I diritti dei “riders”: una lotta ancora lunga

Il 6 aprile, nella Camera del Lavoro di Firenze, si è svolta quella che è stata presentata come la prima assemblea retribuita dei “riders” in Italia. Un primo piccolo passo verso la perequazione con tutte le altre categorie di lavoratori. È la conseguenza delle varie lotte portate avanti dalla categoria che hanno condotto, a loro volta, alla sentenza del Tribunale di Firenze del novembre scorso. In questa sentenza, indirizzata specificamente contro Deliveroo Italy, si riconosceva ai fattorini o riders il diritto di essere inquadrati come lavoratori dipendenti dall’azienda, con tutti i diritti contrattuali corrispondenti. Nella sentenza, tra le altre cose, è espressamente detto che un precedente contratto firmato dalla sola UGL, il sindacato tradizionalmente vicino ai partiti di destra, è da ritenersi nullo. L'UGL ha giocato il ruolo che lo Statuto dei lavoratori definisce come “sindacato di comodo”, ovvero mera foglia di fico per realizzare la volontà padronale. Un bel titolo d’onore per chi dice di voler tutelare i lavoratori!

Ma, sentenze a parte, la strada per la perequazione dei riders con gli altri lavoratori è - nei fatti – ancora molto lunga. Un quadro della situazione lo ha offerto il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nel corso di una recente audizione parlamentare. Nell'ottobre 2021, un’altra sentenza, questa volta del Tribunale di Milano, aveva condannato le più importanti piattaforme di delivery food a pagare una multa di 155 milioni di euro per contributi evasi e sanzioni relative. Si può capire che con i bilanci di questi colossi, una multa del genere è acqua fresca. La sola Deliveroo, con sede in Inghilterra, ha un giro di affari di quasi 2 miliardi di sterline. Tridico ha affermato che, da quella sentenza in poi, “non risultano più lavoratori dichiarati nei nostri archivi”. Le aziende in questione, infatti, “li dichiarano come prestatori occasionali, fino a 4999 euro l’anno, salvo poi interrompere il rapporto di lavoro per non sfondare il tetto dei 5000 euro previsto dalla legge”. E tutto questo nonostante i precedenti impegni pubblici, più o meno solenni, presi dai portavoce aziendali.

Secondo l’Inps, i lavoratori che operano nel settore sono almeno 30mila. Cresciuti nel corso della pandemia. Nonostante ciò, nel 2020 i dipendenti iscritti alle casse previdenziali dalle prime 50 società di consegna a domicilio erano poco più di 1400.

Ogni volta che ci si addentra nel mondo delle imprese ci si trova di fronte alla stessa realtà: una classe padronale che è pronta a qualsiasi frode pur di incrementare i propri profitti.

RC