Dire la verità è sempre rivoluzionario (Gramsci)
Il 5 giugno, un supplemento speciale del Messaggero dedicato al “compleanno” dell’Arma dei carabinieri titolava: “L’Arma festeggia 207 anni della sua storia costruita sulla passione della democrazia”. Ora, non bisogna essere degli specialisti in storia per sapere che l’unità d’Italia è stata proclamata ufficialmente “solo” 160 anni fa.
Questo ci porta a credere che la sua “passione della democrazia” questo corpo di polizia militare l’abbia esercitata nel solo Regno di Sardegna per ben 47 anni, servendo una monarchia assoluta prima e una semicostituzionale poi. C'è da credere però, che nel 1814, anno della nascita dell’Arma, e anno, non a caso dell’inizio della Restaurazione in Europa, le simpatie del Re Vittorio Emanuele I, concessore delle “regie patenti” che consentirono la formazione di questo nuovo corpo, non fossero esattamente democratiche. I democratici, anzi, erano duramente perseguitati e i carabinieri avevano il compito di arrestarli. Questa è la pura e semplice verità che, come succede sempre - e ovviamente non ci riferiamo soltanto a una titolazione infelice del quotidiano romano - entra in urto con la retorica tronfia delle celebrazioni ufficiali e soprattutto con la “narrazione”, come va di moda dire, della storia italiana, e quindi dell’ “identità nazionale”. Non a caso, Giovanbattista Scapaccino, il primo carabiniere insignito della medaglia d’oro al valor militare, fu vittima della guerriglia scatenata dai democratici mazziniani in uno dei tanti infruttuosi tentativi di insurrezione del Risorgimento. Era il 1834 e il fatto avvenne a Les Echelles, in Savoia, a quei tempi parte del Regno di Sardegna. La motivazione della medaglia spiega che cosa accadde: “Per aver preferito farsi uccidere dai fuoriusciti nelle mani dei quali era caduto piuttosto che gridare Viva la Repubblica, a cui volevano costringerlo, gridando invece Viva il Re!
Certo, lo Scapaccino non morì per la democrazia ma per fedeltà nei confronti di una monarchia assolutista. “Nei secoli fedele” è il motto dell’Arma. Un motto che rende concreta e facilmente comprensibile l’affermazione di Marx secondo la quale gli Stati borghesi non hanno fatto altro che ereditare e perfezionare le macchine statali dei regimi precedenti, sistemi repressivi compresi. In questi 207 anni di esistenza, dei carabinieri sarebbe veramente insensato vedere una continuità nella tutela della “democrazia”. Il più grande teorico e fondatore del movimento democratico italiano, Giuseppe Mazzini, è morto undici anni dopo l’unità d’Italia e su di lui pesavano ancora due condanne a morte. I regi carabinieri avevano semplicemente l’ordine di arrestarlo.
Una bugia, anche se ripetuta all’infinito, non diventa per questo una verità. Come ogni altro apparato dello Stato italiano, l’Arma è stata coinvolta nel colonialismo, nell’avvento del fascismo, nella persecuzione degli ebrei, nel tentativo di colpo di stato del 1964, e così via. Questa è la pura e semplice verità storica. L’acquisizione di una coscienza politica rivoluzionaria passa anche dalla demistificazione delle tante favole di cui è fatta la cosiddetta “identità nazionale”.
RC