90 anni fa: Ottobre 1935, il colonialismo italiano all'assalto dell'Etiopia

Il 10 maggio 1936, la Gazzetta del Popolo annunciava con orgoglio in prima pagina: "L’Impero riappare sui colli fatali di Roma", dopo la conquista dell'Etiopia ormai chiamata Africa Orientale. Mussolini affermava allora che "l'impero fascista è un impero di pace" e Badoglio, lo stesso che alla fine della seconda guerra mondiale sarebbe diventato il capo di un cosiddetto governo antifascista, era nominato viceré di questo impero.

L'invasione dell'Etiopia da parte delle truppe italiane, armate fino ai denti, era iniziata alcuni mesi prima, nell'ottobre 1935. Come tutte le guerre coloniali, fu caratterizzata dalla barbarie e dal terrore inflitti alle popolazioni civili che dovevano essere sottomesse.

Le intenzioni di Mussolini nei confronti dell'Etiopia erano già chiare durante l'incontro dell'aprile 1935 a Stresa, sulle rive del Lago Maggiore, che riunì i rappresentanti dei governi francese, inglese e italiano. Ufficialmente, l'Etiopia non era all'ordine del giorno e il ministro degli Affari esteri francese, Laval, dichiarò: "Mussolini ha messo il suo prestigio al servizio dell'Europa e ha dato un contributo indispensabile al mantenimento della pace". L'imperialismo italiano ottenne quindi dai governi inglese e francese l'autorizzazione a occupare l'Etiopia, in cambio del suo impegno a schierarsi dalla loro parte per mantenere la stabilità dei confini tracciati in Europa e, in particolare, contenere le mire espansionistiche dell'imperialismo tedesco.

Questa evidente complicità fu descritta da uno storico in questi termini: "L'imperatore d'Etiopia, Hailé Selassié, di fronte alla politica sempre più aggressiva dell'Italia [...] fece appello alla Società delle Nazioni, ma non ottenne granché, nonostante il suo Paese fosse membro dell'Assemblea. Nessuna potenza prese in considerazione l'ipotesi di un intervento armato per difendere l'Etiopia". Nulla opponeva realmente il campo delle virtuose potenze democratiche a quello della dittatura fascista.

La politica imperialista di Mussolini

Al potere dal 1922, Mussolini preparava l'invasione dell'Etiopia dal 1932. I grandi gruppi capitalisti facevano pressione per orientare il bilancio dello Stato verso la produzione industriale, sostenendo artificialmente la domanda. Le spese militari e la politica del governo fascista rispondevano pienamente a questo obiettivo, come descrive uno storico dell'economia italiana: "I nuovi sacrifici imposti ai contribuenti e ai consumatori (con la raccolta di oggetti in oro, l'aumento dei prezzi e delle tasse e l'emissione di nuovi buoni del Tesoro) permisero al governo fascista di investire ingenti riserve nella guerra e di aumentare al massimo gli ordinativi dello Stato".

Per Mussolini, l'invasione dell'Etiopia aveva anche un'utilità propagandistica. Dopo aver schiacciato le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio, presentando il fascismo come una specie di "socialismo nazionale", vedeva la sua demagogia sociale annientata dagli effetti drammatici della crisi economica. La disoccupazione era in aumento e i salari degli operai di fabbrica erano diminuiti dal 40 al 50%, e persino dal 50 al 60% per i braccianti agricoli. In altre parole, la pretesa di Mussolini di imporre le regole del corporativismo sociale all'economia capitalista era smentita dai fatti. Una nuova grande avventura coloniale sembrava un diversivo ideale e la macchina della propaganda fu messa in moto insieme all'apparato militare, rivendicando un "posto al sole" per la "nazione proletaria" come l'Italia veniva chiamata.

La barbarie imperialista

La guerra contro l'Etiopia durò ufficialmente sette mesi. Nel maggio 1936 fu proclamato l'Impero con il nome di Africa Orientale Italiana e il re d'Italia divenne anche imperatore. In realtà, l'Etiopia non fu mai completamente conquistata. La popolazione fu repressa con una ferocia che non aveva nulla da invidiare né a quella delle altre potenze coloniali né a quella di cui la Germania di Hitler avrebbe dato l'esempio durante la seconda guerra mondiale.

L'uso di gas asfissianti come l'iprite fu generalizzato, con l'aviazione italiana che li sganciava indifferentemente sulla popolazione dei villaggi e sulle truppe. Le contrapposizioni religiose furono ampiamente utilizzate, con lo stato maggiore italiano che a volte cercava il sostegno dei musulmani, scatenando le truppe libiche (gli Ascari) contro gli etiopi, in maggioranza cristiani copti.

Il governo fascista e il suo esercito si resero responsabili di numerosi episodi criminali, tra cui il linciaggio di massa ad Addis Abeba nel 1937, in seguito all'attentato contro il generale Graziani, succeduto a Badoglio come viceré d'Etiopia, da parte dei nazionalisti eritrei. Il generale rimase solo leggermente ferito, ma in città si scatenò l'inferno. Quel massacro causò migliaia di vittime civili, di ogni età e sesso. Un giornalista presente all'epoca nella capitale etiope, Ciro Poggiali, annotò nel suo diario segreto: "Tutti i civili italiani che si trovavano ad Addis Abeba hanno preso parte alla vendetta, condotta con attacchi fulminei, nel più puro stile delle bande fasciste. Queste bande di civili vanno in giro armate di mazze e spranghe di ferro e prendono di mira tutti gli indigeni che incontrano. [...] Vedo un autista che, dopo aver ucciso un vecchio nero con un colpo di mazza, gli trafigge la testa con una baionetta. Inutile dire che il massacro colpisce persone completamente innocenti".

Crimini e criminali impuniti

La rapida liquidazione dell'Africa Orientale Italiana, durante la prima fase della guerra mondiale, sottolineò, se ce ne fosse bisogno, la debolezza delle forze e dell'organizzazione dell'imperialismo italiano di fronte ai suoi diretti concorrenti, in particolare alla Gran Bretagna. Ma il fatto che il colonialismo italiano fosse un colonialismo “straccione” non lo rendeva né migliore né più umano degli altri.

Il mito degli "italiani, brava gente", ovvero meno crudeli dei soldati degli altri imperialismi, fu abilmente elaborato e diffuso dopo la seconda guerra mondiale. Esso resistette tanto più che gli archivi delle colonie italiane rimasero a lungo monopolio degli ambienti militari che avevano incoraggiato o ordinato i massacri e imposto le rappresaglie più feroci.

La rottura tra monarchia e fascismo, dopo l'8 settembre 1943, l'allineamento di gran parte dei vertici militari dietro la Casa Reale, l'adesione di quest'ultima alle forze alleate favorirono una ricostruzione storica completamente mendace nel tentativo di salvare l'onore dell'esercito italiano.

Molti massacratori e criminali dell'esercito italiano degli anni Trenta divennero poi alleati del fronte anglo-americano contro la Germania e le forze politiche poterono coprire con un velo pudico le atrocità del colonialismo italiano. Ciò non toglie che siano un fatto.

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