Porte aperte al virus...in val seriana e oltre

IL FOCOLAIO - DA BERGAMO AL CONTAGIO NAZIONALE di Francesca Nava Un'inchiesta sull'epidemia in Val Seriana


Francesca Nava è una giornalista bergamasca, fra le prime che hanno svolto un'inchiesta sul rapido sviluppo del virus nel nord Italia, e nella provincia di Bergamo in particolare. Il libro che ha raccolto le sue indagini sulle tragiche conseguenze della mancata chiusura dell'ospedale di Alzano Lombardo e della vicina zona infetta di Nembro e comuni limitrofi è uscito a settembre, quando già cominciavano a farsi sentire le prime conseguenze dell'apertura estiva e poi della ripresa autunnale, con le scuole aperte, i mezzi di trasporto intasati, le fabbriche e i servizi in funzione.

Ormai al famigerato Covid 19 si sono aperte le porte in tutta Italia, dalla Lombardia alla Sicilia, e a qualcuno potrebbe sembrare superfluo indagare sul perché e il percome l'epidemia si sia diffusa con tanta letale rapidità prima di tutto nella provincia bergamasca, segnatamente in Val Seriana, a pochi chilometri dal capoluogo (appena 6, per la precisione). Ma non è una domanda inutile, considerando che, se di errore si fosse trattato, prudenza e discernimento avrebbero voluto che l'errore non si dovesse ripetere. Fatto sta che non si è trattato di un errore, per quanto grave. Francesca Nava parla di "peccato originale" per la data del 23 febbraio, la stessa in cui viene attivata la zona rossa in dieci comuni del lodigiano e in quello di Vo' Euganeo, in Veneto. A questa data in Lombardia, a quanto pare, erano già stati registrati numerosi casi di polmoniti interstiziali anomale, refrattarie alle cure; ciononostante il 19 febbraio, per ovvie ragioni di interessi economici, si svolgeva regolarmente la partita Atalanta-Valencia, alla quale hanno assistito 36.000 persone. Secondo il servizio di un'altra equipe di giornalisti, quella di di Report, apparso in televisione il 9 novembre, in quell'occasione sarebbero state contagiate dalle 7800 alle 8200 persone. Il 21 febbraio la Lombardia registra già circa 380 casi positivi, vieta tutte le manifestazioni, chiude tutte le scuole e le università, per quanto il presidente della Regione, Attilio Fontana, dichiari in una conferenza stampa che "non c'è un allarme definitivo". Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio, nell'ospedale di Alzano Lombardo sono già 3 i malati con febbre alta e polmonite interstiziale. Il 23 febbraio, passando dal pronto soccorso, arriva un quarto paziente con gli stessi sintomi. Per merito di un medico che decide di violare i protocolli (imporrebbero di testare solo i malati provenienti dalla Cina), all'ospedale di Alzano il 23 febbraio si sa perfettamente che il virus è entrato in ospedale. Ma, a differenza di quanto avvenuto a Codogno, ad Alzano non ci sarà una zona rossa. Il direttore dell'ospedale chiude il pronto soccorso, che inspiegabilmente dopo un paio d'ore viene riaperto, senza essere sanificato, senza fermare i reparti, ordinando al personale il silenzio assoluto con la stampa. Perché?

Il libro affronta questa domanda sotto vari aspetti: la carenza di tamponi diagnostici, gli ospedali pubblici lasciati al loro destino da quella stessa Regione in cui l'eccellenza nella sanità è quella a caro prezzo delle strutture private; i presidi destinati alla prevenzione lasciati senza fondi; il controllo del territorio, con i medici di base, abbandonato. E infine, gli interessi famelici delle imprese in una zona pesantemente industrializzata, dove la Confindustria locale si è battuta ferocemente per tenere tutto aperto, mentre negli ospedali si era costretti a scegliere chi curare, e nelle case la gente moriva senza assistenza; i meschini interessi di partito, con la gente piazzata nei posti giusti, prona ai diktat del politico leghista di turno, disposta a non prendere le decisioni necessarie per non rimetterci il posto, etc. etc. Un panorama desolante, lontano anni luce dai patetici servizi televisivi in cui tutti si mostrano generosi e solidali. E' l'altra faccia della società, spietata come è spietato il sistema economico che la sostiene.

Oggi che la seconda ondata dell'epidemia sconvolge tutta l'Europa, in Lombardia - a quanto pare - nulla è cambiato. Il sito dell'ospedale San Raffaele di Milano, lo stesso dove è stato curato l'ex cavaliere Silvio Berlusconi, malato di Covid, a cui era dedicato un intero piano del reparto solventi; lo stesso in cui opera Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e rianimazione, che aveva dichiarato il Covid morto a fine maggio; proprio quello, il sito dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele, si è dotato di un'apposita struttura per l'assistenza ai malati di Covid. Mentre la gente fa la fila davanti ai pronto soccorso, mentre gli ospedali scoppiano e la gente non sa a chi rivolgersi per trovare assistenza o anche semplicemente per procurarsi una bombola di ossigeno, tra numeri verdi che non funzionano e medici di base che non rispondono, il San Raffaele ha la sua risposta: un consulto telefonico o video per 90 euro e un pacchetto di prestazioni domiciliari per 450 euro, pagamento anticipato e comprovato. 540 euro, se ce li hai, e ti puoi curare. Il diritto alla salute è roba superata. Evvai con la sanità privata.