Alle Officine Meccaniche Cerutti tutto è come prima, anzi peggio

Quando la ricerca storica espressa da una società superiore al capitalismo si volgerà alle interpretazioni diffuse e contemporanee all'emergenza coronavirus avrà abbondanza di materiale per constatare quali clamorose stupidaggini potevano essere fatte impunemente e autorevolmente circolare con il beneplacito di sua maestà il capitale.

Apparirà alla luce del sole ciò che oggi solo la denuncia dei militanti marxisti e dei lavoratori coscienti osa affermare senza reticenze e tentennamenti: la solfa del “nulla sarà come prima”, della primavera umanista di una nuova collettività sbocciata nell'eccezionalità dell'epidemia era ed è una menzogna volta ad occultare come l'emergenza pandemica non poteva e non può mettere tra parentesi i rapporti sociali, le logiche, le miserie e gli orrori del capitalismo. Ma, anzi, il concreto definirsi dei termini dell'emergenza porta le stigmate di questo modo di produzione e di questa società. Alla fine del tunnel delle restrizioni ci attende un sistema che in realtà mai ci ha abbandonati ma che, semmai, diventerà ancora più spietato e duro nei confronti della classe subalterna. Le conferme vanno inesorabilmente moltiplicandosi sul territorio.

Prima dello scoppio dell'epidemia, tristi presagi occupazionali incombevano sulle Officine Meccaniche Cerutti, uno degli storici insediamenti industriali di Casale Monferrato, prima, e di Vercelli poi.

Chiusa la prima fase acuta dell'emergenza, la situazione si è puntualmente accelerata, con effetti ancora più dolorosi per i lavoratori. Ormai si profila nettamente una drastica ristrutturazione dell'azienda di produzione di macchinari per la stampa e l'imballaggio. Lo stabilimento di Casale Monferrato continuerà ad operare con la costituzione di una nuova società e impiegando 128 addetti, mentre per lo stabilimento di Vercelli, aperto nel 1969, si annuncia la chiusura, con 160 lavoratori in cassa integrazione straordinaria fino al gennaio 2021. «All'improvviso in mezzo alla strada». Così ha titolato in prima pagina il 12 giugno La Sesia, giornale di Vercelli e provincia, riportando le dichiarazioni degli operai in sciopero davanti ai cancelli.

Anni e anni di sacrifici pagati dai lavoratori della Cerutti – dallo spostamento da uno stabilimento all'altro fino al part time – non sono bastati a scongiurare quello che sulla scala vercellese si profila come un allarme occupazionale, con decine di lavoratori di fronte al rischio concreto di essere lasciati, presto o tardi, in mezzo ad una strada. Lavoratori in molti casi di età avanzata, che hanno speso una vita intera in azienda, che hanno conferito all'azienda il meglio delle loro energie e della loro professionalità, oggi si ritrovano, lungi dal vedersi riconosciuta la fatica e il sacrificio di un'esistenza, drasticamente penalizzati in quel mercato del lavoro che – come vuole il capitalismo – non può che fare della vita e del lavoro dell'essere umano una pura e semplice merce.

Questo che può apparire un tragico paradosso sulla scala dei valori e dei meriti con cui l'attuale società tende ideologicamente ad autorappresentarsi è in realtà un esito perfettamente coerente con le essenziali leggi del capitalismo. Queste leggi hanno governato e dilaniato il mondo prima e durante l'emergenza coronavirus. Oggi imprimono con ancora più ferocia il loro marchio sulla pelle della forza-lavoro. Le insulse e intossicanti storielle sul capitalismo che si addolcisce per moto naturale, per l'avvento di una superiore coscienza umana che prescinde dalla lotta di classe, non sono innocenti fantasie. Fanno parte a pieno titolo dell'arsenale capitalistico. Guardare con chiarezza, con lucidità, senza ingannevoli illusioni, alla realtà dell'antagonismo di classe è una condizione essenziale perché i lavoratori possano lottare contro un sistema che agirà sempre per calpestare la loro umanità.

Corrispondenza Vercelli