Darsi i mezzi per cambiare il futuro

L’anno appena trascorso ha visto la trasformazione della guerra tra Israele e Hamas in una più ampia guerra mediorientale. Combattuta in Libano, Siria, Yemen, questa guerra vede anche la partecipazione sia dell’Iran che della Turchia. Le zone di instabilità si sono estese. Georgia, Kossovo, Moldavia, la stessa Romania e la Slovacchia, partendo da situazioni diverse, sono comunque attraversate da crisi politiche o costituiscono fattori di crisi collegati al destino della Russia nei rapporti tra potenze. L’evolversi del conflitto russo-ucraino nel 2024 è stato caratterizzato da un lento avanzamento delle truppe russe, costato centinaia di migliaia di morti.

La fragile intelaiatura dell’equilibrio mondiale continua a perdere pezzi, annunciando nuove crisi e nuove guerre e mettendo in forse le più tradizionali alleanze.

In Italia, il governo Meloni ha giocato tutte le sue carte, fino ad oggi, sul ruolo di fedele pedina degli Stati Uniti in Europa, ma l’elezione di Trump sembra annunciare una musica diversa da quella suonata dall’amministrazione Biden. I partiti di governo riusciranno ad uniformarsi al nuovo spartito di Wasington? Non solo la guerra in Ucraina e la quota di reddito nazionale da destinare alla Nato, ma soprattutto la questione dei dazi porranno nuovi problemi all’atlantismo italiano.

A parte le cifre sbandierate che certificherebbero i successi di Meloni e soci sul piano economico, la realtà sociale parla con i fatti. Siamo di fronte a una profonda crisi dell’industria che porta con sé la chiusura di impianti produttivi e un’ondata di licenziamenti che è solo agli inizi.

Il numero dei lavoratori poveri è in aumento. Rappresentavano il 14,7% del totale nel 2023 e hanno raggiunto il 16,5% nel 2024. Sono cifre che prendiamo dal rapporto anuale della Caritas.

Nel frattempo, i vari intellettuali ed economisti, alle dipendenze del capitale, continuano ad alimentare il ritornello del costo “ormai insostenibile” della sanità pubblica e del sistema pensionistico, spingendo per nuove “riforme” che puntano a riempire ancora di più le casseforti delle grandi imprese di assicurazioni e lasciare nella povertà e nella mancanza di cure la massa dei lavoratori e dei pensionati.

Negli ultimi anni, il capitalismo italiano ha rafforzato la sua componente finanziaria e parassitaria. I miliardari, calcolati in dollari, sono passati da 67 a 74 in due anni. Per il tasso di crescita dei patrimoni, l’Italia è al quarto posto nel mondo. Questo solo nucleo di super-ricchi rappresenta una massa di ricchezza di 11,46 miliardi di euro. I borghesi che detengono un patrimonio superiore al milione, vale a dire meno dell’1% della popolazione, cioè 457mila persone, nel 2023 possedevano una ricchezza finanziaria di 6200 miliardi, ovvero l’11,4% di quella europea.

Non è vero che i soldi non ci sono, è vero che nessun governo vuole prenderli dove sono. L’Italia “povera” dove tutti bisogna fare dei sacrifici, è un’invenzione della propaganda al servizio delle classi possidenti. In realtà, la crisi riguarda le famiglie dei lavoratori e dei ceti popolari mentre si continuano ad accumulare enormi ricchezze nel settore più ricco della società.

Nessun “automatismo” nei meccanismi di funzionamento del capitalismo può cambiare le cose. Può farlo solo una lotta accanita e generalizzata della classe lavoratrice.

Se volgiamo lo sguardo al mondo, vediamo che, mentre nel 2024 le guerre hanno coinvolto un numero maggiore di popoli, le maggiori potenze, non ultima l’Italia, continuano ad armarsi e a “civettare” con la guerra.

Le classi dirigenti, gli Stati, i governi, sempre solerti servitori del proprio capitalismo, della propria borghesia, nella guerra economica contro tutti gli altri, sono pronti a mandare al massacro i “propri” giovani e tutta la “propria” popolazione. La vita umana per questa gente non vale niente.

Ma il futuro non è scolpito nella pietra. Le guerre, la miseria, la precarietà sono un prodotto del capitalismo; bisogna allora che l’umanità esca dalla prigione dei rapporti capitalistici. Bisogna che, cominciando dai giovani e dai lavoratori più consapevoli, più riflessivi, più sensibili, venga ripreso il cammino indicato dai grandi movimenti rivoluzionari, socialisti e comunisti, del passato, studiandone gli insegnamenti e organizzandosi sulla loro base, fino alla costituzione di un partito proletario, internazionalista e comunista che dia voce agli interessi della classe lavoratrice, elaborandone il programma e rappresentandone il centro organizzativo.

Opporsi alla guerra, alla povertà, all’ingiustizia sociale significa lottare contro un assetto sociale che sta conducendo l’umanità verso il baratro di una nuova guerra mondiale.