Il 14 aprile, il Consiglio costituzionale ha dato il suo consenso alla legge che sposta in avanti l’età del pensionamento da 62 a 64 anni. In questo modo, Macron l’ha potuta immediatamente promulgare. Tre giorni dopo, in un discorso alla televisione, ha cercato di voltare definitivamente pagina dopo tre mesi di manifestazioni e scioperi contro questo provvedimento.
Milioni di lavoratori hanno lottato contro questo attacco alle loro condizioni di vita. E non hanno motivo di accettarlo col pretesto che le istituzioni consentono al governo di imporre una legge respinta dalla maggioranza della popolazione. Infatti l'apparato statale nel suo complesso, il governo, il Parlamento, il Consiglio costituzionale, supportati ovviamente dalle forze di repressione, sono concepiti non per riflettere l'opinione del mondo del lavoro e per servire il popolo, ma per servire gli interessi della minoranza capitalista che tira tutti i fili.
Non è perché una legge è stata promulgata che non può più essere contestata. Questi mesi di mobilitazione hanno messo il governo in difficoltà e i lavoratori certamente non si danno per sconfitti. Quando il 20 marzo il governo Macron – Borne con la sua solita arroganza si è servito dell’articolo 49.3 della Costituzione, che gli dava la possibilità di fare adottare la legge senza voto del Parlamento, il risultato è stato di dare una seconda spinta alla mobilitazione. Si sono moltiplicate le manifestazioni spontanee, i raduni a sostegno degli scioperanti nelle raffinerie o nel settore delle pulizie, i volantinaggi e gli scioperi nelle aziende.
Le giornate di mobilitazione successive del 23 marzo, del 28 marzo, del 6 e del 13 aprile hanno ancora confermato questa rabbia. I cortei sono rimasti ovunque massicci e rafforzati dalla presenza dei giovani, raggiungendo a volte una partecipazione record. Tutti coloro che hanno manifestato erano orgogliosi di rispondere nel modo giusto alle decisioni del governo.
Il verificarsi di qualche scontro ha alimentato i canali televisivi, in cerca di immagini spettacolari. Questi canali, la maggior parte dei quali appartiene alla grande borghesia e ne serve gli interessi, hanno colto l'occasione di denigrare la mobilitazione, assimilare i manifestanti ai teppisti e, soprattutto, cercare di spaventare la gente per compiacere Macron. Ma la cosa principale da ricordare di queste giornate non sono i cassonetti bruciati e gli scontri con la polizia ai margini dei cortei sindacali. La cosa più importante è che il sentimento di ingiustizia e di rabbia sta crescendo nel mondo del lavoro. È che sempre più lavoratori si sono sentiti parte della mobilitazione e, anche oltre la questione delle pensioni, opposti alle politiche ferocemente antioperaie del governo e delle grandi imprese.
La lotta dei netturbini ne è stata un simbolo. Con bassi salari, cattive condizioni di lavoro, scarse opportunità di avanzamento, sono una delle categorie di lavoratori più sfruttate. Il loro sciopero ad oltranza ha mostrato a tutti come alzare la testa e quale forza hanno i lavoratori che fanno funzionare la società. Una minoranza ricca può sedersi al vertice e comprare tutto quello che vuole con i suoi miliardi, ma se non c'è nessuno che raccoglie la sua spazzatura, il suo mondo può diventare rapidamente un inferno. E la radicalità non consiste nell'appiccare il fuoco alla spazzatura, bensì nel non raccoglierla finché i lavoratori non ottengono ciò che vogliono. Per ottenere il rispetto di Macron e delle grandi imprese, non c'è niente di più radicale ed efficace che scioperare, fermare la macchina del profitto dei capitalisti e occupare i luoghi di lavoro.
Il governo ha voluto servirsi della repressione, delle manganellate, della violenza della polizia e della precettazione degli scioperanti per porre fine a questo movimento, ma non è riuscito anche se per ora la sua legge è passata. È nel suo ruolo, perché sta governando per la borghesia, cioè contro i lavoratori. Lo ha spiegato in un’intervista al telegiornale del 25 marzo affermando che "non ci sono tante soluzioni per equilibrare il sistema pensionistico". È vero, ce ne sono solo due: far pagare la grande borghesia, le cui casse traboccano, o prendere nelle tasche dei lavoratori.
La lotta non è finita e non si limita alla questione delle pensioni. La borghesia, anche se è molto ricca, è determinata a non cedere. Nonostante i profitti e i dividendi record, è sempre all’offensiva per aggravare lo sfruttamento, abbassare i salari e schiacciare i diritti dei lavoratori. Lo fa per mantenere la sua posizione, guadagnare più e più rapidamente dei suoi concorrenti, in una situazione economica che si sta facendo sempre più stretta con la crisi, i fallimenti delle banche e la minaccia di guerra.
Di fronte a questi attacchi i lavoratori dovranno mostrare la stessa determinazione nella lotta. Questi mesi di protesta hanno già aperto una breccia. I lavoratori devono cogliere l’occasione di riorganizzarsi ed esprimere le loro rivendicazioni ovunque. Nel movimento hanno preso coscienza della forza che rappresentano e questo dovrà servire a loro per cambiare decisamente il rapporto di forza con la borghesia e il governo.
A.F.