Da mesi oramai, i piani dell’amministratore delegato di Stellantis Tavares, sono sempre più ondivaghi, le dichiarazioni di nuovi investimenti e soprattutto le richieste d’incentivi si susseguono, ma di fatto il tratto dominante è quello dell’incertezza che aleggia sulle vite di migliaia di operai del settore, distribuiti tra i siti d’assemblaggio e l’indotto.
Ecco cosa sta succedendo a Melfi come in altri luoghi, al Sud come al Nord: migliaia di lavoratori in meno negli stabilimenti. Tavares sarà sicuramente ricordato come l’amministratore delegato che ha snellito le fabbriche, rottamato parte dei lavoratori con le uscite incentivate - l’espediente più morbido per ridurre l’organico aumentando
lo sfruttamento per chi resta in fabbrica, con l’appoggio quasi unanime dei sindacato. In sintesi, la crisi prima e la famigerata ‘’svolta green’’ poi, hanno rinsaldato il potere del management e aumentato i ricavi e gli utili per Stellantis.
Sulla catena di montaggio, invece, le cose vanno diversamente: a fronte di un magro salario il lavoro sulle linee è insostenibile, si arriva a fine turno sfiniti, con pause fisiologiche insufficienti, sotto pressione per i ritmi accelerati. Il clima interno è aggravato dall’inasprirsi delle relazioni con i capi, dal senso di frustrazione e d’incertezza per i ripetuti stop and go della produzione e la cassa integrazione alternata a periodi d’intenso lavoro. Il risultato è che con meno operai si producono più auto a ritmi insostenibili; poi si passa ai periodi di cassa integrazione, il salario si assottiglia e si fatica a coprire perfino le spese familiari.
In questo clima d’incertezza e ricatto, il management per assecondare presunte esigenze produttive, ha iniziato a spostare oltre un migliaio di lavoratori da un sito all’altro, da Melfi a Pomigliano ad esempio, o più lontano in Francia o in altri paesi. Queste operaie e operai entrati in fabbrica al Sud, pensando, come gli avevano fatto credere, che quell’occupazione vicino casa era sicura, cioè a tempo indeterminato, hanno dovuto cambiare idea.
L’impressione diffusa tra chi lavora in linea è che al di là della ristrutturazione - le nuove esigenze produttive- il passaggio all’elettrico, la mancanza di chip e parti componenti, la posta in gioco è anche quella del disciplinamento e dello ‘’sfinimento’’ degli operai per velocizzarne le uscite incentivate dalla fabbrica. Tra chi accetta gli incentivi ci sono persone, giovani e non, che non riescono più a sostenere il regime di fabbrica, i carichi di lavoro massacranti, l’incertezza quotidiana, i toni autoritari dei capi, i ricatti, la mancanza di diritti.
Anche tra i più giovani, dopo alcuni anni di lavoro iniziano a comparire i danni psico-fisici e tutto è gestito nel modo peggiore: prima si viene sfruttati e poi buttati via con i famosi incentivi all’esodo che nella maggior parte dei casi sono poche decine di migliaia di euro che non ripagano gli anni persi sulla linea, i danni psico-fisici subiti, lo scarso
valore delle pensioni. La sicurezza, le riduzioni dei danni da lavoro non sono veramente a tema, così come poco si è fatto per l’aumento dei salari e delle pensioni. In fondo agli operai e operaie arrivano solo le briciole di quei miliardi di euro che il gruppo incassa
sfruttando il loro lavoro. Mentre il governo continua ad elargire incentivi, questa volta sono 950 milioni per l’acquisto di nuove auto, sognando di raggiungere entro il 2030 la tanto agognata quanto improbabile cifra di un milione di veicoli prodotti, un quarto in più rispetto alla produzione attuale - dal 2015 ad oggi sono usciti dagli stabilimenti circa 12mila lavoratori, un esodo silente giocato al ribasso. In questo scenario a poco servono le minacce di apertura ad altri gruppi, tra questi Dongfeng, per rompere il monopolio di Stellantis in Italia e costringere Tavares ad essere meno ondivago e incline alle delocalizzazioni.
Resta da tenere testa al colosso dell’auto o alle altre multinazionali, a rivendicare migliori salari, condizioni di lavoro decenti e salvaguardare salute e pensioni. Le lotte efficaci sono quelle che non si limitano alle dichiarazioni belligeranti. Bisogna avere il coraggio di non imbellettare le sconfitte per farle sembrare mezze vittorie: questo è da prestigiatori, non serve ai lavoratori ma solo alla burocrazia sindacale per mantenersi a galla nello sfacelo in corso. Da qui bisogna ripartire, riprendere la discussione, organizzarsi per reagire, e anche se non dovesse avere effetti, sarebbe meglio che ascoltare i soli rappresentanti sindacali e i politicanti di turno.
Corrispondenza da Melfi – Bollettino Dalla nostra parte – Torino