I politici e gli intellettuali europei, con gli italiani in prima fila, hanno scoperto che per assicurarsi la pace bisogna essere in grado di difendersi. Da qui la necessità di accelerare il riarmo europeo, anche tenuto conto del nuovo corso della politica estera americana.
Nel quadro internazionale tutto è in movimento e tutto appare incerto. I dazi di Trump, il suo dialogo con Putin, le insolenze contro Zelensky e la minaccia di abbandonare l’Ucraina al suo destino. Alleanze, partnership, ostilità, prendono contorni diversi.
Il piano da 800 miliardi di euro presentato dalla von der Leyen, ReArm Europe, è basato sul presupposto di una minaccia permanente della Russia nei confronti dei paesi dell’Europa occidentale. Ma se questa è la cornice ideologica, l’effetto pratico è quello di favorire il business delle industrie delle armi. E non è nemmeno necessario che si tratti di difendersi dalle zampe del famelico “Orso russo”. Di recente, il governo danese ha acquistato una partita di qualche centinaio di missili antiaerei dal ramo francese della società MBDA. L’acquisto non è stato messo in relazione alla dichiarata volontà di Trump di annettersi la Groenlandia, che è un territorio della Danimarca, ma non è difficile immaginare che la pressione esercitata dalla superpotenza abbia, per così dire, sveltito le pratiche di acquisto.
La cosa sicura, nel marasma delle dichiarazioni e controdichiarazioni diplomatiche è che ogni Stato aumenta le spese militari. È un processo in corso da vari anni, ma che ora ha ricevuto una spinta straordinaria. Dal punto di vista delle imprese coinvolte, tutto questo è una manna dal cielo. L’Espresso del 12 marzo scorso scrive che la Rheinmetall tedesca ha aumentato il fatturato del 50% per quanto riguarda la produzione bellica con una crescita degli utili del 61%. La guerra in Ucraina è stata il traino principale dichiara l’amministratore delegato e prosegue: “In Europa è iniziata un’era di riarmo, che richiederà molto a tutti noi. Per noi di Rheinmetall questo significa anche prospettive di crescita nei prossimi anni mai sperimentate prima”. L’inglese Economist dello scorso 22 marzo scrive che gli ordinativi delle prime dieci imprese europee del settore militare sono volati da 222 miliardi di dollari nel 2021 a 362 nel 2024.
Il lato finanziario della faccenda sembra ancora più solido. Il piano di riarmo fornisce una forte garanzia di future commesse alle imprese del settore militare e quindi un approdo ancor più sicuro per i flussi di denaro maneggiati dai vari fondi d’investimento. Del resto, il clima guerresco ha già contribuito ad alzare il prezzo dei titoli della Rheinmetall del 92% da inizio anno e di Leonardo del 73%.
Come ci raccontano la “Difesa europea” i suoi sostenitori? Come un processo tutto “giocato in casa” che implicherà forse qualche sacrificio economico ma che, intanto, favorendo lo sviluppo di competenze tecnologiche e industriali, avrà un ricaduta positiva su tutta la società, su tutti i paesi europei. Ma, tanto per dare la giusta proporzione alle “ricadute positive”, bisogna ricordare che, come scriveva Draghi nel suo rapporto dello scorso anno, il 63% dei sistemi d’arma acquistati negli ultimi anni dai paesi dell’Unione europea erano americani, e il 15% di fornitori extraeuropei. Inoltre restano le necessità tecniche ed economiche della produzione, che per le aziende significano almeno due cose: la prima è assicurarsi grandi volumi di produzione per poter garantire il migliore utilizzo degli impianti e quindi il contenimento dei costi; la seconda è assicurarsi le materie prime. Tutte e due queste esigenze portano fuori dai tranquilli confini dell’Unione europea e propongono gli stessi problemi, sia pure in scala ridotta, che si propongono a Trump. I grandi quantitativi di produzione significano esportazione. Si esportano armi là dove c’è più domanda, cioè dove ci sono guerre in corso o dove si stanno preparando. E, per quanto riguarda le materie prime, con particolare riferimento ai “minerali critici”, indispensabili per le componenti elettroniche, il grosso di queste non è in Europa e quindi si pongono gli stessi problemi che Trump cerca di risolvere con la minaccia di annessioni e boicottaggi (Ucraina, Canada, Cina…). Non esiste un modo “pulito” e “pacifico” per seguire la via del riarmo. La “Difesa” può diventare in ogni momento aggressione, ma si troveranno dotti commentatori che ci spiegheranno che sottomettere un altro paese e appropriarsi delle sue ricchezze è in realtà un atto di “liberazione” di quello stesso paese.