Articoli di "Lutte ouvrière" – Marzo 2022
Abbasso le guerre di Putin, Biden e della NATO contro i popoli!
Editoriale del 2 marzo 2022
Città bombardate, famiglie al riparo nei rifugi e nelle stazioni della metropolitana, o sulle strade, in fuga dai combattimenti… l'intervento militare deciso da Putin ha fatto precipitare l'Ucraina nell'orrore di una guerra mostruosa e fratricida.
Questo conflitto mette l'uno contro l'altro persone che hanno a lungo condiviso una cultura comune e hanno vissuto insieme per decenni nell'Unione Sovietica. Le famiglie, dove russi e ucraini si mescolavano, vivevano in entrambe le parti di confini che non costituivano ostacoli alla circolazione. Oggi l'esacerbazione dei nazionalismi sta scavando trincee di sangue e odio tra questi popoli.
L'attacco di Putin all'Ucraina è criminale. Dobbiamo affermare la nostra totale solidarietà con le popolazioni in Ucraina e in Russia, dove sono stati arrestati centinaia di manifestanti contro la guerra. Ma è la politica delle grandi potenze occidentali che ha fatto dell'Ucraina il teatro del loro conflitto con la Russia.
Dalla scomparsa dell'URSS nel 1991, i dirigenti americani non hanno cessato di aumentare la loro pressione militare sulla Russia. Il loro braccio armato, la NATO, questa alleanza progettata durante la Guerra Fredda per isolare e indebolire l'Unione Sovietica, non è mai stata dissolta. Al contrario, ha continuato a perseguire una politica di accerchiamento, integrando gli stati dell'ex blocco sovietico confinanti con la Russia. I dirigenti occidentali e coloro che parlano per loro ci presentano Putin come l'unico aggressore per nascondere la loro schiacciante responsabilità nell'evoluzione che ha portato alla guerra. Come avrebbe reagito Biden se la Russia avesse allestito basi militari in Messico o in Canada, ai confini degli Stati Uniti?
A Biden e ai suoi alleati non importano la sovranità dell'Ucraina e la democrazia che dicono di difendere per giustificare le loro politiche. Come se i dirigenti americani si fossero vergognati di violare la sovranità dell'Afghanistan e dell'Iraq, che hanno invaso inventando le bugie più crudeli! Quando i soldati francesi intervengono in Africa, è per difendere Total, Bouygues e gli interessi dei capitalisti francesi in Africa, non i diritti democratici delle popolazioni. Diventa un fatto tanto evidente che di recente si sono svolte manifestazioni in diversi paesi per chiederne il ritiro.
Putin è un dittatore con metodi brutali e criminali. Ma non è questo che mette in imbarazzo i leader del mondo imperialista. Anzi! Quando migliaia di truppe russe sono state inviate in Kazakistan a gennaio per aiutare a reprimere una rivolta popolare contro l'aumento dei prezzi, i cosiddetti democratici occidentali non hanno avuto nulla da ridire. Tanto più che i paracadutisti inviati a sostenere la dittatura locale hanno tutelato anche gli interessi delle grandi compagnie occidentali presenti in questo paese, come Exxon, Total e ArcelorMittal.
Di fronte alle grandi potenze occidentali, Putin fa appello al patriottismo della popolazione russa, ma non ne difende gli interessi. È il rappresentante della burocrazia e del sottile strato di privilegiati che si è formato monopolizzando interi settori dell'economia statale quando l'Unione Sovietica è scomparsa. Contrariamente a quanto sostiene Putin, l'intervento militare in Ucraina non può in alcun modo rafforzare la sicurezza del popolo russo. L'aggressivo sciovinismo della politica del Cremlino alimenta il nazionalismo antirusso in Ucraina e non può che rafforzare la posizione dell'imperialismo in questa regione.
Putin, Biden e gli altri dirigenti dei paesi della Nato stanno conducendo una guerra con la pelle dei popoli, per i quali tutti condividono lo stesso disprezzo. E sanno bene come andare perfettamente d'accordo quando si tratta di schiacciare i lavoratori in lotta!
I lavoratori non devono schierarsi da una parte o dall'altra. Biden, Macron e i loro simili vorrebbero arruolarci dietro di loro in una sacra unione che dobbiamo rifiutare. Questa guerra non è nostra!
Per contrastare un futuro inevitabilmente fatto di crisi sempre più gravi e di guerre sempre più generalizzate, dobbiamo rifiutare di lasciare il nostro destino nelle mani degli imperialisti e dei loro governi, con i loro intrighi e le loro trame contro i popoli. Come proclamava Jaurès prima della prima guerra mondiale: “Il capitalismo porta in sé la guerra come la nuvola porta il temporale". Questo è sempre vero ed è per questo che il capitalismo deve essere rovesciato!
Popoli uniti dalla rivoluzione, separati dalla reazione
Per 70 anni, russi e ucraini hanno vissuto nella stessa unità politica ed economica, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Fondata ufficialmente nel 1922 dai bolscevichi, l'URSS fu sciolta alla fine del 1991 dai dirigenti di una burocrazia che ne aveva preso il controllo da decenni.
Il nome dell'Unione Sovietica non comportava alcun riferimento nazionale o geografico. La fondazione di questo stato in cui coesistevano cento nazionalità senza che nessuna avesse diritti superiori ad un'altra, forniva la prova vivente che popoli artificialmente messi l'uno contro l'altro potevano scegliere di vivere alla pari, in una comunità fraterna.
L'URSS era nata dalla rivoluzione sociale dell'ottobre 1917, che aveva travolto e risvegliato milioni di persone oppresse nell'ex impero zarista prima di scuotere il mondo intero. Fin dai primi giorni di questa rivoluzione, gli operai e i contadini al potere dovettero affrontare la coalizione delle vecchie classi privilegiate e possidenti, sostenute e armate dalle potenze imperialiste. L'Ucraina fu il principale terreno di questa guerra civile della reazione contro il potere dei soviet quale potere delle classi oppresse. L'Armata Rossa combatté le forze militari spedite dalle grandi potenze dell'epoca e contro le truppe guidate da ufficiali bianchi e partigiani nazionalisti.
In quattro anni, l'Ucraina cambiò governo dieci volte. Per vincere, i bolscevichi seppero unire tutti gli oppressi, qualunque fossero la loro lingua, la loro origine nazionale, la loro religione. Questo non fu fatto senza terribili difficoltà, ma i bolscevichi si fidarono innanzitutto della coscienza di classe dei proletari. Infatti i proletari russi, ucraini e altri, sapevano allora che la divisione fondamentale della società non è tra nazionalità ma tra classi con interessi irriducibili.
È su questa base che il potere sovietico affrontò la questione con una linea di condotta riassunta da Lenin nel 1920: "Vogliamo un'alleanza liberamente consentita, un'alleanza che non tolleri alcuna violenza di una nazione su un'altra".
Queste non erano parole vuote. Furono aperte scuole, furono formati insegnanti, furono pubblicati libri e giornali in tutte le lingue nazionali del paese. La creazione dell'URSS formalizzò questa alleanza di popoli riunendo le repubbliche sovietiche di Russia, Ucraina, Bielorussia, del Caucaso e, poco dopo, dell'Asia centrale. Un secolo dopo, nel suo discorso del 21 febbraio 2022, Putin ha incolpato Lenin per aver creato questa libera federazione e non uno stato centralizzato e dominato dai russi, com'era l'impero zarista e come lo fu di nuovo sotto Stalin.
In una situazione di grande povertà, l'URSS divenne, sotto il governo di Stalin, una dittatura al servizio dei burocrati che monopolizzavano posizioni e privilegi. Rispetto alle nazionalità, la politica di Stalin fu brutale. Per lui, come per i dirigenti occidentali, i popoli non erano altro che monete di scambio tra potenze. Così, nel 1945, con gli accordi di Yalta, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il governo stalinista operarono una nuova spartizione dell'Europa orientale, con enormi trasferimenti di popolazione. Delle regioni che erano state precedentemente polacche o cecoslovacche furono aggiunte all'Ucraina sovietica.
Nonostante la dittatura di Stalin e dei suoi successori, i popoli dell'Unione Sovietica vissero insieme fino al 1991. Non furono loro a volersi separare, ma i capi della burocrazia a Mosca, Minsk e Kiev, che esacerbavano e talvolta suscitavano i sentimenti nazionalisti. Questi capi volevano proclamare l'indipendenza della "loro" repubblica e farne il loro feudo. Si crearono confini che tagliavano legami essenziali per la vita economica e separarono delle famiglie. La popolazione subì un terribile collasso economico con il saccheggio dell'economia da parte di diverse cricche, alternativamente o contemporaneamente filorusse o filoccidentali.
L'Ucraina è diventata ancora una volta un'arena sanguinosa di rivalità tra i governanti imperialisti e russi. La via d'uscita, in Ucraina come altrove, è ancora quella che Lenin e i bolscevichi difesero strenuamente un secolo fa. Può essere solo quella dell'internazionalismo e della lotta contro lo sciovinismo, quella dell'alleanza fraterna dei popoli che non hanno nulla da opporre l'uno all'altro, anzi. I lavoratori hanno gli stessi interessi da difendere in comune, contro gli stessi nemici che sono i loro sfruttatori, a cominciare da quelli del loro stesso paese.
Oggi, come ieri, dobbiamo ripetere: Proletari di tutti i paesi, uniamoci! No alla guerra tra lavoratori, sì alla guerra contro i loro oppressori!
LO - 4 marzo 2022
La politica criminale di Putin, capo della burocrazia russa, di fronte alla pressione imperialista
Il ministro degli Esteri francese Le Drian ha definito Putin un "guerrafondaio", l'Eliseo ha parlato della sua "paranoia", mentre Biden ha parlato del suo "desiderio d'impero". Ma la realtà è che la zona d'influenza della Russia è stata contestata e sempre più ridotta dagli anni 1990.
L'imperialismo, soprattutto il più potente, che è quello statunitense, esercita ai margini della Russia una pressione economica e militare che crea rivalità e ha già provocato diverse guerre. E anche se l'attuale conflitto in Ucraina potrebbe essere ben più grave, risulta nondimeno dalla stessa logica.
Dopo la dissoluzione dell'URSS decisa dai suoi stessi dirigenti nel 1991, le repubbliche ex-sovietiche hanno vissuto un decennio caotico. I circoli dirigenti erano sorti dalla burocrazia che aveva usurpato il potere ai tempi di Stalin, uno strato sociale parassitario di diversi milioni di membri presenti a tutti i livelli dell'apparato statale. Si avventarono su tutto ciò che nell'economia poteva essere molto proficuo a breve termine. Si appropriarono le aziende e banche più redditizie, usando metodi autoritari e mafiosi.
Fortuna per alcuni oligarchi, delusione per molti altri
La popolazione degli stati emersi da questa decadenza dell'URSS ha visto il suo tenore di vita crollare ad un ritmo vertiginoso. Ma l'arricchimento di alcuni uomini a capo dei nuovi poteri indipendenti, i cosiddetti oligarchi, fu altrettanto spettacolare. Questo decennio, che faceva pensare a un Far West in versione orientale, ha visto anche alcuni stati ex-sovietici come il Tagikistan cadere al livello dei paesi poveri, e gli altri al livello di paesi più o meno sviluppati ma comunque in via di regresso. Al vertice dell'apparato statale, gli uomini e i clan della burocrazia meglio posizionati per sfruttare la situazione a loro vantaggio se la cavarono brillantemente. Invece i meno fortunati, e soprattutto la grande massa di piccoli e medi burocrati che avevano goduto di una posizione dominante nella società sovietica, si trovarono declassati e umiliati.
È in questo contesto che Putin salì al potere nel gennaio 2000, nominato dal suo predecessore Eltsin. Questo ex ufficiale superiore del KGB, decise di dare una battuta d'arresto a questa evoluzione ristabilendo quella che lui chiamava "la verticale del potere". Per fermare le tendenze all'indipendenza che ora minacciavano la stessa Federazione Russa, lanciò una seconda guerra in Cecenia, ne rase al suolo la capitale, Grozny, e mise in riga le autorità locali. Installò nelle regioni governatori ai suoi ordini. Agli oligarchi si fece capire che anche loro avrebbero dovuto sottomettersi, condividere con il potere il controllo su alcuni settori strategici come l'energia, e reinvestire in Russia parte della loro fortuna che avevano portata all'estero. Gli oligarchi che pensarono di poter opporsi lo pagarono, alcuni con la vita, altri con anni di carcere e la confisca dei loro fondi. Molti emigrarono definitivamente e gli altri dovettero giurare fedeltà per potere continuare la loro attività.
In fondo se Putin è riuscito a ristabilire uno stato forte, è perché il regime autoritario che ha incarnato durante gli ultimi ventidue anni rispondeva agli interessi collettivi della sua base sociale, la parte della burocrazia che aveva perso quasi tutto con la scomparsa del vecchio stato. Putin è stato in grado di consolidare il suo potere permettendo ai clan al vertice dello stato di continuare a fare miliardi di profitti, purché accettassero la sua autorità. Ma l'ha fatto anche rendendo possibile a tutta la burocrazia, dal vertice alla base della gerarchia, di vivere delle sue prebende.
Questa politica è stata possibile grazie all'eredità dell'economia sovietica, all'immensa ricchezza della Russia. Le sue materie prime, gas e petrolio, hanno visto i loro prezzi esplodere negli anni 2000. C'erano anche legami con le altre repubbliche ex-sovietiche che risalivano all'epoca precedente, quella dell'economia pianificata dell'URSS.
Ritorno dello stato forte
A partire dagli anni '90, l'imperialismo ha cominciato ad avanzare in tutto lo spazio ex-sovietico. Se il capitalismo non è stato in grado di assimilare l'economia costruita nell'era sovietica, era pronto a sfruttare ciò che lo poteva interessare, cioè i mercati per esportare capitali, le materie prime, e la manodopera qualificata a basso costo.
Una rivalità è apparsa immediatamente tra la Russia di Putin, che cercava di ricostruire relazioni con le ex repubbliche sovietiche preservando i necessari legami economici storici, e l'imperialismo che cercava di attirarle a spese della Russia. Come simbolo di questa politica espansionistica, la NATO, invece di dissolversi come alcuni leader statunitensi promisero a Gorbaciov nel 1990, circondò la Russia con basi militari negli stati baltici, in Romania e in Polonia.
La questione delle relazioni con l'Ucraina, che ha portato alla crisi del 2014 e infine alla guerra attuale, dopo altri conflitti in Georgia, Moldavia, Armenia, illustra questa rivalità. Nel 2014, l'Unione Europea ha infatti offerto all'Ucraina un accordo di associazione, con una zona di libero scambio, misure di cooperazione in campo energetico, nucleare, ecc., a condizione che l'Ucraina rifiutasse la collaborazione proposto nello stesso periodo dalla Russia.
Ovviamente, gli stati imperialisti, a cominciare dagli USA, hanno visto favorevolmente la fine dell'URSS. I dirigenti russi, di cui Putin ammette che erano pronti a collaborare, hanno capito che l'imperialismo voleva una Russia in ginocchio, soggetta alla sua volontà e ridotta alla potenza minima. La burocrazia e il suo dirigente non lo possono accettare. Inoltre, con la crisi dell'economia capitalista, la pressione imperialista sta aumentando in tutto il mondo, e l'Europa orientale non fa eccezione.
Putin, rappresentante dell'oligarchia e di tutta la burocrazia russa, è chiaramente un nemico dei lavoratori, alla pari dei governanti imperialisti. È il nemico di quelli del suo stesso paese e di quelli dell'Ucraina, dove oggi sta facendo la guerra. Per tutti questi motivi, la situazione attuale non è certo dovuta alla sua sola personalità, ma risulta dalla guerra economica che regna sul pianeta. Finché regna il capitalismo questa guerra non può che trasformarsi, ad un certo momento, in una guerra vera e propria.
LO - 4 marzo 2022
Gli oligarchi ucraini, il loro regime e l'Occidente
L'Ucraina è stata a lungo in cima alla lista dei regimi più corrotti del mondo, anche se, da quando le potenze occidentali hanno apertamente avanzato le loro pedine contro la Russia, la loro stampa è rimasta discreta su questo aspetto. Non si ricorda nemmeno che il capo di stato ucraino, Volodymyr Zelensky, un attore e soprattutto un imprenditore dello spettacolo che possiede società in paradisi fiscali, è stato eletto presidente nel 2019 con il sostegno finanziario di uno dei principali oligarchi del paese, Igor Kolomoysky.
Lanciato in politica da uno dei padrini del mondo degli affari, e della mafia secondo la giustizia di vari paesi, Zelensky è simile agli altri dirigenti dell'Ucraina degli ultimi trent'anni. E questo anche se nella loro battaglia con la Russia di Putin gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, ecc., lo hanno trasformato in un nuovo Davide che affronta il Golia russo e lo presentano come un combattente per la libertà.
Imperativi contraddittori
Da quando l'Unione Sovietica si è sciolta alla fine del 1991, i dirigenti dell’Ucraina hanno costantemente navigato tra imperativi contraddittori. I legami sono stati rotti con il resto dell'ex URSS, e prima con la Russia. Ma l'economia ucraina - un'eredità dell'economia sovietica costruita e funzionante nel suo insieme per più di settant'anni - non poteva fare a meno dei fornitori e degli sbocchi in Russia. I dirigenti e gli uomini d'affari ucraini potevano giurare che volevano un'economia guidata dalla ricerca del profitto capitalista, ma questo non cambiava la realtà.
Non da ultimo, gli stati imperialisti hanno rifiutato di aprire i loro mercati anche solo a qualche prodotto industriale ucraino che potesse essere esportato. E i loro capitalisti non si sono affrettati a "investire" in Ucraina, se non per accaparrarsi tutto quello che potevano. Potendo solo sperare di ricavarne alcune briciole, i burocrati-affaristi locali dovettero arrangiarsi, proprio come i loro simili in Russia che si confrontavano con la stessa realtà del mondo capitalista.
Tra coloro che si erano accaparrati qualche azienda durante la privatizzazione, solo i più fortunati hanno potuto diventare veri magnati dell'economia. Questi oligarchi hanno cercato di proteggere i legami e i rapporti con le loro controparti russe. È stato il caso anche durante i numerosi e talvolta repentini cambiamenti alla testa dello Stato.
Con le convulsioni politiche che hanno scosso il paese - nel 2004 con la "rivoluzione arancione", nel 2014 con i cosiddetti eventi di Maïdan - il potere ucraino, già sottoposto a pressioni da tutte le parti, è diventato ancora più debole. Nelle province, le autorità, nelle mani di oligarchi che talvolta mantenevano gruppi paramilitari, riconoscevano solo formalmente l'autorità di Kiev. Al livello centrale, anche i politici più attratti dall'Occidente continuarono a giocare su entrambi i lati della barricata, come la prima ministra Yulia Tymoshenko nel 2004, che aveva fatto fortuna nel traffico di gas su larga scala con la Russia, e Poroshenko, un uomo d'affari con una forte presenza in Russia, che fu portato al potere nel 2014 da una sorta di colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti. Volevano salvaguardare le relazioni con Mosca mentre facevano aperture politiche all'Occidente. Non ebbero molto successo: le richieste di adesione dell'Ucraina all'Unione europea non soddisfatte risalgono almeno al 2004, e non al conflitto attuale.
Naturalmente, negli ultimi trent'anni, attraverso le presidenze Kravciuk, poi Kuscma, Yushshenko, Yanukovisc, Poroscenko e ora Zelenski, l'equilibrio tra questi due poli di attrazione della politica ucraina al vertice ha subito oscillazioni. Negli ultimi anni, è stato a scapito di Mosca, poiché la pressione occidentale è aumentata con la fornitura di armi moderne e consiglieri militari, così come un crescente "aiuto finanziario", che ha reso Kiev un suddito dell'Occidente. Infatti, l'Ucraina è permanentemente sull'orlo della bancarotta. Questo è il risultato della decadenza e della corruzione dell'apparato statale e del saccheggio delle risorse locali da parte di burocrati, oligarchi e grandi gruppi occidentali. Vi si aggiunge l'aggravarsi della crisi globale per stringere il paese in una morsa e fare sprofondare la popolazione nella miseria.
Militarizzazione e veleno nazionalista
Se la guerra di Putin ha spinto masse di ucraini a scappare, altri milioni avevano già lasciato il paese da anni per cercare di vivere all'estero, in particolare in Polonia, anche se i mass media occidentali non ne parlano, preferendo mostrare ragazzine nella metropolitana di Kiev alle quali le madri chiedono in russo di cantare l'inno nazionale in ucraino o altre persone che si entusiasmano per la patria ucraina.
Se Putin non riesce rapidamente a mettere in ginocchio il governo ucraino, gli avrà reso un grande servizio: i suoi bombardamenti, il suo cinismo e il suo disprezzo per la vita, compresa quella dei russofoni che ha affermato di voler "salvare dal genocidio", avranno - si spera solo per un breve periodo - unito la popolazione ucraina dietro i "loro" dirigenti come mai prima. E questo nonostante tutto ciò che hanno sofferto e soffrono ancora e una situazione in cui sono periodicamente chiamati a sostenere un nuovo personaggio arrivato alla testa del potere -ogni volta che il suo predecessore troppo screditato raccoglie l'unica cosa che non ha rubato: il suo licenziamento dai posti dirigenti.
Il governo di Kiev vorrebbe far dimenticare tutto questo cogliendo l'opportunità offerta dall'intervento militare di Putin. Ha potuto così dichiarare una mobilitazione generale, fare arrestare i recalcitranti per strada o nelle loro case e organizzare, stando alle autorità, fino a un milione di uomini e donne in gruppi di difesa territoriale. Anche se le loro possibilità di fare fronte all'esercito di Putin saranno ben limitate, non conta per Zelensky, Biden e Macron. La loro esistenza così come la loro morte contribuiscono a saldare insieme in una sacra unione sul terreno del nazionalismo i poveri e i ricchi, i lavoratori e coloro che li sfruttano, quello che gli oppressori chiamano il popolo dietro coloro che lo fanno marciare.
LO – 4 marzo 2022
Ultra-nazionalismo, neonazismo e antisemitismo
Dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia e la secessione delle repubbliche russofone del Donbass nel 2014, per Kiev è stato difficile mobilitare la sua popolazione nella cosiddetta "difesa della patria". Per inviare soldati nel Donbass ha faticato a trovare volontari. Sono rimasti gruppi paramilitari di estrema destra, come il Battaglione Azov, e attivisti ultranazionalisti e fascisti dell'OUN-UPA.
Si tratta di un movimento che è riapparso alla luce del sole durante l'ultimo decennio, pur rimanendo marginale. Tuttavia i governi qualunque siano, hanno sempre promosso il nazionalismo ucraino.
La prima misura è stata di togliere al russo, lingua parlata dalla maggioranza degli ucraini, la qualità di lingua ufficiale, facendo dell'ucraino la lingua di stato e fornendo ai separatisti del Donbass un motivo di scissione. Dal 2007 si svolge ogni anno una Marcia dell'Onore, della Dignità e della Libertà, con la benedizione delle autorità civili e religiose. Si è scelto il giorno del compleanno di Stepan Bandera, che fu un sostenitore ucraino dei nazisti anche prima che Hitler andasse al potere. Nel 2010 il presidente ucraino, il filo-americano Yushshenko, ha persino conferito a Bandera il titolo ufficiale di Eroe dell'Ucraina.
Questo "eroe" aveva creato la Legione Ucraina già nel 1939. Nei territori polacchi occupati dall'esercito tedesco, organizzò il massacro degli ebrei di Leopoli e di 50.000-100.000 polacchi in Volinia. Poi, nel 1941, trasformò questa legione nell'Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) per combattere i sovietici a fianco delle forze hitleriane, sterminando in massa ebrei, rom, russi, polacchi e comunisti, dai quali Bandera e i suoi seguaci volevano "pulire" il paese.
Quando volle proclamare uno stato ucraino indipendente, Bandera fu imprigionato dai nazisti. Dopo la fine della guerra, i suoi sostenitori proseguirono per anni una lotta contro il regime stalinista nell'Ucraina occidentale. Tutto questo spiega perché i dirigenti occidentali preferiscono ignorare questi aspetti del nazionalismo ucraino come arma contro la Russia, anche se alcuni dei loro diplomatici o ufficiali militari appaiono alle cerimonie accanto ai banderisti odierni.
LO – 4 marzo 2022
La Nato, braccio armato degli Stati Uniti
I discorsi che presentano la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) come il difensore della pace in Europa sono menzogne. Dalla sua nascita, questa alleanza militare ha avuto un solo obiettivo: essere il braccio armato dell'imperialismo statunitense.
Creata nel 1949, al culmine della guerra fredda, la NATO era diretta contro l'Unione Sovietica e comprendeva, accanto agli Stati Uniti, gli alleati dell'Europa occidentale, il Canada, a cui si aggiunsero dal 1952 la Grecia e la Turchia. Alcune o tutte le forze armate degli stati membri furono poste sotto un unico comando militare, guidato da un generale americano, mentre gli Stati Uniti schieravano migliaia di soldati in Europa.
In risposta, l'URSS organizzò nel 1955 il proprio sistema di alleanze militari, il Patto di Varsavia, con i paesi dell'Europa orientale sotto il suo controllo. Il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991 ha portato alla scomparsa del blocco orientale, ma non della NATO, che invece si è ancora estesa. Nel 1997, vi furono integrate la Polonia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria. Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia seguirono nel 2004, così come Estonia, Lettonia e Lituania, i tre stati baltici che facevano parte dell'URSS. L'Albania e la Croazia vi aderirono nel 2009.
Approfittando dell'indebolimento della Russia nei primi anni 2000, la NATO ha anche installato basi militari in tre ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan. Con una politica di pressioni, ricatti e coercizione diretta per ristabilire l'autorità dello stato russo nel suo "vicino estero", Putin ha ottenuto dai governi di queste repubbliche di porre fine alla presenza militare statunitense. In Ucraina, il confronto ha portato alla guerra attuale.
La NATO non è un'alleanza simbolica: ha al suo attivo una campagna di bombardamenti aerei contro la Serbia nel 1999, un intervento in Afghanistan dal 2003 e in Libia nel 2011... Sostenere che la NATO sta lì per garantire la pace è una bugia. La sua missione è quella di mantenere l'ordine imperialista, e in particolare il dominio dell'imperialismo statunitense nel mondo. Per fare questo, questa alleanza militare deve costantemente prepararsi alla guerra, e talvolta farla.
LO – 4 marzo 2022