Una mobilitazione vasta e agguerrita per gli interessi dei lavoratori!

Qualcuno forse ricorderà che qualche anno addietro era di gran moda parlare di “ruolo sociale dell’impresa” o ancora di “responsabilità sociale delle imprese”. L’Unione Europea, in una sua comunicazione del 2011 scriveva della “responsabilità sociale delle imprese per l’impatto che hanno sulla società”. Nella convinzione di chi sosteneva e sostiene questo punto di vista, il capitalismo europeo si distingueva da quello assetato di solo profitto, scatenato e senza briglie, di derivazione americana, per il fatto, appunto, che teneva di conto, “responsabilmente”, dei lavoratori, dei fornitori, dell’ambiente in cui operava, del benessere che poteva generare nell’insieme della popolazione.

Se non fossero bastati i tanti casi in cui gli imprenditori hanno semplicemente chiuso degli impianti per ristrutturare un gruppo industriale, magari anche spostando altrove determinate produzioni (il caso recente della Beko), oppure quelli in cui un grande fondo finanziario, proprietario di un’impresa decide semplicemente di disfarsene perché ha trovato fonti più redditizie di guadagno (il caso della GKN), ci sono state le parole del presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, intervenuto all’assemblea degli industriali dell’acciaio a Dalmine, in provincia di Bergamo lo scorso 10 novembre a ristabilire come stanno le cose. Se non verranno approvati adeguati stanziamenti per l’industria, ha detto, “noi imprenditori ci alziamo, prendiamo la valigetta e andiamo da un’altra parte, se le condizioni sono più favorevoli”.

L’intervento era in gran parte incentrato sulla legge di Bilancio, per la quale, comunque, non sono mancati gli apprezzamenti. Ma, al di là dell’occasione, il discorso di Orsini rende chiaro, da una parte quanto sia illusorio pensare di ammaestrare il capitalismo con qualsiasi regola “etica” e dall’altro come, non solo il governo Meloni, ma lo Stato sia un apparato interamente al servizio della grande borghesia e del capitalismo come sistema.

Per il resto, la legge di Bilancio non contiene niente di quella equità sociale che era stata promessa, mentre rinnova le varie regalie agli imprenditori, sotto la forma di sostegno alla competitività, agli investimenti, ecc. Il fatto che il ministro Giorgetti sia riuscito a confezionare questa legge in modo da fare uscire l’Italia dalla procedura d’infrazione della Commissione europea, per i paesi con un disavanzo della spesa pubblica superiore al 3% del Pil, renderà forse più “attrattivo” acquistare i Buoni del Tesoro italiani e offrirà un’immagine di “stabilità” e di “sicurezza” per l’universo delle banche e dei fondi finanziari. In ogni caso, dovrebbe offrire qualche margine in più al governo Meloni per esercitare un po’ di demagogia economica e clientelare con l’approssimarsi delle elezioni politiche previste per il 2027.

Nel frattempo, nella società, la crisi colpisce i lavoratori e i più poveri. I maggiori centri di analisi sociale e di statistica sono d’accordo nel descrivere un’Italia in cui il 10,3% delle famiglie è in povertà assoluta e dove i salari hanno diminuito il loro potere d’acquisto di quasi il 9% negli ultimi cinque anni.

La polarizzazione della ricchezza si può riassumere in due dati: il 10% più ricco della popolazione possiede il 60% della ricchezza nazionale mentre il 50% più povero ne possiede appena il 7,4.

La Cgil ha indetto, per il 12 dicembre, uno sciopero generale nazionale in difesa dei salari e per finanziare un piano di riforme sociali, attraverso un contributo “di solidarietà” imposto a quell’1% della popolazione che possiede patrimoni superiori ai due milioni di euro. Se ne ricaverebbero 26 miliardi all’anno, da indirizzare verso il sistema sanitario, l’edilizia popolare e il sostegno ai non autosufficienti. Ma nemmeno questo contributo irrisorio è tollerato dal fronte dei sostenitori delle classi possidenti. A strillare contro il provvedimento “comunista” non sono solo i partiti di governo ma anche molti giornali a grande tiratura. La Meloni ha postato su X: “Con la destra al governo non ci sarà mai nessuna patrimoniale!” .

È chiaro che in una situazione del genere ci vorrebbero obiettivi mirati in primo luogo a un sostanzioso spostamento della ricchezza dalla massa dei profitti e delle rendite a quella dei salari.

Ma occorrerebbe intraprendere la via di una lotta decisa e articolata, secondo un piano di scioperi che soprattutto colpiscano i padroni al portafoglio.

Da questo punto di vista, sia gli obiettivi dello sciopero del 12, sia la scelta della Cgil di non confluire in un’unica data con il sindacalismo di base, che aveva già proclamato lo sciopero nazionale per il 28 novembre, non sono un buon segnale. C’è solo da sperare che la mobilitazione dei lavoratori, in tutti e due i casi, costituisca la premessa per un movimento più vasto, che imponga l’unità e che punti su obiettivi all’altezza delle emergenze che stanno vivendo le famiglie della classe lavoratrice.