La tragedia ferroviaria di Brandizzo

Nella notte tra il 30 e il 31 agosto, un treno ha falciato cinque operai che stavano lavorando alla manutenzione di un binario presso Brandizzo, una ventina di chilometri a nord-est di Torino.

Emerge già dalle prime indagini e dalle prime testimonianze che l’imperativo di fare presto ha condizionato fortemente, se non determinato la dinamica dell’evento. Le ditte appaltatrici devono fare presto il loro lavoro, per non pagare penali e per potersi dedicare ad altri interventi i quali, a loro volta, saranno sottoposti alla stessa logica. Ma, nel complesso mondo della circolazione ferroviaria, imboccare una scorciatoia può facilmente condurre al disastro. Prima che fare presto è indispensabile fare bene.

Un secolo e mezzo almeno di storia delle ferrovie ha stratificato una serie di conoscenze tecniche e di pratiche operative, tradotte in un sistema regolamentare che, un tempo, era la migliore garanzia di sicurezza, tanto per i viaggiatori quanto per il personale dei treni e per gli addetti ai lavori sui binari e sulla linea elettrica.

Quello che oggi possiamo constatare è che la generalizzazione degli appalti, con gli imperativi di salvaguardia dei profitti che questa comporta, ha portato, nei fatti, allo scardinamento delle normative. È un fatto che comincia a scaturire anche dalle testimonianze di alcuni operai sentiti nel corso dell’inchiesta partita dalla procura di Ivrea.

Ma, da questo punto di vista, la ditta dalla quale dipendevano gli operai uccisi, la Sigifer di Borgo Vercelli, non è né peggiore né migliore delle altre.

Si lavora oltre l’orario previsto, si lavora prima dell’orario d’inizio dell’interruzione autorizzata, si lavora sotto personale, approfittando di contratti che consentono delle scappatoie ai limiti d’orario giornaliero.

Le principali sigle sindacali hanno proclamato uno sciopero immediato di quattro ore, limitandolo però al personale di RFI, la società del Gruppo che gestisce l’infrastruttura ferroviaria. I sindacati di base hanno proclamato uno sciopero di 24 ore esteso a tutti i ferrovieri. A questo, la Commissione di garanzia ha risposto con un appello al “senso di responsabilità” degli organizzatori della protesta, chiedendo loro di limitarsi alle quattro ore promosse dai confederali, “al fine di non acuire ulteriormente le pesanti ripercussioni sulla circolazione ferroviaria” . Un bel coraggio: dov’è il senso di responsabilità di imprese che mandano i propri operai a lavorare sui binari senza una comunicazione scritta che autorizzi l’apertura di un cantiere?

A Vercelli, città dove ha la propria sede la Sigifer, si è svolta una manifestazione, il 4 settembre, alla quale hanno partecipato in duemila. Sia i dirigenti sindacali presenti che molti dei manifestanti intervistati, hanno fatto richieste giuste: più controlli sulle ditte, responsabilizzazione del committente, applicazione dei contratti della categoria, ecc. Gli amici e i parenti delle vittime gridavano che i cinque operai sono stati uccisi dalla ricerca del profitto.

Certamente, quello che si è visto a Brandizzo è una carneficina dovuta alla ricerca del profitto, ma è anche, bisogna dirlo, un tragico attestato della debolezza della classe operaia. Una debolezza che si misura col numero degli infortuni e dei morti sul lavoro, così come con i bassi salari. È su questa debolezza che la borghesia imprenditoriale italiana costruisce i propri “successi”. Che si rischi di meno, e quindi si muoia di meno, nei posti di lavoro potrà essere solo il risultato di un rapporto di forza a favore dei lavoratori. Ma questo rapporto lo si può stabilire solo sul campo, sul terreno del confronto tra operai e padroni, con gli strumenti fondamentali della lotta: l’unità, l’organizzazione e lo sciopero, per imporre condizioni economiche che sottraggano gli operai dal ricatto di dover accettare qualsiasi lavoro in qualsiasi condizione.