QUALE SICUREZZA?

Sei rimasto senza lavoro, vai in strada a manifestare, blocchi il traffico e resti lì? Rischi fino a quattro anni per resistenza passiva a pubblico ufficiale e quindici se ti difendi. Carceri sovraffollate, condizioni inumane, suicidi continui di reclusi e perfino di guardie? Semplice, per risolvere basta introdurre il delitto di rivolta penitenziaria, così si punisce anche la resistenza passiva a un ordine dell’agente di Polizia, che sia legittimo o no. Sfratto esecutivo, magari per morosità incolpevole? Se ti azzardi a occupare ancora la casa, puoi trovare alloggio in carcere da due a sette anni. E via così

Il disegno di legge cosiddetto "Sicurezza" n. 1660 approvato dalla Camera a fine settembre passa all'approvazione del Senato, dopodiché alla fine del suo iter parlamentare sarà legge, salvo eventuali eccezioni di incostituzionalità. C'è chi parla di leggi "fascistissime", riferendosi a quelle che nel 1926, dopo il delitto Matteotti, consacrarono il regime fascista. Non bisogna dimenticare però che il codice Rocco di procedura penale, approvato dal regime fascista nel 1930, vigeva in Italia - con qualche modifica - fino al 1989...Detto questo, il concetto di sicurezza espresso in questo disegno di legge non ha nulla a che fare con la "sicurezza " di un lavoro, di una casa, di una vita decente per sé e la propria famiglia, tutt'altro. Deve assicurare che, in assenza di tutte queste condizioni, reagire sia molto difficile, talora impossibile, e comunque passibile di sanzioni.

Data la natura delle norme contenute nel Ddl, l'incostituzionalità di alcune è anche probabile, ma è materia per giuristi. Del resto, considerato il contesto in cui nasce, l'impianto di tutto il disegno non stupisce; ancora di più del suo intento inquisitorio e repressivo, salta agli occhi il principio generale che ne è alla base: di fatto, si afferma e si codifica che esiste un mondo di bisogni, necessità e sofferenze che non si intende affrontare, e che si vuole respingere quanto più possibile fuori dal perimetro della società di chi può e di chi ha. E dato che il sistema economico sociale in cui è organizzata la società non è in grado né di riconoscere né di fronteggiare né di risolvere questi bisogni umani, si rende necessario, più spicciativo e meno dispendioso soffocarli con la forza, trasformando semplicemente questi bisogni in crimini a danno di chi è depositario di privilegi. In pratica, dovunque ci sia un problema o un disagio, la risposta è: reprimere il dissenso. Una caratteristica comune anche ad altri campi, basti dare un'occhiata al disastro della sanità: ore e ore di attesa nei pronto soccorso e liste di attesa infinite per una visita o un esame diagnostico, malati e parenti inferociti, sanitari aggrediti e stressati? Perché mai potenziare i servizi, basta introdurre le forze dell'ordine in ospedale, a reprimere i tumulti.

Che la nostra società sia divisa in classi, che esista una classe sfruttata e una classe sfruttatrice, che non sia mai stata abbandonata la volontà di reprimere le lotte sociali, non è una novità portata dal Governo Meloni. Ma la cifra di questo governo pone sicuramente l'accento sull'arroganza e la brutalità di un disegno politico che alla proclamazione di "Guai ai vinti!" aggiungerebbe volentieri l'uso abituale del manganello, e anche della pistola se necessario. E infatti, a "tutela" di polizia e forze armate si potrà essere incriminati anche solo per minime infrazioni, a insindacabile giudizio degli stessi agenti, che tra l'altro potranno detenere armi private, oltre a quelle di ordinanza, anche fuori dal servizio, senza licenza. Emendamenti della Lega al Ddl propongono anche pene fino a 25 anni di carcere a chi manifesta per impedire la realizzazione di un'opera pubblica, e non è necessario che la protesta sia violenta: basta che sia ritenuta tale (ma da chi?) o anche solo minacciosa; e qui ci si rivolge a chi non apprezza il ponte sullo Stretto o la Tav, ma anche alle manifestazioni contro i rigassificatori, come quello di Piombino. Un altro emendamento propone di considerare colpevoli di violenza privata nei confronti dei colleghi i lavoratori che partecipano ai picchetti di fronte alle fabbriche, anche se non esercitano nessun tipo di violenza fisica; qualche sentenza con questa motivazione è già stata emessa anche prima dell'approvazione del Ddl, ma certo questa impostazione ha lo scopo di legittimare ampiamente le condanne.

La particolare persecuzione della cosiddetta "resistenza passiva" è interessante, perché è tesa a impedire che una qualsiasi protesta la passi liscia, che sia avanzata menando le mani o meno. Altrettanto trattamento punitivo è riservato infatti agli immigrati extraeuropei reclusi nei centri di trattenimento: nonostante questi non siano luoghi di detenzione, chiunque vi sia rinchiuso è tenuto all'esecuzione degli ordini impartiti, e nonostante sia risaputo che le condizioni di permanenza in questi centri rasentino spesso quelle di un lager, qualora promuova, organizzi o diriga una rivolta, non è necessario che sia né violenta né minacciosa, bastano atti di resistenza passiva, è passibile di condanna da uno a quattro anni di carcere.

Ovviamente organizzarsi e reagire è sempre possibile, lo è stato e lo è ancora in regimi politici anche molto peggiori di quello che ci riguarda. Il passato, anche non troppo lontano, ci insegna che conta la determinazione, la perseveranza, l'organizzazione, per rovesciare qualsiasi rapporto di forza, e non bastano condanne né tribunali per scoraggiare le lotte.

Aemme

 

Aemme