Propaganda di guerra in salsa italiana

Pur non essendo direttamente implicate, almeno ufficialmente, con l’invio di proprie truppe in Ucraina, le potenze europee hanno allestito da tempo un apparato propagandistico che ha arruolato intellettuali e giornalisti, oltre che partiti e associazioni.

Dall’inizio della guerra, il concetto di propaganda viene continuamente utilizzato in senso dispregiativo per definire la versione russa dei fatti. È dato quasi per scontato che i comunicati del governo Zelensky rappresentino la verità, mentre quelli di Putin, di Peskov o della Zakharova siano una sfilza di menzogne.

Un esempio recente della propaganda di marca italiana lo ha fornito con un suo articolo, Nathalie Tocci, che su La Stampa del 28 dicembre scorso tenta di prospettare quale possa essere l’esito di un negoziato tra Russia e Ucraina. La Tocci delinea quattro scenari di “pace” dei quali il primo assolutamente non desiderabile: il modello della Francia nella Seconda guerra mondiale, con la Russia nei panni della Germania di allora e l’Ucraina nei panni della Francia. Le regioni orientali resterebbero occupate dai russi, il resto del paese avrebbe uno statuto formalmente indipendente ma sarebbe sottomesso a un governo fantoccio “amico” di Putin. In questo caso, prosegue la Tocci, “le mire imperialiste di Putin non si sazierebbero con la resa dell’Ucraina. Il costo di questa “pace” sarebbe dunque esorbitante: una guerra estesa al resto dell’Europa orientale, che trascinerebbe nel conflitto l’intero continente.

Il secondo scenario secondo l’autrice sarebbe quello preferibile. Si tratta della “pace europea”, che ha come premessa la sconfitta della Russia e porterebbe ad una Ucraina “indipendente e democratica, integrata nell’Unione europea”. Per questo risultato occorrerebbe sostenere finanziariamente, politicamente e militarmente Kiev con un flusso di denaro senza limiti predefiniti. Ma, rassicura la Tocci, “non si tratterebbe di un costo enorme; anzi, sarebbe sicuramente abbordabile per una trentina dei paesi più ricchi del mondo. Perché “sicuramente abbordabile”? Perché sono “evidenti” le “vulnerabilità economiche e militari russe”. Una cosuccia da niente, insomma, tanto che “i cittadini europei e americani non avvertirebbero il minimo abbassamento del loro tenore di vita.

Però, ci spiega la Tocci, né l’America, né l’Europa hanno dimostrato determinazione e perseveranza nel seguire questa strada. Dunque una “pace europea” non è attualmente percorribile, per quanto a buon mercato. La Tocci, però, non ci fa la grazia di dirci quanti morti costerebbe ancora questa “pace europea” e non ci spiega nemmeno come le “mire imperialiste” di Putin potrebbero realizzarsi, dato che la Russia è così evidentemente “vulnerabile” sul piano economico e militare.

Senza seguire tutto il ragionamento di Nathalie Tocci, con le sue varianti, alla fine l’esito realistico che rappresenterebbe il male minore per l’Ucraina e per l’occidente sarebbe una “tregua sostenibile”, cioè il “modello coreano”, con gli eserciti europei a presidiare la lunga linea di confine tra l’Ucraina ridimensionata e i territori acquisiti dalla Russia. In questo caso, le spese militari in Europa crescerebbero fino al 3-4 per cento del Pil se non di più. Crescerebbero anche le spese, pagate con i budget pubblici, per la ricostruzione. Ma l’Europa dovrebbe decidersi a utilizzare il “tesoretto” dei 300 miliardi di fondi russi congelati.

Come si vede, il cinismo dei sostenitori del fronte anti-russo non è certo minore di quello di Putin e soci. Nei “costi” considerati dalla Tocci non c’è mai la vita delle decine di migliaia di giovani che, russi o ucraini, muoiono nelle trincee.

Se i morti vengono considerati - ma solo quelli russi - è per offrire una base concreta alla tesi della debolezza del regime russo. Un conteggio macabro ma anche sbagliato. Nell’articolo si parla di 1000 soldati russi che muoiono ogni giorno dall’inizio del 2024. Perdite superiori, si legge, a quelle dell’Armata rossa nella Seconda guerra mondiale. In realtà, con un calcolo che tutti possono fare, sulla base delle fonti ufficiali ucraine, l’insieme dei morti e feriti russi a metà novembre risultava di 719.240, che, diviso per i 996 giorni di guerra al momento della rilevazione, fa più o meno 720 e, ancora, applicandovi la percentuale di morti illustrata da Zelensky, fa, grosso modo, 187.

Un numero in ogni caso terrificante, perché si tratta di giovani che avrebbero avuto ancora tutta la vita davanti a loro. Falsificare coscientemente questo numero però, moltiplicandolo per più di cinque volte per sostenere la propria tesi, è dare prova di una profonda disonestà intellettuale, è, ancora una volta “fare propaganda”. Anche il riferimento alla Seconda guerra mondiale è sbagliato perché le perdite sovietiche furono ben maggiori, superando le 7000 giornaliere.

Tutto questo pasticciare con i numeri colpisce perché qui non si tratta di un cronista che si documenta frettolosamente per dare una parvenza di veridicità a quello che scrive. Qui si parla di un’intellettuale che è laureata a Oxford e scrive in un gran numero di giornali e riviste ed è soprattutto direttrice dell’Istituto affari internazionali, che è uno degli organismi che contribuiscono a orientare la politica estera italiana. Eppure sembra che non riesca a fare due conti elementari.

In Italia come in Russia gli intellettuali borghesi, obbedienti alla ragion di Stato, non hanno paura di compromettere il proprio prestigio accademico, utilizzando a piene mani la falsificazione dei fatti, quando si tratta di rendersi utile alla classe dominante.

R. Corsini