Da "Lutte de Classe" n°233 – Luglio-Agosto 2023
In Francia l'inizio del 2023 è stato segnato dalla mobilitazione dei lavoratori contro la riforma delle pensioni, dal loro rifiuto di lavorare fino a 64 anni e di essere sacrificati per i profitti.
In tutti i settori, dagli operai ai dirigenti, nel settore pubblico e privato, nelle piccole e grandi imprese, nei piccoli centri e nelle grandi città, milioni di lavoratori hanno alzato la testa. Attraverso scioperi, manifestazioni o la loro solidarietà, hanno espresso il loro rifiuto ad accettare che non ci fossero soldi per le pensioni, i salari, le scuole e gli ospedali, mentre i miliardi affluivano ai grandi azionisti o alle spese militari.
Per diversi mesi, le preoccupazioni delle classi lavoratrici sono state al centro dell’attualità politica. I manifestanti e i portavoce dei sindacati sono stati intervistati e invitati a comparire sui media, mentre le altre notizie sono state relegate in secondo piano. Macron e i suoi ministri speravano di risolvere la questione in poche settimane. Contavano sulla complicità di deputati e senatori di destra, sulle difficoltà finanziarie dei lavoratori e sull'ostilità di una parte della popolazione rispetto a scioperi e manifestazioni. Al contrario, anche se alla fine è stato fatto passare il progetto, hanno dovuto affrontare la più massiccia mobilitazione sociale degli ultimi anni. Dobbiamo imparare da questa mobilitazione
Nessun buon Presidente, nessun buon
Parlamento, nessuna buona Costituzione
La prima lezione è che i lavoratori non devono aspettarsi nulla dalle istituzioni statali, dal dialogo sociale o da qualche cambiamento politico. Chi sperava che il rifiuto della riforma da parte dell'opinione pubblica e delle manifestazioni di massa avrebbe portato al suo ritiro, ha dovuto constatare che non era sufficiente: in questo sistema capitalistico che si proclama democratico, il governo è al servizio di una minoranza privilegiata, anche se questo significa ignorare l'opinione ultra-maggioritaria. Coloro che avevano riposto le loro speranze in una mozione di censura all'Assemblea Nazionale o nei "saggi" del Consiglio Costituzionale sono stat delusi. La Costituzione e le regole del Parlamento sono concepite proprio per consentire a un governo di potere fare passare leggi reazionarie anche quando è in minoranza.
I dirigenti dell'intersindacale hanno chiesto a gran voce il ritorno al dialogo sociale. In ogni fase del movimento, hanno previsto il calendario delle manifestazioni in funzione dell'agenda parlamentare, facendo appello al senso di responsabilità di deputati e senatori. Hanno chiesto di essere ricevuti all'Eliseo. Ma l'unico dialogo che il governo ha accettato è stato l’invio della polizia contro i manifestanti o contro i lavoratori in sciopero, come per esempio i lavoratori di Vertbaudet che scioperavano per il salario e hanno osato organizzare un picchetto davanti alla loro azienda.
Oggi gli avversari politici di Macron, sia del Rassemblement National della Le Pen che della sinistra di governo, ripetono: "Votate per noi nel 2027 e riporteremo indietro l’età della pensione". È una grande bugia. Tornare indietro su questa legge, senza aumentare i contributi dei dipendenti o allungare il periodo di contribuzione, significherebbe far pagare alle grandi imprese in un modo o nell'altro. Marine Le Pen, per quanto demagogica, è troppo rispettosa dell'ordine sociale e dei capitalisti per volerli costringere a pagare. Anche per garantire un aumento salariale del 10%, propone di finanziarlo non dai profitti ma dai contributi sociali! Se la Le Pen sarà eletta, farà tutto ciò che la borghesia le dirà di fare.
Quanto alla sinistra, che con la parola d’ordine di Sesta Repubblica sta solo sparando aria fritta, si è inchinata ai dettami della borghesia ogni volta che si è trovata al potere. Sulla questione delle pensioni, non è mai tornata indietro rispetto agli attacchi di Balladur, che ha posto fine ai 37,5 anni di contributi per avere una pensione completa, oppure di Fillon o di Sarkozy, che hanno posto fine al pensionamento a 60 anni. Peggio ancora, con la riforma della Touraine adottata sotto Hollande nel 2014, ha esteso il periodo di contribuzione a 43 anni. Se tornerà al potere, la sinistra farà quello che sta facendo oggi nelle grandi città, nei dipartimenti o nelle regioni che guida: stenderà il tappeto rosso davanti al grande capitale.
Riprendere la lotta contro la borghesia
La seconda lezione da trarre da questi sei mesi di mobilitazione è che i lavoratori non potranno vincere mantenendo le loro lotte sul piano economico. Mentre Macron era determinato a soddisfare fino in fondo le aspettative della borghesia e dei finanzieri, la nostra classe sociale non ha usato la sua arma principale: uno sciopero che si diffonda di fabbrica in fabbrica e di settore in settore. La forza dello sciopero non è quella di fermare l'economia, ma soprattutto quella di fermare la macchina del profitto e di colpire i padroni direttamente nel portafoglio, l'unica cosa che conta per loro. Lo sciopero libera i lavoratori dalle loro postazioni di lavoro, alle quali sono normalmente incatenati fisicamente e anche mentalmente. Lo sciopero permette ai lavoratori di discutere dei loro affari, di organizzarsi, di prendere iniziative e di farsi temere, di invertire il rapporto di forza.
Quando lo sciopero è guidato democraticamente dai lavoratori stessi, e non dall'alto dalle burocrazie sindacali, essi scoprono la loro capacità non solo di agire, ma soprattutto di prendere iniziative e organizzarsi per realizzarle. Questo è il tipo di sciopero a cui dobbiamo prepararci.
Gli scioperi sparsi che si stanno svolgendo in molte aziende del Paese per ottenere aumenti salariali, scioperi spesso difficili da vincere anche solo per recuperare il potere d'acquisto distrutto dall'inflazione, dimostrano che i capitalisti, nonostante i loro immensi profitti, non si arrenderanno facilmente. Al contrario, con l'aiuto del governo, sono pronti a riportarci indietro di una generazione.
Per difendere il nostro diritto di esistere, dobbiamo sfidare il diritto della classe capitalista di imporre i suoi dettami all'intera società, la sua capacità di esacerbare tutte le divisioni tra noi per sfruttare meglio il nostro lavoro. La lotta contro la classe capitalista è vitale, ma difficile e non può essere condotta a metà. Dobbiamo essere determinati a rovesciare il potere della borghesia. I lavoratori devono prendere il potere politico, sfidare la proprietà privata delle aziende, espropriarle, raggrupparle e gestirle collettivamente per soddisfare i bisogni di tutti.
Questa non è la convinzione dei partiti di sinistra, che aspirano a gestire uno Stato pensato per la borghesia, né dei dirigenti sindacali, che aspirano a essere riconosciuti come i difensori e i portavoce esclusivi dei lavoratori. Ma deve essere quella di tutti i militanti che sono consapevoli che l'emancipazione dei lavoratori può solo essere opera dei lavoratori stessi, perché hanno una forza collettiva immensa. Ciò implica che essi devono darsi i mezzi per sviluppare, nel corso delle lotte, gli strumenti per condurle, organizzarle e portarle a termine: comitati di sciopero, consigli operai, persino milizie operaie.
In questo periodo di crisi acuta, in questo periodo di rivalità accentuata tra i gruppi capitalistici di tutto il mondo, la borghesia non rinuncerà a nulla. In altre parole, la lotta per difendere le nostre condizioni di vita è inseparabile dalla lotta per rovesciare il potere della borghesia.