L’amore a intermittenza del ministro Brunetta per i dipendenti pubblici. Non c’è rappresentante del nuovo governo che non giuri di essere diverso da come si era presentato anni fa. Draghi non sarebbe più il banchiere che aveva messo il bastone fra le ruote al popolo greco che cercava di affrancarsi dai velenosi memorandum dell’Unione Europea, la ministra Gelmini non taglierà più fondi, ore di didattica e dignità alla scuola (anche solo perché le hanno dato un altro ministero)... Brunetta, tornato invece allo stesso identico ministero che aveva già ricoperto e le cui conseguenze sono ancora ben visibili nelle buste paga (a partire dal blocco delle progressioni di qualifica) e nei carichi di lavoro dei lavoratori pubblici che, su stessa ammissione del famigerato giustiziere dei dipendenti a suo dire “fannulloni”, sono stati ridotti di un milione solo nell’ultimo decennio (ma anche nei decenni precedenti c’era già stato un graduale blocco del turn over), giura e spergiura che questa volta non è venuto per togliere ma per dare! Il ministro non si fa nessun problema, nelle interviste rilasciate nei vari salotti mediatici, a dichiarare che i dipendenti pubblici sono per lui il “sale della democrazia” e che quando usava il termine “fannulloni” si riferiva a una piccola minoranza di “furbetti” (altra gratificante espressione da lui coniata e poi divulgata dai suoi degni successori ed emuli). Peccato che ai lavoratori pubblici non sia arrivata questa sensazione che ad essere presi di mira fosse un’esigua minoranza ma, al contrario, che lo stigma di privilegiati parassiti fosse stato (e continui ad essere) attribuito proprio a tutti. Adesso il nostro eroe salvatore della P.A. e il governo della “ripresa economica che verrà” dichiarano di voler assumere migliaia e migliaia di lavoratori nella P.A. non tanto per migliorare i servizi ai cittadini, ridotti all’osso negli ultimi decenni, quanto perché bisogna spendere i tanti soldi del recovery fund e per farlo è necessario avere molte risorse umane e in modo particolare c’è bisogno di personale esperto in rendicontazioni di progetti europei. Ma non è il caso di montarsi troppo la testa: tale personale sarà assunto a tempo determinato e, con la scusa dei tempi stretti, sarà reclutato tramite uffici di collocamento quindi si tratterà, chiamiamo le cose col loro nome, di lavoratori esternalizzati e precari, con una vaga promessa di stabilizzazione dopo qualche anno di bieco sfruttamento. E ovviamente, nel frattempo, non verrà minimamente messo in discussione il micidiale strumento della valutazione delle performance, tetra brutta copia del lavoro a cottimo in salsa moderna per ora limitato all’attribuzione del premio di produttività ma che, dietro a una facciata di valorizzazione al merito, nasconde il chiaro disegno di dividere i lavoratori (mettendoli in competizione fra loro) in modo che non si uniscano per reclamare i più semplici dei diritti, come i rinnovi dei contratti nazionali, l’allargamento degli scatti di anzianità a tutte le categorie, la moratoria delle sanzioni economiche sui primi 10 giorni di mutua, il rientro ad un età pensionabile ragionevole e di buon senso. Per ultimo ma non meno importante, ricordiamoci che la P.A. non è una banca e il suo scopo non può essere quello di passare denaro dalla UE agli affaristi locali, quindi le assunzioni non possono limitarsi a qualche migliaio di rendicontatori (per quanto utilissimi) ma devono “ricomparire” tutti gli insegnanti, gli educatori, i ricercatori, i medici, gli infermieri, gli operatori socio-sanitari, gli impiegati, i vigili, gli autisti e i ferrotranvieri scomparsi negli ultimi decenni e devono avere un contratto normale, una paga adeguata e condizioni di lavoro a misura umana, cioè non basata sulla competizione ma sulla collaborazione per il benessere di tutte e tutti.
Corrispondenza Torino