NELLA GIUNGLA DEL DISTRETTO TESSILE DI PRATO

Manifestazione a Prato contro l'aggressione nei confronti di un picchetto di lavoratori in sciopero al laboratorio di pelletterie e confezioni Lin Weidong, a Seano, una frazione del comprensorio. Domenica 13 ottobre duemila persone hanno sfilato in corteo in mezzo alle fabbriche aperte. Era la prima domenica di riposo in quattro aziende, dove un piccolo sindacato territoriale ha raggiunto a suon di scioperi le 40 ore di lavoro settimanali

Uno sciopero di domenica nel distretto tessile di Prato, il secondo per grandezza in Europa, non è una stranezza: perché in questo agglomerato di oltre 2000 fabbriche non lavorare 12, 14 ore al giorno, avere due giorni di riposo, per non parlare di ferie o malattie, tredicesima e busta paga regolare, è quasi sempre un traguardo irraggiungibile. Una gran parte dei titolari di queste imprese è di origine cinese, e per questa ragione le prime vittime di questo sfruttamento sono stati proprio i lavoratori cinesi, letteralmente deportati dal loro Paese, e costretti spesso a vivere in alloggi di fortuna all'interno delle fabbriche. In questa realtà l'irregolarità è la norma: la probabilità di un'ispezione è remota; anche qualora avvenisse, il titolare rischia al massimo una sanzione, ma può continuare tranquillamente l'attività fino al prossimo controllo, ipotizzabile magari fra dieci anni. La maggior parte delle aziende insediate nel comprensorio, cinesi o no, si sentono legittimate a praticare le forme di sfruttamento più sfrontate e prive di scrupoli.

Nel 2013, cinque uomini e due donne che vivevano e lavoravano in una fabbrica alla periferia di Prato persero la vita in un incendio che la distrusse, scoppiato per un malfunzionamento dell'impianto elettrico. Per inciso, qualche anno dopo, una volta spente le voci di sdegno, cordoglio e condanna, il Tribunale della Corte d'Appello annullò la sentenza di condanna a 4 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo aggravato nei confronti di due fratelli pratesi, proprietari del capannone, affittato senza i necessari requisiti di sicurezza. Quanto alle titolari dell'impresa, due cittadine cinesi condannate a 8 anni di reclusione, nemmeno loro ne hanno scontato un giorno, essendo latitanti al sicuro in Cina.

A Prato si produce la gran parte del pronto-moda a basso prezzo "made in Italy", e non vi lavorano più soltanto operai cinesi, ma spesso lavoratori immigrati di varie nazionalità, indiani, pakistani e nordafricani, che molte volte ignorano i loro diritti e hanno la necessità urgente di un permesso di soggiorno. Sono dipendenti di piccole imprese, che raramente impiegano più di una ventina di dipendenti. Un bacino - è lecito domandarsi - decisamente poco attrattivo e remunerativo per i sindacati confederali, se a organizzare e a sostenere le loro lotte questi lavoratori trovano le organizzazioni dei Sindacati di base, pur nella dispersione delle varie sigle. Come nel distretto della logistica o dell'agricoltura, l'obiettivo primario delle lotte è quasi sempre l'essenziale, e cioè banalmente l'applicazione dei contratti nazionali di lavoro del settore, proprio quelli firmati dai Confederali. Da domenica 6 ottobre, alla fabbrica Lin Weidong di Seano era in corso lo sciopero promosso dal Sudd (Sindacato Unitario Democrazie e dignità), una filiazione del SI Cobas, per rivendicare le 8 ore di lavoro giornaliero e i due giorni di riposo, un risultato già ottenuto in altre quattro aziende. Martedì 8 ottobre il presidio di fronte alla fabbrica è stato aggredito a sprangate da un gruppo di cinque picchiatori muniti di mazze ferrate. Due lavoratori, un sindacalista e uno studente sono stati feriti, non avendo altri strumenti di difesa che qualche sedia del presidio. I cinque squadristi, di nazionalità italiana, pare si siano presentati al grido di "Fermi, polizia!" e si siano congedati con la minacciosa assicurazione "La prossima volta vi spariamo!". Ora c'è chi parla di un manipolo prezzolato dall'impresa, chi si sbilancia sulla costituzione di una mafia locale, tesa a impedire ogni forma di ribellione che possa intaccare anche minimamente i profitti delle aziende. Fatto sta che a Prato non è la prima volta che accadono episodi del genere, e in generale in tutto il Paese c'è scarsa tolleranza alla protesta dei più sfruttati, specialmente se immigrati. Prova ne siano i numerosi picchetti attaccati negli anni e gli operai investiti e uccisi in situazioni simili (Piacenza, magazzino SEAM, 15.9.16 - Novara, centro distribuzione LIDL, 18.6.21), anche sotto gli occhi delle forze di Polizia.

D'altra parte, la reazione c'è stata, ed è stata immediata. Domenica 13 ottobre le fabbriche dove il lavoro non si è interrotto hanno visto sfilare una manifestazione animata, alla quale hanno partecipato anche i lavoratori ex Gkn e il segretario Cgil Toscana, ma non la Cgil territoriale. Il segretario della Filctem Prato Pistoia Juri Meneghetti ha infatti dichiarato al sito web "Collettiva": "Quello di Prato è un sistema di produzione illegale – e se uno pensa di affrontare il problema ditta per ditta non può che uscirne sconfitto. Non è un singolo imprenditore che fa il padrone, qui è un intero sistema organizzato in questo modo". A quanto pare, a sentire il nostro, per non uscirne sconfitti basta limitarsi a fare vertenze singole per ogni singolo lavoratore: e al resto ci pensi lo Stato, se c'è. Davvero una curiosa idea di sindacato. Fatto sta che a due settimane dall'inizio dello sciopero, anche la Lin Weidong ha accettato di contrattare le 40 ore per 5 giorni e di regolarizzare i sei operai pakistani, che avevano continuato lo sciopero anche dopo l'aggressione a suon di mazze.

Aemme