(Da “Lutte de classe” n° 153 – Luglio - Agosto 2013)
Tra il 16 gennaio e il 21 maggio 2013 parecchie centinaia di lavoratori della fabbrica di Aulnay del gruppo PSA (Peugeot-Citroën) hanno messo in atto uno sciopero che è stato significativo per la sua durata, per alcune azioni che hanno colpito l'opinione pubblica operaia, e per la forma di organizzazione democratica dei lavoratori stessi. I lavoratori in lotta hanno affrontato durante questi quattro mesi uno dei più importanti gruppi capitalisti del paese. Nella loro lotta, presto diventata molto popolare, hanno incontrato la simpatia di larghi strati della classe operaia, che li hanno sostenuti finanziariamente permettendo di riempire la loro cassa di resistenza tre volte di seguito.
I lavoratori della PSA di Aulnay (ad una ventina di km. da Parigi) si trovavano di fronte alla chiusura della loro fabbrica. In questo contesto di crisi economica, aggravata dalla crisi finanziaria del 2008, i capitalisti conducono contro la classe operaia una lotta accanita. Il peggioramento dello sfruttamento, la disoccupazione, i licenziamenti e le chiusure di fabbriche - cioè la distruzione di forze produttive - sono trasformate dai capitalisti in armi per mantenere i loro profitti in tempo di crisi.
Nonostante gli incessanti attacchi del padronato, finora nel Paese le reazioni operaie rimangono limitate. Il morale dei lavoratori, la loro combattività, rimangono deboli. Non torneremo qui sulle responsabilità politiche e sindacali di tale situazione, ma bisogna comunque ricordare che anni di tradimenti da parte dei governi di sinistra, così come la politica delle direzioni sindacali, che ha accompagnato questi tradimenti con l'abbandono completo anche dell'idea di rispondere agli attacchi padronali, gravano fortemente sulla classe operaia.
In questo contesto, il rapporto di forza è largamente insufficiente perché i lavoratori possano imporre ad un consorzio come la PSA di non chiudere una fabbrica quando lo ha deciso. Impedire la chiusura di un'impresa significa contestare il potere del padronato sull'economia, e questo necessiterebbe una lotta ben più larga che mettesse in moto almeno l'insieme dei lavoratori del gruppo e minacciasse di andare oltre. Non era alla portata di una frazione ridotta di lavoratori in una sola fabbrica.
Quindi lo sciopero si scontrava con limiti stretti che i militanti hanno potuto verificare, non con ragionamenti astratti ma conducendo una politica ben concreta, sia nel senso dell'estensione che nel senso dell'organizzazione democratica dello sciopero, e respingendo tra l'altro la ricerca di un compratore fittizio.
Rifiutando di seminare illusioni i militanti rivoluzionari hanno cercato di concretizzare e di rendere efficace il rifiuto dei lavoratori di lasciarsi mettere sul lastrico senza reagire. Hanno potuto trascinare centinaia di lavoratori in una lotta determinata, benché limitata, e dare un'idea di ciò che si potrebbe fare, anche in questo contesto di scarsa combattività operaia.
Uno sciopero reso possibile da mesi di mobilitazione
Alla fabbrica di Aulnay, la mobilitazione si è costruita dal giugno 2011, data della rivelazione da parte della CGT del piano segreto della direzione PSA per chiudere la fabbrica nel 2014.
Da quel momento i militanti rivoluzionari hanno cercato instancabilmente di riunire i lavoratori in assemblea, prima perché si convincessero della reale volontà del padrone di licenziarli, poi per cominciare a discutere collettivamente delle possibilità di risposta. Questa abitudine di riunirsi preparava i lavoratori ad agire collettivamente, ed è stata preziosa in seguito.
Per mesi i militanti hanno cercato di rafforzare i lavoratori della fabbrica, di riunirli il più possibile, proponendo loro di rivolgersi all'insieme dei lavoratori, compresi quelli che da anni seguivano il sindacato indipendente automobile (SIA), legato al padronato e maggioritario nella fabbrica. Pur raccomandando quindi una forma di unità sindacale, i militanti non si sono lasciati rinchiudere in un comitato intersindacale che si sarebbe costituito fuori dal controllo dei lavoratori. Anzi, al tempo stesso cercavano sempre attraverso mobilitazioni puntuali di far sì che i lavoratori si organizzassero.
Gli operai della PSA Aulnay hanno approfittato della campagna presidenziale del 2012 per rivolgersi ai vari candidati. Attraverso queste mobilitazioni hanno visto più da vicino l'atteggiamento dei vari politici, mentre molti avevano qualche illusione su Hollande, e hanno imparato sempre più che bisognava contare solo sulle proprie forze. Questa presa di coscienza è stata importante in seguito.
Il 12 luglio 2012 la direzione ha reso ufficiale il suo intento di chiudere la fabbrica di Aulnay, ponendo fine a tredici mesi di menzogne. I capi hanno spiegato agli operai che avevano un'ora per telefonare alle loro famiglie prima di riprendere il lavoro. Nonostante i lavoratori fossero preparati a questa notizia, conoscerla ufficialmente ha fatto comunque scalpore. La risposta dei militanti della CGT fu di organizzare prima un corteo attraverso la fabbrica, mostrando l'immagine di operai in collera e non divisi, poi un comizio che ha riunito ai cancelli 800 lavoratori, tra i quali alcuni che venivano per la prima volta ad una riunione indetta dai sindacati. I militanti di Lutte Ouvrière (Lotta operaia) proposero l'organizzazione di un comitato di preparazione della lotta, immediatamente votato dai lavoratori presenti. I giorni passati a discutere, a convincere, a mobilitarsi, hanno consentito di risparmiare tempo prezioso, dato che è stato possibile reagire fin da subito, dal giorno dopo, il che sarebbe stato molto più difficile senza i mesi precedenti di riunioni e di organizzazione.
Dopo l'annuncio della chiusura il governo osò solo pronunciare alcune parole contro la PSA. Nel luglio Hollande e il ministro della svolta produttiva Montebourg dissero di non accettare il piano di licenziamenti “allo stato attuale”, ma rapidamente fecero vedere il loro vero volto di zelanti servitori del padronato. Alla fine di agosto Montebourg chiamava i sindacati della PSA “alla responsabilità economica” per non “indebolire” il costruttore. Già a settembre il governo dichiarò che la chiusura di Aulnay era inevitabile. Da quel momento il governo non ha più smesso di sostenere la PSA e in autunno ha assicurato che avrebbe garantito la banca della PSA, PSA-Finanza, fino a 7 miliardi di euro. Successivamente, durante lo sciopero, la complicità del governo si sarebbe affermata ancora più fortemente.
La consapevolezza di queste contraddizioni, acquisita paragonando ciò che i dirigenti del Partito socialista avevano detto durante la campagna elettorale e quello che invece hanno fatto dopo, avrebbe avuto una certa importanza nel seguito della mobilitazione, quando i lavoratori si sono ritrovati a dover affrontare non solo la PSA, ma anche un governo che non ha mai esitato ad inviare la polizia e a condurli davanti ai tribunali.
I lavoratori imparano come dirigere la propria lotta
Nell’estate del 2012 il rapporto di forza nella fabbrica non consentiva di iniziare immediatamente uno sciopero. Invece era possibile preparare la lotta e far progredire l'organizzazione dei lavoratori. Da settembre i militanti hanno cominciato a organizzare assemblee generali, raggruppando al massimo 300 lavoratori in ogni turno. Si era ancora ben luntani dal coinvolgere l'insieme della fabbrica nell'azione, ma parecchie centinaia di lavoratori volevano lottare contro la PSA. Nonostante le pressioni della gerarchia sindacale e l'ostilità del SIA, riuscirono a riunirsi ogni settimana fino allo sciopero, anche se il numero dei partecipanti diminuiva col passar delle settimane. Senza dubbio questo aspetto della politica dei rivoluzionari non era secondario. Certamente è importante che i lavoratori entrino in lotta contro gli attacchi padronali. Ma è ancora più importante che imparino a dirigere queste loro lotte, perché è l'unica garanzia di poter condurre fino in fondo la battaglia contro il padronato senza essere in balia dei tradimenti di direzioni sindacali o politiche, pronte a salvare la faccia alla borghesia. E siccome da decenni queste idee fondamentali del movimento operaio sono combattute dalle correnti sindacali riformiste, bisogna avere volontà politica e militante per realizzare questa forma di organizzazione dei lavoratori.
Uno degli aspetti del controllo dei lavoratori sulla propria lotta è stata la decisone diretta delle proprie rivendicazioni. Se tutti denunciavano la chiusura della fabbrica, nondimeno centinaia di lavoratori di Aulnay si trovavano di fronte ad un cosiddetto “piano sociale”, o “piano di salvaguardia dell'occupazione”, cioè in realtà un piano di ristrutturazione e di licenziamenti. Nell'autunno 2012 si svolsero molteplici riunioni in cui i lavoratori discussero delle loro rivendicazioni individuali. Elaborarono insieme un elenco di rivendicazioni votato in assemblea generale, poi firmato da 1600 lavoratori. Le più importanti erano il rifiuto della chiusura della fabbrica, ma anche il ritiro del cosiddetto piano di salvaguardia dell'occupazione, un dispositivo di pensionamento a 55 anni aperto per cinque anni, un contratto a tempo indeterminato per tutti ed un premio di buonuscita in caso di licenziamento valutato in 130.000 euro.
Decidendo le proprie rivendicazioni e mobilitandosi su questa base i lavoratori si scontrarono con l'ostilità di sindacati quali SIA e SUD, che rifiutavano di sottomettersi alla volontà dei lavoratori espressa in assemblea generale.
Verso lo sciopero
Nel frattempo la politica della direzione consisteva nel provare ad esaurire i lavoratori, facendoli aspettare il risultato di trattative fittizie. Così nelle officine il clima divenne di attesa. Tra il settembre e il dicembre 2012 le azioni si moltiplicarono, ma nonostante tutto la mobilitazione rimase limitata ad un nucleo più deciso e determinato, senza trascinare il resto della fabbrica. Contemporaneamente aumentavano le tensioni tra quelli che volevano lottare e quelli che speravano ancora miglioramenti del “piano sociale”. La direzione ne approfittò per moltiplicare le provocazioni, sperando così di colpire il nucleo militante che si era costituito. Alla fine del 2012, gran parte dei lavoratori sapevano che non ci si poteva aspettare niente da queste trattative, ma solo una minoranza si poneva davvero la questione di lanciarsi nello sciopero. Invece un nuovo problema si poneva in modo incontestabile. La direzione voleva iniziare un turno di notte nella fabbrica di Poissy il 15 febbraio 2013, per cominciare a spostare la produzione del veicolo C3, perciò rimaneva poco tempo prima che la direzione cominciasse a svuotare la fabbrica. Dunque bisognava provare a cominciare un'azione che potesse trascinare il resto della fabbrica prima di questa data. Il momento era quello o mai più.
Lo sciopero fu quindi il frutto della politica volontaristica dei lavoratori più decisi, senza che ci fosse un'esplosione di collera. Già dai primi giorni di gennaio 2013 i militanti lanciarono le discussioni sulla possibilità di scioperare, di bloccare la fabbrica, sullo sciopero ad oltranza oppure votato ogni giorno, su come riempire la cassa di resistenza. Progrediva l'idea che per provare a far fare un passo indietro alla PSA, per “vendere la nostra pelle più cara possibile”, bisognava passare ad un livello superiore e fermare la produzione della C3 con lo sciopero. Ma niente, tranne l'azione stessa, permetteva di sapere se questa opinione minoritaria poteva essere condivisa più largamente.
Il 16 gennaio alle 6 del mattino, 200 lavoratori erano presenti ai cancelli della fabbrica per chiamare allo sciopero gli altri lavoratori. Poi tornarono nelle officine trascinando gli operai e provocando rapidamente il fermo della produzione. 300 lavoratori si ritrovarono in assemblea generale per votare lo sciopero. Non sapevano allora, e nessuno poteva immaginare, neanche i militanti, che era l’inizio di quattro mesi di sciopero.
I primi giorni lo sciopero prese forza e si estese facendo abbastanza paura alla direzione da farla mollare, per la prima volta, su alcuni provvedimenti del “piano sociale”. Il premio di trasferimento aumentò ed anche il premio di riconversione: in due giorni gli scioperanti ottennero più che in parecchi mesi di trattative. Ma questo non bastò a fermare lo sciopero, anzi: venerdì 18 gennaio gli scioperanti erano circa 600. Allora, già il lunedì successivo la direzione chiudeva la fabbrica, ricorrendo alla serrata per dividerli e provare a disorganizzarli.
Uno sciopero diretto dai lavoratori stessi
Nonostante la serrata gli scioperanti istituirono rapidamente un'organizzazione democratica dello sciopero, prendendo come riferimento l'esperienza dello sciopero del 2007. Si riunivano ogni giorno assemblee generali che prendevano tutte le decisioni; questo ha rappresentato un principio fondamentale e l'unico modo per consentire ai lavoratori di decidere su tutto e partecipare davvero allo svolgimento dello sciopero. Oltre alle assemblee generali fu organizzato un comitato di sciopero, che alla fine si riunì anche quotidianamente e fu il luogo dove discutere le azioni da organizzare, le scelte fondamentali e i problemi da risolvere. Mesi di lotta erano stati necessari perché i lavoratori si sentissero abbastanza forti da dirigere se stessi, ma ormai questa forma d'organizzazione rafforzava la fiducia degli scioperanti nella propria forza e la loro coesione.
Cominciarono a funzionare anche alcune commissioni, con la partecipazione e l'energia di numerosi scioperanti; fra queste una squadra di “bollatori” che ogni mattina segnava la presenza dei lavoratori in sciopero, che presentavano con fierezza la loro tessera di scioperante. La commissione finanze ebbe un ruolo fondamentale e difficile perché i militanti che la costituirono dovettero gestire complessivamente più di 800 000 euro nella più totale trasparenza. Un'altra commissione si incaricò di assumere i collegamenti con varie aziende per far conoscere lo sciopero, organizzare le raccolte di soldi e gli incontri. Infine una squadra di lavoratori prese spontaneamente in mano la preparazione del caffè, del tè e dei pasti, il cui alimento principale era la fratellanza, l'orgoglio e l'allegria di questi lavoratori in lotta.
Ognuno poté scoprire ciò di cui era capace, individualmente e collettivamente. Questo “apprendistato”, anche su piccola scala, era la realizzazione in concreto dell'idea che i lavoratori possono e devono agire loro stessi per la loro emancipazione.
Una politica in direzione di chi non scioperava
Gli scioperanti dovettero anche difendersi contro la campagna di calunnie orchestrata dalla direzione e largamente ripresa dalla stampa. La direzione cercava in tutti i modi, non solo di screditare gli scioperanti ma anche di creare un abisso tra loro e il resto dei lavoratori. Per parecchie settimane delle guardie ostentarono una presenza marziale sul parcheggio per impressionare gli operai. 200 quadri, venuti da altri siti, furono presenti in permanenza di fronte al “piazzale dello sciopero” per intimidire chi veniva alle assemblee. Circolavano anche nelle officine per impedire le discussioni con quelli che non scioperavano e far pressione su di loro in modo da far riprendere il lavoro.
In un primo tempo questa politica di intimidazione poté creare una certa distanza tra scioperanti e non, ma non riuscì a spezzare lo sciopero. Gli scioperanti rimasero parecchie centinaia, e soprattutto seppero combattere questo allontanamento riuscendo finalmente ad appoggiarsi alla simpatia passiva ma reale di chi non scioperava. Per quattro mesi, in nessun momento la direzione poté far ripartire la produzione. Ad impedirlo non era la presenza degli scioperanti, bensì la resistenza dei non scioperanti, il cui sostegno quindi fu un elemento importante dello sciopero. In seguito, ad ogni momento importante dello sciopero, i lavoratori in lotta poterono andare a chiedere ai non scioperanti di partecipare ad azioni puntuali per far pressione sulla direzione.
Uno sciopero militante
Non solo i militanti hanno fatto di tutto per estendere lo sciopero in fabbrica, ma hanno messo in atto davvero una politica in direzione dei lavoratori di altre fabbriche; anche se non si facevano illusioni sulle possibilità di estendere lo sciopero, hanno operato in questa direzione. Questo significava in primo luogo essere capaci di formulare obiettivi tali da favorire il coinvolgimento di altri lavoratori, e questo hanno cercato di fare i lavoratori di Aulnay con il loro slogan: “nessuna fabbrica deve chiudere! Divieto dei licenziamenti!” Così potevano rivolgersi agli altri lavoratori e in primo luogo a quelli del gruppo PSA.
Già il terzo giorno gli scioperanti si recarono ad incontrare i lavoratori della PSA di Saint-Ouen, un'altra città della periferia di Parigi.
Questa fabbrica, quella più vicina ad Aulnay, presentava molti vantaggi. La CGT ha in questo stabilimento il 52% dei voti, i lavoratori hanno una certa abitudine alle lotte, alcuni conoscono dei lavoratori di Aulnay, e inoltre questa fabbrica ha un ruolo strategico nella produzione del gruppo. Venerdì 18 gennaio, 150 scioperanti entrarono a sorpresa nella fabbrica di Saint-Ouen. Mentre la direzione e la polizia li aspettavano davanti, essi si infilarono... dal retro della fabbrica. Questa azione, la prima del genere, era abbastanza spettacolare perché dimostrava la loro determinazione e anche la loro capacità d'organizzazione. Fu ben accolta dai lavoratori di Saint-Ouen, proprio mentre già la PSA annunciava la sua volontà di andare verso accordi di competitività dannosi per tutti. Parecchie volte in seguito i lavoratori di Aulnay tornarono davanti ai cancelli di Saint-Ouen, ma non fu mai possibile trascinare questi loro compagni nella lotta.
La settimana successiva gli scioperanti della PSA andarono ad incontrare i lavoratori della Renault di Flins (a 40 km da Parigi), che scioperavano contro gli accordi di competitività imposti dal loro padrone. Al loro arrivo bastò aprire un cancello per raggiungere gli operai della Renault al grido di “Renault, PSA, stessa battaglia”, in un'atmosfera particolarmente calorosa. La stessa operazione fu ripetuta il 30 gennaio con una visita ai lavoratori della Renault di Cléon (ad un centinaio di km), anche loro in sciopero contro il progetto della loro direzione. Sin dall'inizio dello sciopero gli scioperanti pubblicarono un volantino, il “Manifesto degli scioperanti della PSA Aulnay”, che diffondevano durante le loro visite ad altre fabbriche, nelle stazioni, durante le manifestazioni e le raccolte di soldi di ogni genere.
I lavoratori in lotta della PSA parteciparono a tutte le manifestazioni organizzate contro i licenziamenti o la politica del padronato. Il 29 gennaio raggiunsero quelli della Virgin, che protestavano contro la chiusura del negozio del viale dei Champs-Elysées, e poi una manifestazione che raggruppava quelli della Sanofi, della Goodyear ed altri davanti al Ministero del lavoro. C'è da notare che durante questa giornata di manifestazione del 29 gennaio furono gli unici a fare lo sforzo di andare a tutte le manifestazioni, mentre quelli delle altre aziende rimanevano separati, ognuno per conto suo, pur discutendo della necessaria convergenza delle lotte.
Durante questi quattro mesi alcune centinaia di scioperanti hanno alternato le manifestazioni, soli o con altri lavoratori, e le visite ad altre fabbriche (PSA Saint-Ouen, PSA Poissy, Renault Flins, Renault Cléon, Lear, Geodis, Faurecia, Air France, ecc.) in sciopero o meno. Hanno saputo suscitare una simpatia che si manifestava in molteplici modi: le numerose raccolte di soldi davanti alle aziende, nelle stazioni, ai pedaggi autostradali o durante le manifestazioni, permettevano al tempo stesso di far conoscere lo sciopero e di mostrare a tutti che i lavoratori della PSA non si lasciavano intimidire e avevano il morale alto. Hanno saputo portare avanti nei fatti l'idea che per difendersi i lavoratori possono contare solo sulle proprie forze, utilizzando le proprie armi, le manifestazioni e lo sciopero, e che solo una lotta collettiva può davvero far mollare il padronato.
Ma gli scioperanti, minoritari all'interno della fabbrica, non hanno potuto trascinare gli altri lavoratori della PSA colpiti dallo stesso “piano sociale”, e ancora meno quelli delle altre aziende. A questa constatazione non si è arrivati con un ragionamento astratto, ma conducendo una politica di lotta volontaristica e decisa in direzione degli altri lavoratori. Non è stato il bilancio di un fallimento, ma il segno di una lucidità indispensabile per proseguire la lotta.
Questo non ha impedito ai lavoratori di condurre lo sciopero il più avanti possibile. Infatti il modo migliore di preparare il futuro, di preparare le lotte future, era far in modo che i lavoratori traessero da questo rapporto di forza quanto più potevano, e soprattutto far in modo che la lotta fosse collettiva e democratica, sia per le decisioni che per l'attuazione delle decisioni.
Quando lo sciopero si trovò ad una svolta, poiché la situazione era bloccata e la direzione continuava a reprimere gli scioperanti, essi discussero tutti i problemi, tutte le divergenze, tutte le difficoltà. E fu tutti insieme, coscientemente, che decisero di portar avanti lo sciopero, rifiutando di riprendere il lavoro mentre alcuni dei loro compagni venivano licenziati. Con la scelta di proseguire lo sciopero, per settimane i lavoratori, pur essendo solo alcune centinaia, pur avendo contro di loro il padronato e il governo, moltiplicarono le azioni, annunciate o “a sorpresa” in direzione della PSA, del padronato e del governo, tutti furiosi di essere contestati con una tale determinazione.
Il 28 marzo, 130 lavoratori entrarono senza difficoltà nella sede centrale del Medef (La Confindustria francese), centro del potere padronale. Questa nuova dimostrazione di forza non piacque ai padroni; non riuscivano a digerire il fatto di non essere più padroni in casa propria. Questa volta, i gendarmi che aspettavano i lavoratori all'uscita li fecero salire tutti sui pullman della polizia.
La più riuscita tra le diverse e numerose azioni fu l'intrusione al Consiglio nazionale del Partito socialista, sabato 13 aprile alla Città delle Scienze di Parigi. La polizia era schierata alle uscite della metropolitana, pensando di intrappolare i manifestanti in questo modo. Ma ancora una volta l'organizzazione e la decisione degli scioperanti ebbero ragione delle forze di polizia e degli agenti di sicurezza del Partito socialista.
Non solo queste azioni facevano parlare dello sciopero della PSA e consentivano di rompere parzialmente il suo isolamento, ma erano una dimostrazione di forza e di coesione. Il modo in cui lo sciopero era organizzato e la volontà di proseguire la lotta resero possibile la reazione dei lavoratori che non volevano chinare la testa.
L'ostilità della direzione confederale CGT
La forma assunta da questo sciopero spiega anche l'atteggiamento della direzione confederale CGT. Se lo sciopero ebbe il sostegno massiccio, finanziario e morale di molti militanti CGT e dell'unione provinciale CGT di Seine-Saint-Denis, la direzione confederale invece rimase molto distante. La direzione CGT non ha considerato sua questa lotta, a causa della presenza di militanti rivoluzionari alla testa del sindacato di Aulnay, ma soprattutto perché non poteva vedere favorevolmente l'organizzazione autonoma dei lavoratori. Anche se niente le poteva far temere una generalizzazione della lotta nell'insieme della classe operaia, il fatto che i lavoratori si organizzassero e decidessero loro stessi era guardato con grande sospetto o addirittura ostilità dai dirigenti sindacali, più abituati a fare gli avvocati dei lavoratori che a lasciarli organizzare la propria difesa.
D’altra parte la politica della CGT non consiste affatto nel preparare i lavoratori ad un vero scontro con il padronato: anzi, anche se esistono centinaia di migliaia di militanti e di lavoratori coscienti in questo paese, la direzione confederale non è capace di proporre loro nessuna politica, tranne la contrattazione sul terreno del padronato oppure sulla competitività o su una cosiddetta “altra politica industriale”.
Anche in questo contesto di debole combattività operaia, lo sciopero di Aulnay è stato una dimostrazione di ciò che sarebbe possibile fare. Ha dimostrato che esistono lavoratori coscienti pronti a condurre battaglie, anche ristrette, ma che in fondo riguardano tutta la classe operaia. E si è visto con lo sciopero di Aulnay fino a che punto una lotta, anche minoritaria, incontra la simpatia degli altri lavoratori e alla fine rialza il morale di molti di loro, a cominciare da quelli che hanno fatto lo sciopero e ne sono orgogliosi.
L'atteggiamento del sindacato Sud di Aulnay
È interessante commentare per inciso la politica dei responsabili del sindacato Sud di Aulnay di cui l'NPA (Nuovo partito anticapitalista) qualche volta si è sentito vicino. Tra il giugno 2011 e il luglio 2012 i dirigenti di questo sindacato affermarono senza tregua che le voci di chiusura della fabbrica erano solo menzogne diffuse da Lutte Ouvrière per preparare la sua campagna elettorale, e durante la campagna presidenziale del 2012 si opposero a qualsiasi azione, col pretesto di non fare politica. Solo pochi giorni prima dell'annuncio ufficiale da parte della direzione, i volantini del sindacato cambiarono tono. Nel luglio 2012 Sud fece una svolta a 180° e propose a questo punto “il blocco della produzione”, senza tener conto della mobilitazione effettiva dei lavoratori. In seguito i responsabili di Sud rifiutarono di prendersi in carico le rivendicazioni decise dai lavoratori, col pretesto di difendere il “no alla chiusura della fabbrica”.
A partire da gennaio 2013 i militanti e i tesserati Sud si sono riconosciuti nello sciopero. Ma se i responsabili del sindacato partecipavano alle azioni più mediatiche o alle riunioni più importanti, invece si mantenevano di continuo in disparte dal comitato e dall'organizzazione dello sciopero. Pur partecipando, evitavano di mettersi sotto il controllo dei lavoratori. A marzo, Sud si lanciò in una causa giudiziaria contro il piano sociale senza tener conto dell'opinione degli scioperanti. Questo provocò delle tensioni e i responsabili di Sud sparirono per parecchie settimane, ma tornarono precipitosamente quando le trattative con la direzione ricominciarono, nel maggio 2013, in vista di un protocollo di fine di sciopero. Volevano imporsi nella delegazione contro il parere dell'assemblea generale dei lavoratori. Davanti al rifiuto il segretario di Sud spiegò che mai si sarebbe sottomesso all'opinione dell'assemblea generale, e decise immediatamente di fermare lo sciopero. Solo la metà dei militanti Sud gli ubbidirono, mentre una decina di loro proseguirono lo sciopero con i loro compagni.
Tutto l'atteggiamento di Sud Aulnay è abbastanza significativo del modo in cui un radicalismo di facciata può nascondere una politica che mira ad impedire ai lavoratori di mobilitarsi coscientemente e soprattutto di organizzarsi autonomamente nei confronti degli apparati.
L'NPA e il ritornello sulla convergenza delle lotte
Da parte sua la stampa del Nuovo partito anticapitalista (NPA) non è stata avara di critiche più o meno sincere sul modo in cui i militanti di Lutte Ouvrière conducevano lo sciopero della PSA di Aulnay.
Nel luglio 2012 al momento dell'annuncio ufficiale della chiusura della fabbrica, il giornale del NPA Tout est à nous scriveva a proposito delle prospettive proposte dai militanti di Lutte Ouvrière durante l'assemblea organizzata nel parcheggio della fabbrica: “solo il rappresentante di Sud pronuncia la parola “sciopero”. Per concludere, intervento molto deciso di Philippe Julien della CGT: “non ci lasceremo intimidire, noi ci batteremo e toglieremo alla PSA la voglia di chiudere una fabbrica”. Al tempo stesso un lungo discorso contro “lo sciopero immediatamente” che secondo lui farebbe comodo alla direzione nella sua politica di riduzione dell'attività e di soppressione di un turno. L'unica prospettiva precisa è un'assemblea generale l'11 settembre, preceduta dalla costituzione di un comitato di mobilitazione aperto ai tesserati e non tesserati. L'NPA era rappresentato da una ventina di compagni e Philippe Poutou, calorosamente salutato dai salariati della fabbrica, ha potuto esprimersi davanti ai numerosi mass media presenti.”
Per l'autore dell'articolo, chiamare i lavoratori ad organizzarsi per preparare le lotte future rappresenta solo una prospettiva debole paragonata ad un appello immediato allo sciopero, cinque giorni prima della chiusura della fabbrica per le ferie. Questi compagni, che non smettono di proporre ai militanti sindacali di tutte le correnti di riunirsi e organizzarsi, e ne fanno anche il perno della loro politica, non sembrano capire l'importanza fondamentale di organizzare i lavoratori stessi.
Nel novembre 2012, Tout est à nous scriveva: “l'insufficienza dei tentativi di allargamento agli altri siti della PSA o addirittura ad altre aziende, il rispetto dell'agenda fissata dalla direzione o dagli esperti, l'alleanza privilegiata con l'SIA non hanno consentito di superare le reali difficoltà di mobilitazione”. In chiaro l'NPA affermava che i tentativi di allargamento dell’azione di lotta non erano stati abbastanza numerosi perché i militanti privilegiavano il calendario dei negoziati imposto dalla direzione, e volevano mantenere l'alleanza con l'SIA. Su quest'ultimo punto, bisogna notare che nel novembre 2012 non si trattava più di parlare di politica di unità con l'SIA, mentre non si era mai parlato di alleanza. Inoltre, anche nel periodo in cui erano state fatte azioni comuni con l'SIA, questo non aveva impedito ai militanti di mobilitarsi, e ancora meno di favorire l'organizzazione dei lavoratori.
Quanto ai tentativi di allargamento, bisogna davvero non conoscere la realtà per affermare che non sono stati abbastanza numerosi. I lavoratori in lotta della PSA di Aulnay hanno fatto tutto ciò che era nelle loro possibilità per rivolgersi agli altri lavoratori e per favorire un'estensione delle lotte.
Ma in realtà non è questo che l'NPA rimprovera davvero ai militanti di Lutte Ouvrière. Ciò che critica è in realtà il fatto di non far propria la volontà di NPA di creare dei collettivi con militanti sindacalisti di imprese che sono di fronte ai licenziamenti, sperando che la costituzione di questo tipo di struttura possa stimolare la combattività. Nel marzo 2013 Tout est à nous scriveva di nuovo: “il problema è che lo sciopero non si è rafforzato all'interno (300 scioperanti circa davanti alla sede della PSA durante la riunione del Comitato centrale aziendale) e che le prospettive dell'estensione agli altri siti o di convergenza con gli altri salariati coinvolti in piani di licenziamenti non sono evidenti. E infatti l’esempio di uno sciopero, pur determinato che sia, non crea un movimento, non nella situazione attuale almeno. La convergenza quindi può essere solo una politica volontaristica costruita con i contatti tra le squadre militanti, tenendo conto dei ritmi propri di ogni mobilitazione”. L'illusione che uno sciopero, con il suo esempio, possa trascinarne altri, esisteva sicuramente nella testa dell'autore dell'articolo, ma non in quella dei militanti Lutte Ouvrière di Aulnay. Inoltre, c'è da notare che dopo aver ammesso la difficoltà di estendere il movimento, l'NPA spiega che quindi è necessario riunire le “squadre militanti”.
Da anni la politica dell'NPA consiste nello sperare che dei militanti accettino di formare con questo partito strutture indipendenti dai lavoratori, sul più piccolo denominatore comune, piuttosto che condurre una politica rivoluzionaria all’interno della classe operaia. Eppure lo sciopero di PSA Aulnay è stato positivo. Alcune centinaia di lavoratori hanno dimostrato per parecchi mesi che la lotta era possibile. Gli scioperanti di PSA Aulnay sono andati fino in fondo alle loro possibilità. Anche solo questo è una vittoria morale: tutti quelli che si sono sentiti rappresentati da questi lavoratori incazzati e in lotta lo sanno bene. Sono stati in molti a sentire quanto faceva bene vedere dei lavoratori contestare il padrone, combatterlo e rialzare la testa.
Ma innanzitutto, in questo sciopero i lavoratori hanno imparato che potevano prendere in mano il loro destino e decidere della loro lotta. In un'intervista del 20 giugno Philippe Julien, militante di Lutte Ouvrière e segretario del sindacato CGT di PSA Aulnay spiegava:
“La difficoltà maggiore di uno sciopero - come di ogni movimento e anche dell'intera società - è di far sì che i salariati, che sono esseri umani, riescano a discutere insieme dei loro problemi, degli obiettivi che vogliono raggiungere e a decidere collettivamente. È complicato dirigersi in modo democratico, riuscire a fare una stessa e unica cosa partendo da centinaia di pensieri diversi. Come fare perché la diversità dei punti di vista non si annienti e consenta di costituire una forza?
È un po' quest'alchimia che si è prodotta durante lo sciopero. Come succedeva in una certa epoca del movimento operaio: con il comitato di sciopero. In fondo è una cosa semplice: si tratta di far in modo che i salariati discutano e decidano insieme ciò che vogliono fare. Ovviamente non si parte da zero. Ci sono sempre in una fabbrica militanti che hanno un'esperienza e sono la memoria della fabbrica. A Aulnay il primo grande sciopero fu quello del 1982. (...)
La questione chi si poneva era: è possibile agire insieme? Mentre tutta l'organizzazione di una fabbrica, e anche della società, mira a lasciar pensare il contrario. Fino al suo posto di lavoro un operaio si vede dettare ciò che deve montare, in quale ordine, in che modo, ogni gesto è analizzato. E’ un'alienazione totale. L'organizzazione padronale riesce a mettere migliaia di salariati insieme pur facendone degli individui isolati. (...)
Se abbiamo potuto superare i momenti difficili dello sciopero, è perché degli operai hanno potuto riflettere insieme, mettere a confronto le loro idee, prendere decisioni ed agire. Nella nostra società, da un lato ci sono quelli che decidono e dall'altro quelli che eseguono. In uno sciopero gestito democraticamente, sono gli stessi che decidono e poi eseguono. La famosa separazione tra il potere legislativo ed esecutivo sparisce. È una ripresa delle tradizioni instaurate dalla Comune di Parigi. Questo fa la forza di un movimento di sciopero e questo andrebbe generalizzato all'insieme della società.”
La lotta condotta in comune ha creato legami, una solidarietà, una fratellanza, che hanno trasformato tutti quelli che hanno partecipato a questa battaglia. Nessuno tra gli scioperanti esce da questi quattro mesi identico a ciò che era il 15 gennaio 2013.
Allora, anche soltanto per tutto ciò che si è imparato, questo sciopero è stato una vittoria.
25 giugno 2013