Da “Lutte de classe” n° 208 – Giugno 2020
Il 21 febbraio 2020, un anno dopo l'inizio del movimento popolare provocato in Algeria dalla candidatura di Abdelaziz Bouteflika ad un quinto mandato, numerose manifestazioni chiedevano ancora, per il cinquantatreesimo venerdì consecutivo, la fine del "sistema" di cui Bouteflika era stato a lungo presidente. Tre giorni dopo però, il primo caso di coronavirus era segnalato in Algeria, e a metà marzo, di fronte alla pandemia, i manifestanti decidevano di sospendere quel che era stato il più grande movimento di protesta popolare nel paese dal 1962 ad oggi. Con 500 morti segnalati al 10 maggio, il Paese è già il più colpito del continente africano.
La crisi sanitaria, pur essendo rimasta finora limitata rispetto a quella dei paesi europei, ha aggravato la crisi politica, economica e sociale che ha dato vita al movimento (lo "Hirak" in arabo) e che la crisi economica globale non può che aggravare.
La pandemia pone fine a un anno di proteste
Il 2 aprile 2019, sotto la pressione popolare, il capo dell'esercito Ahmed Gaïd Salah esortava il presidente Abdelaziz Bouteflika a dimettersi. Tutti i dirigenti dei cosiddetti partiti d’opposizione, un ventaglio che va dagli islamisti ai democratici, avevano ad un certo momento collaborato con il governo e quindi venivano respinti dalle manifestazioni, senza che nessuna direzione riconosciuta riuscisse ad imporsi alla guida del movimento.
Rispondendo agli appelli sui social network, milioni di persone hanno continuato a manifestare per chiedere la fine dell'attuale sistema politico. Il popolo algerino chiede il conto ad un governo che è stato istituito dopo l'indipendenza nel 1962 e la cui spina dorsale è sempre stata l'esercito. Tutti i dignitari del regime sono stati accusati di aver saccheggiato le ricchezze del Paese. "Se ne vadano tutti! " è diventato lo slogan del movimento.
Il capo dell'esercito Ahmed Gaïd Salah, affermatosi il nuovo uomo forte del potere, nelle settimane successive ha cercato di disinnescare un movimento che rimaneva forte, effettuando una specie di "operazione mani pulite" che ha portato all'incarcerazione di alti dirigenti, alti funzionari, una dozzina di ministri e persino due ex primi ministri. Questa operazione segnò favorevolmente l'opinione pubblica al punto di ridurre l’importanza delle manifestazioni. Nello stesso tempo, però, le dichiarazioni e i tentativi di intimidazione di Gaïd Salah e le sue manovre di divisione, come gli arresti di coloro che portavano una bandiera berbera, alimentavano la rabbia di molti manifestanti. Tutti rifiutavano le soluzioni politiche venute da Gaïd Salah e, dietro di lui, dall'esercito. Si dovettero annullare le elezioni presidenziali previste per il 4 luglio 2019. Solo il 13 dicembre successivo, nonostante le numerose manifestazioni e gli appelli al boicottaggio, ebbe luogo un’elezione in cui i candidati sembravano tutti legati al sistema e a cui i cosiddetti partiti d'opposizione decisero di non presentarsi. Il tasso d’astensione fu massiccio, raggiungendo quasi il 60% in alcune regioni.
Abdelmadjid Tebboune fu eletto al primo turno, dopo una campagna in cui aveva detto di porgere la mano allo Hirak (il movimento) e lo definì "benedetto". Aveva promesso anche di aumentare il salario minimo e di abolire l'imposta sul reddito, l’IRG, per i lavoratori a basso salario. In quanto unico candidato a parlare di potere d'acquisto, ha potuto beneficiare dei voti di una frazione delle classi lavoratrici e di una popolazione che aspira ad una certa stabilità.
Eletto da una piccola parte dell'elettorato, indebolito dalla morte di Gaïd Salah, che era uno dei suoi principali sostenitori nell'esercito, Tebboune ha compensato la sua mancanza di legittimità moltiplicando gli annunci sulla moralizzazione della vita pubblica, la lotta alla corruzione e la riforma della costituzione. Nel gennaio 2020, si è impegnato a migliorare le libertà individuali e ha dato alcune garanzie chiedendo un dialogo con i sostenitori dello Hirak e liberando alcuni detenuti. Ma mentre alcuni manifestanti furono rilasciati, altri rimanevano in prigione e la polizia effettuava anche nuovi arresti.
Ai margini dello Hirak, una protesta sociale a singhiozzo
La legge finanziaria e il programma di austerità annunciato nel gennaio 2020 per rilanciare l'economia contraddissero le promesse sul potere d'acquisto, ponendo fine alle poche speranze suscitate dall'elezione di Tebboune. La pandemia arrivò in un momento in cui l'economia del paese era già esausta, soprattutto per il calo dei prezzi del petrolio intervenuto dopo il 2014.
Il settore del montaggio di automobili, che il governo aveva sostenuto attivamente, è stato rallentato dal blocco dell'importazione di kit di montaggio, ma anche in seguito all'arresto di diversi grandi capi del settore accusati di corruzione nel contesto dell'operazione politica di Gaïd Salah, come Mourad Oulm, amministratore generale del gruppo SOVAC, che monta e commercializza veicoli Volkswagen.
Nel settore dell’edilizia, il 60% delle imprese è fallito nel 2019, in seguito all'arresto dei principali cantieri finanziati dallo Stato. Muratori, operai conciatetti e architetti si sono trovati senza lavoro. Nel corso dell’inverno scorso i fallimenti sono stati numerosi anche nel settore del commercio e della distribuzione. Secondo alcuni esperti, 3.200 aziende hanno dovuto chiudere e licenziare centinaia di migliaia di dipendenti nel corso del 2019. Il settore pubblico non è stato risparmiato: alcune aziende sono state chiuse e i lavoratori con contratto a termine sono stati i primi ad essere licenziati.
Ai margini del movimento (Hirak), dall'autunno 2019 in poi, in tutto il paese si è espressa una protesta sociale a singhiozzo. Di fronte al deterioramento delle condizioni della vita quotidiana, sono state organizzate proteste per l'accesso ad una casa, per chiedere l'allacciamento del gas o la manutenzione di strade dissestate. I lavoratori a contratto agevolato, sottopagati e precari, sono entrati in sciopero per ottenere un impiego che era stato promesso ma che non hanno mai ottenuto. In alcune aziende, i lavoratori hanno dovuto lottare per ottenere la loro paga, che in alcuni casi non è stata pagata per mesi.
Anche lo sciopero nazionale degli insegnanti delle scuole elementari, iniziato ad ottobre e partito dalla base, è stato fermato dalla pandemia. Per cinque mesi, gli insegnanti hanno chiesto di percepire lo stipendio arretrato e hanno denunciato le loro condizioni di lavoro in scuole sovraffollate e poco attrezzate. Ma, benché lo sciopero fosse stato ben accolto dalla popolazione, il governo rimase sordo alle richieste degli insegnanti, non esitò a reprimerli ed accusò gli scioperanti di essere stati strumentalizzati.
La pandemia e il crollo dei prezzi del petrolio sono avvenuti in un momento in cui milioni di lavoratori stavano affrontando un calo del loro reddito a causa dell'inflazione e temevano anche di perdere un salario da cui dipendeva il destino delle loro famiglie.
La crisi sanitaria
La quarantena e il coprifuoco in vigore dal 23 marzo hanno aggravato la crisi sociale e hanno anche evidenziato lo stato di abbandono degli ospedali pubblici. Per anni gli ospedali pubblici hanno dovuto affrontare una crudele mancanza di risorse che gli operatori sanitari hanno denunciato senza sosta. Gli annunci rassicuranti di Tebboune per il quale la situazione era “sotto controllo" e le mascherine prossime all’arrivo, erano contraddetti dalla carenza effettiva di letti, attrezzature, mezzi di protezione e medicinali. Per non parlare della carenza di medici, che negli anni scorsi hanno lasciato a migliaia il paese per raggiungere l'Europa o il Canada alla ricerca di migliori stipendi e condizioni di lavoro.
Oltre alle carenze, gli operatori sanitari si sono scontrati con una gestione talvolta autoritaria, che non esitava a punire i lavoratori assenti, senza preoccuparsi dei problemi di trasporto o di assistenza all'infanzia. Gli autobus requisiti non sempre erano riservati agli operatori sanitari e rimanevano affollati. Tebboune ha anche annunciato un bonus per il personale che si reca al lavoro e si mette in pericolo, ma non si sa se sarà per tutti oppure se sarà riservato solo a chi si prende cura dei pazienti di Covid-19. In alcuni ospedali ciò ha suscitato rabbia.
Di fronte alle carenze dello Stato e del governo, gli abitanti di molte città e paesi non hanno indugiato a cercare di agire contro la pandemia. Organizzati in associazioni o comitati, hanno moltiplicato le iniziative per sviluppare la solidarietà, aiutare i più indigenti e diffondere informazioni sulla trasmissione del virus e sui gesti di barriera. Diffidente nei confronti di tali iniziative, Tebboune le ha poi accolte con favore pur chiedendo che fossero controllate dallo Stato, senza però poterlo imporre.
Nel bel mezzo della crisi, il governo ha annunciato una riforma del settore sanitario. Per farla accettare ai medici, ha ceduto ad una delle domande del loro sciopero del 2018. Ha abolito i cinque anni di servizio civile che erano stati loro imposti dopo gli studi e che permettevano alle popolazioni del sud di avere accesso alle cure mediche. Non è sicuro però che la promessa di raddoppiare gli stipendi dei medici del nord del Paese che accettano di stabilirsi nel sud sarà sufficiente a garantire l'accesso alle cure a popolazioni che si sentono già emarginate.
Il personale sanitario ha molti motivi di temere che questa riforma del sistema sanitario sia una preparazione alla sua privatizzazione, in un momento in cui i finanziamenti pubblici sono in caduta libera a causa della crisi del petrolio.
La crisi del petrolio e le conseguenze sociali
Fortunatamente, le conseguenze della pandemia sono finora limitate per quanto riguarda il numero dei casi di contaminazione e dei decessi. Tuttavia, le conseguenze per l'economia sono già disastrose. Il contenimento ha portato all'arresto parziale o totale dell'attività nel settore del petrolio. Il governo ha previsto dei permessi retribuiti straordinari per il 50% dei dipendenti in tutti i settori di attività, sia pubblici che privati. In realtà i lavoratori in congedo non hanno ricevuto la loro retribuzione e tale congedo spesso equivale a un licenziamento mascherato. Il governo promette aiuti pubblici ai padroni che stanno al gioco, ma questi ultimi vogliono avere sia l’uovo che la gallina. Essi chiedono aiuti pubblici, giustificando al contempo il mancato pagamento degli stipendi.
La disoccupazione è aumentata, senza che siano disponibili dati ufficiali affidabili, soprattutto perché l'occupazione informale predomina in molti settori come il commercio, la ristorazione e i trasporti. L'aiuto d'emergenza di 10.000 dinari concesso ai più poveri, pari alla metà del salario minimo, è stato rapidamente speso. Le classi lavoratrici non hanno ancora finito di subire gli effetti della crisi.
La recessione economica globale ha accelerato il calo dei prezzi del petrolio nel mese di marzo, con gravi conseguenze. Con circa 25 dollari al barile, quattro volte di meno rispetto al 2014 e 60% in meno rispetto ai primi di gennaio, i guadagni in valuta estera del Paese, che al 95% provengono dalle esportazioni di idrocarburi, sono in netto calo. In un momento in cui il costo della produzione di petrolio nei siti più redditizi dell'Algeria è stimato a 20 dollari al barile, questo è un disastro per l'economia.
Le riserve di valuta estera accumulate durante il periodo in cui il petrolio era venduto a 100 dollari al barile sono scese da 187 miliardi di dollari nel 2014 a circa 44 miliardi di dollari. Tali riserve hanno per ora evitato il ricorso all’indebitamento nei confronti del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Ma il calo delle entrate petrolifere, da 37 a 20 miliardi di dollari, sta cambiando la situazione e ha già costretto Tebboune ad adottare misure drastiche, come il dimezzamento del bilancio operativo del governo.
Tuttavia l'8 maggio, desideroso di contenere la protesta sociale che dura da mesi, Tebboune ha annunciato la regolarizzazione dei lavoratori precari, l'aumento del salario minimo da 18.000 a 20.000 dinari (140 euro) e l'abolizione dell'imposta sul reddito per i lavoratori dal reddito inferiore a 30.000 dinari (210 euro). Ma queste poche migliaia di dinari in più, se arrivano davvero nelle tasche di chi ha un salario basso, difficilmente consentiranno di far fronte alle crescenti spese della vita quotidiana.
Per salvare le casse dello Stato, Tebboune dice di non voler contrarre debiti con il FMI, per non compromettere la sovranità dell'Algeria. Insistendo sul patriottismo economico per far valere la sua politica, Tebboune sostiene di compensare il calo dei proventi del petrolio con lo sviluppo dell'agricoltura nel Sahara e il commercio di alcune materie prime del ricco sottosuolo algerino finora poco sfruttate, come l'uranio, l'oro e il fosfato. Afferma di voler tassare il settore informale, le cui attività sono valutate a 42 miliardi di euro. Ma come controllerà questi circuiti? Recentemente si era impegnato a stabilizzare i prezzi della carne, che sono saliti alle stelle durante il mese del Ramadan. Le sue ingiunzioni ai baroni di questo settore sono rimaste inefficaci: la legge del profitto è più forte.
Qualunque siano questi discorsi, si stanno preparando nuovi attacchi contro le classi lavoratrici. Si parla di mettere in discussione i sussidi per il gas, la benzina o l'elettricità, e ci si chiede cosa succederà ai sussidi per i beni di prima necessità come il latte, l'olio e la semola. Per anni, le grandi imprese hanno chiamato questi sussidi “bonus antisommossa” e ne hanno chiesto l'abolizione. Ed è peraltro vero che nell'ultimo anno i grandi capi hanno dovuto evitare di ostentare il loro disprezzo per le classi lavoratrici, che definivano pigre e assistite, per le quali lo Stato dicevano stesse sperperando i soldi del petrolio. In tutte le città del paese uno degli slogan più spesso sentiti e rivolti a loro era: "Klitou el bled, ya serrakin! ("Avete saccheggiato il paese, ladri!").
Fin dall'inizio, lo Hirak è stato portato da una gioventù numerosa, e dalla speranza di vivere in un'Algeria "libera e democratica". Molte forze politiche vi hanno partecipato, cercando di strumentalizzarlo e di lasciare il proprio marchio. Ma dai democratici del PAD, il Patto dell'Alternativa Democratica, a quelli della Dinamica della Società Civile e agli islamisti di ogni credo, nessuno di loro è riuscito a imporsi alla testa di questo movimento. Le correnti islamiste per ora non sono apparse all'intera popolazione come una prospettiva credibile, nonostante l'attivismo dei sostenitori degli ex leader del FIS (Fronte di Salvezza Islamico) come Ali Belhadj o Mohamed Larbi Zitout, in esilio a Londra dal 1995, da dove dirige un canale televisivo molto popolare in Algeria.
Quasi tutte queste forze politiche erano state addomesticate da Bouteflika, che hanno sostenuto in vari momenti. Sebbene siano in concorrenza tra loro, ciò che hanno in comune è che tali forze politiche sono pronte a servire fedelmente gli interessi della borghesia algerina e che, all'interno dello Hirak, hanno ignorato gli interessi delle classi lavoratrici.
Oggi Bouteflika non è più al potere, ma il "sistema" c'è ancora, quello contro cui si sono concentrati gli slogan dello Hirak. I diritti dei lavoratori vengono calpestati e la loro vita quotidiana è peggiorata. Ma questo movimento, che ha scosso la società algerina per un anno, ha messo fine alla paura e alla rassegnazione delle classi lavoratrici, anche se non ha dato una risposta alle loro speranze. La continuazione delle marce settimanali del venerdì e del martedì ha permesso ai manifestanti di incontrarsi e di difendere il loro diritto all’espressione nello spazio pubblico. Ogni settimana le autorità hanno cercato di contenere questo movimento, di cui subivano la pressione, senza riuscire a porvi fine.
Con la pandemia, le marce si sono fermate, ma la censura e gli arresti di attivisti, blogger e giornalisti sono continuati. Il governo, che persiste nel voler intimidire i sostenitori dello Hirak, attraverso i suoi annunci sul salario minimo e l'IRG vuole apparire preoccupato per le difficoltà delle classi lavoratrici. Ma queste misure sono ben poco di fronte al crollo già significativo del potere d'acquisto della popolazione, e a quello che si può prevedere.
Anche se il governo volesse davvero placare il malcontento sociale, non avrà i mezzi finanziari che ha avuto in passato per attutire l’urto della crisi imminente. Il paese si trova strangolato dalla storica e duratura caduta dei prezzi del petrolio e dalle conseguenze della crisi generale del capitalismo. Per soddisfare le richieste delle classi dirigenti algerine e del FMI, Tebboune non avrà altra scelta che perseguire una drastica politica di austerità. Ma gli sarà difficile imporla ad una popolazione che ha appena dimostrato di essere capace di rialzare la testa. L'immenso sconvolgimento sociale che ha scosso il paese, senza precedenti per la sua portata e durata, ha segnato la coscienza delle persone. Questo spirito combattivo è una garanzia per il futuro, poiché la crisi spingerà nella povertà milioni di lavoratori, agricoltori e piccoli commercianti.
Ma per le classi sfruttate, la lotta per una vita dignitosa e libera non sarà finita finché persisterà il dominio economico e politico della borghesia algerina e, dietro di essa, del sistema capitalistico mondiale. Solo la classe operaia può, guidando le classi popolari e combattendo per i propri interessi, abbattere questo sistema di dominio. Pur unendosi alle folle mobilitate nello Hirak, la classe operaia non è apparsa fino ad ora come una classe, solidale, consapevole dei suoi interessi collettivi e con obiettivi rivoluzionari. Il prossimo periodo, con il prevedibile peggioramento della situazione economica, la metterà sempre più di fronte a questa necessità. Ed è l'unica classe che può fornire una prospettiva di rovesciamento del capitalismo, l'unico modo per rispondere alle speranze di emancipazione espresse da un anno a questa parte dalle classi popolari algerine.
11 maggio 2020