, si dice, il che non è poco. In effetti, Zelensky non aveva scelta: una commissione americana di alto livello era arrivata a Kiev per vedere che fine facevano i colossali aiuti forniti dallo zio d’America. In fondo, anche se lo Stato americano è ricchissimo, ha anche le sue clientele quali produttori di armi, finanzieri, capitalisti di grido, e non vuole che una parte eccessiva dei profitti di guerra finisca nelle tasche di burocrati, oligarchi e mafiosi ucraini.
E poi, nel momento stesso in cui l'Occidente ha annunciato la fornitura di carri armati allo Stato ucraino, occorreva evitare che il regime apparisse per ciò che è: quello di banditi che prosperano alle spese della popolazione. La dimostrazione era destinata, meno alla popolazione occidentale occidentale che conosce della situazione solo quel che ne dicono i mass media, che non alla popolazione ucraina. Vittima dei bombardamenti e delle esazioni dell'esercito russo, si rende conto di essere anche vittima dei parassiti dell'alta burocrazia, dei ministri corrotti e dei generali ladri. E la sacra unione nazionale non ha fatto scomparire le compiacenze che permettono ai ricchi di godersi in pace le loro fortune all'estero, mentre i loro scagnozzi della polizia rastrellano uomini, validi o meno, per portarli al fronte (3). In un simile contesto le resistenze che ciò suscita qua e là non sorprendono, tanto più che, se all'inizio l'esercito poteva contare sui volontari, quelli che sta mobilitando ora per definizione non ne fanno parte.
I mass media occidentali, nei loro commenti ditirambici su un regime che dovrebbe incarnare la democrazia e l'unità di un popolo dietro i suoi dirigenti, preferiscono stendere un velo sui fatti che potrebbero rovinare il loro falso quadro (4).
Disastro sociale
Nel 1991, quando l'URSS è crollata, rovinata dall'attività di milioni di burocrati intenzionati a impadronirsi delle proprietà dello Stato mentre i loro dirigenti si ritagliavano feudi nazionali in cui governare in modo incontrollato, i responsabili ucraini hanno fatto affiggere ovunque la scritta "siamo 52 milioni". Questo avrebbe dovuto rassicurare un Paese che era diventato indipendente senza averlo realmente voluto, e la cui popolazione si trovava tagliata fuori dalla Russia, alla quale era legata da una lunga storia comune, e da un'economia costruita in modo integrato, interdipendente e sulla stessa base durante i 70 anni di esistenza dell'Unione Sovietica.
Il salto verso un mondo migliore promesso dalla propaganda si è trasformato per la popolazione in un tuffo nella miseria, nel caos, nella disoccupazione sotto un potere mafioso. Il tenore di vita si è ridotto drasticamente, l'aspettativa di vita è crollata e la mortalità è aumentata. La popolazione è diminuita in termini assoluti, come in Russia, senza che, alla fine, la stabilizzazione relativa invertisse la tendenza. Alla vigilia della guerra, l'Ucraina contava 45 milioni di abitanti, compresi milioni di migranti economici stagionali e a tempo pieno. Un anno dopo, sono solo 38 milioni.
Quanti ucraini che sono andati all'estero potranno o vorranno tornare, e quando? Ciò dipenderà dall'andamento della guerra, di cui nessuno sa quando finirà. Ma, qualunque sia l'esito, non metterà fine alla catastrofe demografica che colpisce il Paese da trent'anni, una situazione che condivide con la maggior parte delle ex repubbliche sovietiche e le cui radici sono sociali ed economiche. Il regime della burocrazia russa e dei suoi oligarchi miliardari, anch'esso in cattiva condizione sociale ed economica, corrotto, poliziesco e antioperaio, non può rappresentare alcun futuro per la popolazione ucraina, nemmeno per i russofoni.
Per quanto riguarda il regime incarnato da Zelensky, questo rappresentante al potere delle grandi potenze e delle loro grandi compagnie che stanno puntando le ricchezze agricole e minerarie dell'Ucraina e la sua manodopera qualificata per sfruttarla con salari miserabili, il conflitto iniziato nel 2014 lo ha indubbiamente salvato, almeno fino a questa parte. Come in ogni guerra, la popolazione si è ritrovata, volentieri o meno, dietro un potere che affermava di difenderla. Ma si può scommettere che ampi settori delle classi popolari non hanno dimenticato ciò che aveva suscitato in loro questo attore diventato presidente, che aveva giocato al "servo del popolo" (5) per meglio preservare gli interessi dei ricchi.
Scontrandosi sul campo tra popoli interposti, i dirigenti occidentali quali rappresentanti di una borghesia imperialista che domina il mondo, i dirigenti russi quali rappresentanti dei parassiti che sfruttano i lavoratori della Russia, i dirigenti ucraini quali rappresentanti dei loro oligarchi altrettanto che delle compagnie occidentali, sono tutti nemici delle classi popolari, della classe operaia. E i lavoratori, ovunque si trovino, qualunque sia la loro nazionalità, lingua o origine, non hanno alcuna solidarietà da avere, con qualsiasi pretesto, con "il nemico principale che è sempre nel nostro stesso paese", come disse il rivoluzionario tedesco Karl Liebknecht nel 1916, al culmine della Prima guerra mondiale.
Ovunque, la marcia verso un'economia di guerra
Il 6 febbraio, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, presentando le sue priorità per il 2023, ha affermato che in Ucraina "le prospettive di pace continuano a diminuire [mentre] i rischi di un escalation e di ulteriori spargimenti di sangue continuano a crescere". Ha aggiunto: "Il mondo si sta muovendo con gli occhi spalancati [verso] una guerra più ampia".
Questo è stato confermato al vertice dei ministri della Difesa della NATO. Secondo il giornale Les Echos, è stato chiesto loro di “passare a un' economia di guerra", di rilanciare e attivare la produzione di armamenti, prima di tutto granate, carri armati e artiglieria, per affrontare "una guerra di logoramento" in Ucraina. Scrive che, mentre dieci anni fa gli Stati Uniti chiedevano ai loro alleati di aumentare la spesa militare fino al 2% del loro prodotto interno lordo, questa cifra era ormai considerata un minimo che molti hanno superato. La successiva Conferenza sulla sicurezza in Europa di Monaco ha riunito la maggior parte dei dirigenti europei e mondiali per muoversi nella stessa direzione.
È ciò che stanno facendo cercando di convincere la loro popolazione dell'inevitabilità della guerra; puntando alcuni Paesi come nemici, primi fra tutti la Russia e la Cina; dispiegando una propaganda insidiosa ma permanente nei mass media intorno a temi bellici; enfatizzando la preparazione dei giovani per servire la "loro" nazione, per difenderla, senza mai dire che si tratterà di trasformarli in carne da cannone per gli interessi delle classi dominanti. Il governo francese lo sta facendo con il servizio nazionale universale, che mira a insegnare ai giovani a marciare al passo, con servizi televisivi più o meno provocatori sul servizio a bordo di navi da guerra, su regioni disastrate come quella di Saint-Étienne dove la ripresa della produzione di armi starebbe riducendo la disoccupazione. Il nuovo ministro della Difesa tedesco è sulla stessa linea, vuole ripristinare il servizio militare e fare della Bundeswehr il principale esercito del continente grazie all'aumento di 100 miliardi del suo bilancio.
Lo scorso giugno, Macron aveva annunciato questo orientamento con il suo piano Economia di guerra che comporta finanziamenti statali di 413 miliardi in sette anni per l’esercito. Era necessario "andare più veloce, pensare in modo diverso ai ritmi, alla crescita delle produzioni, ai margini, per poter ricostituire più rapidamente ciò che è essenziale per i nostri eserciti, per i nostri alleati o per coloro [come in Ucraina] che vogliamo aiutare". E, rivolgendosi ai dirigenti dell'organismo che raggruppa le 4.000 aziende del settore militare, ha promesso loro decisioni e, soprattutto, investimenti. Per i profitti, la guerra è bella…
Al di là del conflitto ucraino, la causa principale dell'impennata dei bilanci militari va ricercata nella crisi del sistema capitalistico mondiale, che si aggrava senza che nessuno nei circoli dirigenti della borghesia europea e americana sappia come affrontarla. Come ogni volta che il mondo si trova ad affrontare una situazione del genere, la borghesia e i suoi Stati fanno appello all'industria degli armamenti per rilanciare l'economia. Infatti, grazie alle spese militari degli Stati, essa sfugge al calo della domanda di cui soffrono i settori colpiti dalla caduta del potere d'acquisto delle classi lavoratrici. Lo stimolo del resto dell'economia con ordini di macchinari, software, materiali, materie prime, ecc, può fare sperare alla borghesia di essere aiutata a mantenere il tasso generale di profitto.
Frequentemente quel dirigente o un altro esprimono preoccupazioni per i rischi di mettere la vita delle nazioni su tali binari, soprattutto di fronte alla guerra aperta. Così, a Monaco, il ministro degli Esteri cinese ha presentato un cosiddetto piano di pace per l'Ucraina. Ma anche un famoso consigliere di diversi presidenti degli Stati Uniti, Henry Kissinger, ha pubblicato il suo a fine dicembre (6) . Egli ha proposto di stabilire "una linea di cessate il fuoco" che garantirebbe alla Russia "il territorio occupato quasi un decennio fa, compresa la Crimea", e poi di organizzare "referendum di autodeterminazione [nei] territori particolarmente divisi" per poter infine "confermare la libertà dell'Ucraina e definire una nuova struttura internazionale [per] l'Europa orientale". Aggiungeva, e ci vuole credere, che "la Russia dovrebbe infine trovare un posto in tale ordine mondiale".
In sostanza, si tratterebbe di concedere guadagni territoriali di cui Putin potrebbe vantarsi. In questo modo si eviterebbe la destabilizzazione della dirigenza russa, in cambio che però lo pagherebbe con l'accettazione di ciò a cui gli Stati Uniti mirano da decenni: il passaggio dell'Ucraina dalla propria parte. Discutere di questo non avrebbe senso, innanzitutto perché i dirigenti occidentali si rifiutano di negoziare con Putin in questo momento. Ma anche quando alcuni affermano di cercare una soluzione pacifica a una guerra che le loro politiche hanno provocata, la logica della loro decisione di armare continuamente una delle due parti in campo, di militarizzare le economie di molti Paesi sullo sfondo di una crisi generale di cui gli sfugge l'evoluzione, tutto questo significa che la distanza dalla guerra in Ucraina a un conflitto più ampio potrebbe essere molto più breve di quanto si possa pensare.
Contrariamente a quanto affermato da Guterres, non è l'intera umanità a muoversi verso l'abisso con gli occhi spalancati. I dirigenti politici della borghesia non possono ignorare ciò che stanno facendo e che lo fanno nell'interesse della loro classe. Comunque lo possono vedere ben meglio delle masse di tutto il mondo, a chi si nasconde la realtà, la posta in gioco e la sua evoluzione accelerata.
Infatti, in Ucraina e Russia come ovunque, il livello di coscienza e di organizzazione della classe operaia è molto indietro di fronte alla corsa alla guerra in cui la borghesia sta coinvolgendo l'umanità. E lo è ancor più rispetto a ciò che sarebbe necessario per fermare questa guerra, per trasformarla in una guerra di classe per l'emancipazione dei lavoratori di tutto il mondo.
È quello che hanno fatto i bolscevichi in Russia nel 1917, in piena guerra mondiale. È su questa strada che dobbiamo impegnarci, come comunisti rivoluzionari e internazionalisti, come militanti dell'unica classe portatrice di un futuro, il proletariato, con tutti coloro che vogliono cambiare il mondo prima che ancora una volta faccia sprofondare l'umanità nella barbarie. Come diceva Lenin a proposito della rivoluzione d'ottobre: "Dopo migliaia di anni di schiavitù, gli schiavi i cui padroni vogliono la guerra rispondono: (…) la vostra guerra per il bottino, noi la faremo diventare la guerra di tutti gli schiavi contro tutti i padroni"" (7).
21 febbraio 2023
(1) Die Zeit del 7 dicembre 2022.
(2) La piazza di Kiev diventata il centro degli scontri e delle proteste
(3) A causa delle pesanti perdite, a gennaio Kiev ha richiamato più di 30.000 coscritti, molto più che nei mesi precedenti.
(4) Ci sono delle eccezioni come ad esempio la televisione francese LCI che il 15 febbraio ha invitato una giornalista che ha riferito, nonostante la sua simpatia per la parte ucraina, di aver visto casi di ammutinamento da parte dei soldati e di violenze inflitte ai prigionieri russi.
(5) La serie televisiva che ha reso Zelensky famoso per l’onestà che ostentava nei confronti degli oligarchi ucraini.
(6) In Spectator, 17 dicembre 2022.
(7) Discorso di Lenin del 17 ottobre 1921 a Mosca al Congresso dei Comitati di educazione politica.