Da "Lutte de classe" n°220 - dicembre 2021 - gennaio 2022
La borghesia ha motivo di essere soddisfatta dei cinque anni di Macron. Con la sua maggioranza parlamentare, ha attuato la politica che aveva promesso e ha superato la prova del fuoco. La mobilitazione dei gilet gialli, anche se molto popolare, non ha creato una grande crisi politica e non ha minacciato l'ordine borghese. Macron l'ha persino usata per perfezionare l'arsenale autoritario dello Stato. È anche riuscito a gestire la crisi sanitaria e i successivi lockdown senza che la grande borghesia ne pagasse il prezzo.
L'assunzione di responsabilità da parte dello Stato per il pagamento della disoccupazione parziale, presentata come un aiuto ai lavoratori, era soprattutto la garanzia per il grande padronato di poter conservare la sua forza lavoro. Con l'abolizione dell'imposta sul patrimonio, la flat tax, i piani di ripresa e le varie forme di aiuto agli investimenti, la grande borghesia gli è grata per tutto il suo lavoro. E perché non dovrebbe esserlo quando i profitti sono già alle stelle e le prospettive ancora più allettanti?
Macron è stato in grado di utilizzare l'epidemia di Covid per creare un senso di unità nazionale intorno a lui e al suo governo. In effetti, ha ampiamente aperto le casse dello stato ai commercianti e ai ristoratori per compensare le perdite causate dai lockdown, dai coprifuochi e dalle chiusure. Dopo aver fortemente aspirato i voti del Partito Socialista nel 2017, ha fatto regali politici alla destra scegliendo i primi ministri tra le sue file, nominando Darmanin agli Interni e Le Maire all'Economia, e adottando una legge intitolata contro il fondamentalismo islamico. Non si è fermato lì, a tal punto che dopo la sua apparizione televisiva del 9 novembre, anche Le Figaro ha riassunto l'analisi del suo discorso col titolo: "Capo a destra per il 2022". Molte cose possono cambiare da adesso ad aprile, ma Macron, in testa nei sondaggi del primo turno, è attualmente in posizione di vincere al secondo turno, chiunque sia il suo avversario.
All'inizio della campagna, la sorpresa è stata costituita da Eric Zemmour. Ispirato dal successo della stoccata politica di Macron nei confronti della sinistra nel 2017, egli cerca di riprodurre la stessa operazione nei confronti della destra e dell'estrema destra. Il fallimento di Marine Le Pen nel 2017 e l’evoluzione a destra della vita politica, confermata dal suo successo sul canale CNews, lo hanno rafforzato nel suo progetto di unire la destra estrema, un progetto sostenuto da Marion Maréchal-Le Pen o Robert Ménard.
Anche se non ha ancora dichiarato la sua candidatura, il suo successo nei sondaggi, circa il 15% delle intenzioni di voto, lo ha finalmente convinto a tentare. Secondo i sondaggisti, Zemmour potrebbe attirare un quarto degli elettori di Fillon del 2017. La corrente cristiana tradizionalista che si è mobilitata contro il matrimonio gay e la procreazione assistita ha trovato con lui il suo araldo. Alcuni dirigenti locali dei repubblicani sono già ai ferri corti con il loro partito per aver accolto con favore e ripreso questo o quel commento di Zemmour, sull'Islam, su Pétain o sulle donne. Ciotti, candidato alle primarie di destra, ha egli stesso dichiarato che in caso di ballottaggio Macron-Zemmour, voterebbe per quest'ultimo.
A differenza di Marine Le Pen, che è tagliata fuori dai capi della destra e dalle loro reti nella grande industria, Zemmour ha i suoi contatti nel partito repubblicano e le sue staffette nelle reti del potere. Il pedigree del suo direttore di campagna ne è testimone. Sarah Knafo, ex studentessa di Sciences Po e dell'ENA, membro della Corte dei conti, legata a varie personalità della destra e del PS, non sarebbe fuori posto nell'entourage di Macron, Barnier o Pécresse. Le altre persone vicine a Zemmour sono anch'esse banchieri, padroni ed ex esponenti della destra. E non dimentichiamo che Zemmour è stato per anni un editorialista regolare del giornale Le Figaro di Dassault, nonostante le sue due condanne per razzismo. Il che dimostra che il cordone sanitario che Chirac aveva istituito contro Le Pen e i nostalgici di Pétain e dell'Algeria francese era puramente politico e artificiale.
Per ora, nessuno dei candidati putativi del partito Les Répubblicains sembra in grado di arrivare al secondo turno. Certamente i sondaggi riflettono le intenzioni di voto solo in modo molto approssimativo, ma Xavier Bertrand raccoglie, al massimo, il 10% delle intenzioni di voto e non si tratta solo di un ritardo. La destra è presa tra Macron da una parte e Zemmour dall'altra. Mentre Macron aveva conquistato l'elettorato centrista con il sostegno dei disertori - François Bayrou, Édouard Philippe, Bruno Le Maire e Gérald Darmanin - l'estrema destra di Zemmour si rivolge alla frangia tradizionalista, persino razzista dell'elettorato di destra.
Tuttavia, la destra classica conserva una potente rete di funzionari e notabili eletti che le possono permettere di rientrare nel gioco.
Tra Marine Le Pen e Zemmour, la guerra è dichiarata, almeno per ora. I più razzisti e xenofobi dei suoi sostenitori sono sedotti dalle esternazioni ossessive e sfrenate di Zemmour contro i musulmani e l'immigrazione. Inoltre, la loro candidata ha già perso due volte le elezioni presidenziali e, essendo stata presente nella vita politica per anni, Le Pen si è in parte volontariamente istituzionalizzata, perdendo molto del suo aspetto sulfureo e antisistema. Se non altro per la sua personalità, Zemmour rappresenta una nuova offerta politica capace di creare l'entusiasmo che il Rassemblement National (RN) della Le Pen o la destra non riescono più a suscitare.
Per ora, Zemmour non cerca di rivolgersi all'elettorato più popolare. A parte la promessa demagogica di abolire la patente di guida, non ha presentato alcuna misura che possa soddisfare i bisogni dei lavoratori. Il suo programma "sociale" è ispirato a quello di Sarkozy del 2007 o di Fillon del 2017: "Per guadagnare di più, bisogna lavorare di più".
Basandosi solo sulle sue diatribe anti-immigrati, può lasciare il segno sulle fasce più povere e disorientate delle classi lavoratrici e superare così Marine Le Pen? Come si evolverà la guerra tra Le Pen e Zemmour? Porterà alla cancellazione dell'uno o dell'altro, o a una doppia candidatura? Solo il tempo lo dirà. Ma se la seconda ipotesi è probabilmente fatale per l'ambizione di uno dei due di raggiungere il secondo turno, lungi dal ridurre l'elettorato di estrema destra, l'esistenza di un secondo candidato lo aumenta.
L'estrema destra pesa già su tutta la campagna, in cui i candidati di destra e talvolta anche di sinistra riprendono le proposte di Zemmour o Le Pen. Montebourg, che qualche anno fa ci era stato presentato come appartenente alla sinistra del PS, aveva promesso, per esempio, di bloccare il trasferimento di denaro dagli immigrati alle loro famiglie residenti in paesi riluttanti ad accogliere i loro cittadini espulsi dalla Francia, prima di ritirare la sua promessa. Il sovranismo, anche se è "di sinistra", porta dritto nelle fogne dell'estrema destra.
Questo peso dell'estrema destra è giustamente fonte di preoccupazione tra i lavoratori immigrati e nei circoli di sinistra. Tra coloro che gridano al fascismo, molti ritengono che il pericolo venga ora da Zemmour. Non ci sono indicazioni che l'infatuazione per Zemmour sia di natura diversa da quella per Le Pen. Il linguaggio di Zemmour, violento e provocatorio, influenza inevitabilmente il movimento identitario militante. Può confortare i nostalgici dei metodi fascisti che sognano di regolare i conti con gli immigrati e di affrontare la sinistra e le organizzazioni dei lavoratori. Ma perché i loro metodi prendano piede, dovrebbe esserci una radicalizzazione sociale che spinga le categorie piccolo-borghesi a mobilitarsi, anche in modo violento. Non siamo lì, almeno non ancora.
L'espressione sfrenata di idee reazionarie può, tuttavia, contribuire al rafforzamento di questi nuclei di attivisti di estrema destra. I tafferugli e le irruzioni di teste rasate contro militanti di sinistra, antifascisti o anarchici o le loro sedi, che per ora rimangono marginali, potrebbero moltiplicarsi, così come le manifestazioni degli identitari contro i migranti. Senza essere un movimento fascista, questo sarebbe già una seria minaccia per il movimento operaio e per i lavoratori.
La demagogia dell'estrema destra è un pericolosissimo veleno per i lavoratori. Ma l’antidoto non si trova nei politici che hanno spianato la strada all'estrema destra con le loro politiche antioperaie. Sta nella capacità della classe operaia di riattivare la lotta per i suoi interessi di classe. Sta nella consapevolezza dei lavoratori di poter cambiare il loro destino lottando contro il grande capitale e anche assumendo la prospettiva politica di cambiare l'intera società.
Nonostante i loro tentativi di golpe mediatico, i partiti della sinistra governativa sembrano essere fuori gioco. Ponendosi molto presto sulla linea di partenza, Mélenchon, con i suoi 7 milioni di voti (19,58%) alle elezioni presidenziali del 2017, sperava di vincere la partita e di imporsi come il candidato della sinistra. Ma gli ecologisti, forti dei risultati delle elezioni europee del 2019 e soprattutto delle elezioni comunali del 2020, e il Partito Socialista, i cui notabili, dopo la sconfitta del 2017, sono riusciti a mantenere i loro municipi e le loro regioni, non la sentono così.
Quanto al PCF, diviso sulla strategia da attuare per arrestare la sua lenta perdita di influenza, ha finito per proporre la candidatura di Fabien Roussel, piuttosto che fare ancora una volta da portaborse di Mélenchon.
Alcuni, in ciò che resta dell'elettorato di sinistra, si lamentano di questa incapacità di unirsi. Ma per il momento, il declino dell'elettorato di sinistra colpisce tutti i suoi candidati. Il meno impopolare di loro, Mélenchon, non supera il 10% delle intenzioni di voto, e i candidati nel loro insieme totalizzano faticosamente meno del 30%. Questo può naturalmente cambiare, ma cinque anni dopo la fine della disastrosa presidenza Hollande, la sinistra governativa è impantanata e sembra ormai fuori dalla corsa all'Eliseo.
Tutta la sinistra continua a pagare il prezzo dei tradimenti di Hollande durante i suoi periodo al potere. Molti elettori sono giustamente arrivati a pensare che Macron, il PS e i Verdi siano la stessa cosa, dato che hanno governato insieme, e che il PCF non ne è differente, dato che anch'esso ha governato con il PS e molto spesso ha fatto da tramite per portargli i voti dei lavoratori. Per rimbalzo, anche La France insoumise e Mélenchon, che hanno marcato la loro opposizione alle politiche di Hollande, subiscono questo discredito.
La sinistra soffre naturalmente dell'astensione, ma anche dell’evoluzione a destra della vita politica, che favorisce le idee ostili ai migranti, ai musulmani o anche agli "assistiti", e le richieste di più autorità, repressione e polizia. Questa pressione ha portato Fabien Roussel, Yannick Jadot e i dirigenti del PS a partecipare in giugno a una manifestazione organizzata dai sindacati di polizia sul tema "i giudici non fanno abbastanza contro i delinquenti". E tutti hanno insistito sul fatto che i "flussi migratori" devono essere controllati. Lungi dal combattere l'evoluzione verso idee sempre più reazionarie, la accompagnano e la promuovono.
Tutti i candidati di sinistra sono ansiosi di mostrare responsabilità verso la borghesia e l'ordine sociale e di fare proposte realistiche. Jadot rende omaggio all'economia capitalista e promuove una reindustrializzazione "ecologica e sociale". Mélenchon e Roussel si oppongono sul nucleare, ma sempre nell’ambito di un'economia di mercato. Le loro proposte per i lavoratori sono altrettanto imputabili, con Mélenchon che propone, per esempio, un salario minimo di 1.400 euro - come se con questo fosse possibile vivere in modo equilibrato!
Visto gli attuali rapporti di forza elettorali, la sinistra potrebbe ancora perdere alcuni dei suoi elettori a favore di Macron, in nome del voto utile contro Zemmour. Questa pressione sta crescendo e, anche se il secondo turno delle elezioni presidenziali del 2017 ha visto un aumento delle astensioni, molti elettori PS, EELV o Mélenchon hanno votato Macron. Se la paura dell'estrema destra cresce, questi elettori potrebbero essere sensibili al voto utile di Macron al primo turno.
Il degrado dei politici, compresi quelli che non hanno mai governato, la mancanza di fiducia nel mondo politico e l'emergere di candidati a sorpresa sono tutti segni di instabilità politica. Sempre più sensibile ai demagoghi di destra, il sistema politico borghese lavora ormai solo sulla gamba destra.
La gamba sinistra, incarnata dai partiti radicati nella classe operaia in passato, come nel caso del PCF, fu decisiva per salvare l'ordine borghese durante i massicci sconvolgimenti sociali del movimento del maggio-giugno 1968 e, ancora di più, lo sciopero generale e l'occupazione delle fabbriche del 1936. Per decenni, la sinistra ha potuto svolgere il ruolo di valvola elettorale. Quando la destra al potere cadeva in disgrazia, poteva essere sostituita da politici di sinistra che avevano avuto il tempo di dare verifiche alla borghesia. E quando la sinistra si era esaurita al potere, la destra poteva tornare, come è successo nel 1986, nel 1993 o nel 2002.
L'alternanza sinistra/destra ha assicurato per decenni una confortevole stabilità politica alla borghesia. Finché la crescita economica spingeva verso l'alto le prospettive di profitto, i governi di sinistra potevano concedere qualche progresso alla classe operaia. Senza cambiare fondamentalmente la vita degli sfruttati, questi alimentavano l'illusione che la sinistra fosse dalla parte dei lavoratori.
Questo gioco politico si è rotto quando, di fronte alla crisi economica e all'intensificarsi della concorrenza, le richieste dei padroni sono diventate più dure. Le grandi imprese non davano più spazi di manovra alla sinistra al potere. Qualunque fosse il colore politico del governo, le classi lavoratrici si sono scontrate con la stessa offensiva. Gradualmente, il Partito Socialista e il PCF hanno perso il loro elettorato.
La tradizionale alternanza sinistra/destra fu messa in discussione per la prima volta nel 2002, quando Jospin non arrivò al secondo turno, che mise Jean-Marie Le Pen contro Chirac. La campana a morto è arrivata nel 2017 quando non c'era nessun rappresentante dei due classici partiti dell'alternanza al secondo turno, con Hollande che ha dato forfait al primo turno e Fillon incastrato nel tappeto del 'Penelopegate'. L'arrivo di Macron al potere non è stato il segno di un rinnovamento politico, ma il frutto del discredito della sinistra e della scomparsa di ogni base per una politica riformista, in grado di portare qualche beneficio ai lavoratori, ma soprattutto agli apparati sindacali.
Resta il problema della crescente instabilità politica del sistema parlamentare borghese.
L'emergere di Zemmour in questo nuovo gioco dei birilli non lo risolve. Zemmour è sostenuto da Bolloré, il cui canale CNews sembra voler giocare la stessa carta che Fox News ha giocato negli Stati Uniti, trasmettendo le bugie e la maleducazione di Trump. La propaganda di Zemmour gioca un ruolo utile come diversivo per la borghesia: il divario tra la prosperità di questa e le difficoltà delle classi lavoratrici è così scandaloso che ogni deviazione politica è benvenuta. Ma la borghesia ha troppo bisogno della manodopera immigrata perché le farneticazioni di uno Zemmour sulla "remigrazione" o l'espulsione di "due milioni di stranieri" possano prendere piede. Una crisi politica causata da mobilitazioni sociali è una minaccia permanente all'ordine borghese. Le grandi imprese non cercano un candidato che le metta in moto e le scateni, ma che le eviti e le sappia gestire.
Zemmour, come Le Pen nonostante i suoi sforzi per normalizzare e rivedere il suo programma sull'Unione Europea, non hanno le qualità necessarie per essere un buon candidato agli occhi della borghesia. Quest'ultima preferirebbe affidare la direzione del suo apparato statale a una personalità politica che conosce e di cui si fida perché lo ha visto in azione, come Macron o uno dei vari candidati della destra. Il fatto che il debolissimo Barnier fosse rimasto uno dei candidati preferiti dai repubblicani è indicativo del fatto che la borghesia sarebbe molto felice con un manager simile a quello che la borghesia americana ha trovato con Biden. Ma la democrazia borghese rende possibile il fatto che dalle urne possa uscire tanto un Trump quanto un Biden.
Finché la classe operaia subisce la situazione senza reagire, la borghesia prende i servi che le arrivano. Il gioco politico è ancora un gioco di ombre. Con l'astensione crescente, il discredito dei partiti e di tutto il sistema politico e l'impotenza di coloro che pretendono di essere al potere, non è su questo terreno elettorale che si trovano le evoluzioni più decisive.
Anche se il potere della borghesia e il suo ordine sociale non sono minacciati dall'instabilità di questo gioco di ombre, è una fragilità supplementare di cui la borghesia potrebbe fare a meno. La minaccia principale sta nel possibile risveglio della classe operaia. Christine Lagarde, ex capo del FMI e attuale presidente della Banca Centrale Europea, ha probabilmente espresso ciò che molti nella grande borghesia pensano, dicendo: "Temo che la disuguaglianza superi quel che era all’epoca d'oro del capitalismo e porti all'epoca della rabbia". In definitiva, il futuro dipende molto più dall'evoluzione della crisi e dalle sue ripercussioni sul mondo del lavoro, dalla sua combattività e dalla sua coscienza.
Per i lavoratori, non ci saranno sorprese. Nello spazio elettorale, il proletariato non può vincere nulla. Può vincere solo sul terreno della lotta. Nessuno sa quando o come la rabbia delle classi lavoratrici andrà oltre l'atteggiamento attendista e la paura, ma queste reazioni sono davanti a noi. Che si tratti dell'impennata dei prezzi, dei bassi salari e delle pensioni, o dello stato scadente degli ospedali, i motivi non mancano.
Il nostro obiettivo in questa campagna è di chiedere un voto di classe e di coscienza operaia per preparare i lavoratori alle lotte future. I nostri piccoli risultati nelle elezioni regionali hanno dimostrato che un'organizzazione militante può, in una situazione avversa, raggiungere una piccola frazione del mondo del lavoro. Partecipiamo alla lotta politica perché si affermi un campo che abbia una propria politica, un proprio programma, e prospettive in opposizione a quelle dei padroni e dei loro servi politici. Mentre alcuni vogliono fare una campagna sull'identità nazionale, persino "gallica", noi vogliamo fare una campagna sull'identità del lavoratore e dello sfruttato, sugli interessi politici e le lotte che ne derivano.
Per i rivoluzionari, i buoni risultati elettorali possono solo seguire o precedere un'impennata della combattività e un risveglio della classe operaia. Più che alla nostra campagna, i nostri risultati saranno legati allo stato d'animo dei lavoratori. Questo stato d'animo non dipende da noi. Quello che dipende da noi è cogliere l’occasione di questa campagna, condotta in un periodo in cui le idee reazionarie sono in crescita, per avanzare nella costruzione del partito necessario per il mondo del lavoro.
La nostra campagna non mira solo ad esprimere queste idee, ma anche a riunire coloro che le condividono. Significa che questi devono fare propria questa campagna. Non è solo nel senso di una loro partecipazione attiva nel propagare le nostre idee, ma anche nel senso di condividerle profondamente e di assimilarle.
La campagna elettorale solleva più o meno chiaramente una moltitudine di problemi riguardanti il funzionamento della società e le relazioni tra le diverse classi sociali. Coloro che si considerano "dalla parte dei lavoratori" devono acquisire nella campagna la convinzione che la nostra prospettiva, il rovesciamento del potere politico della borghesia, esige una politica coerente. È in questo senso che la campagna elettorale può essere un piccolo passo verso la ricostruzione di un partito comunista rivoluzionario.
11 novembre 2021