Documento lavoratori FCA sulla crisi coronavirus
Pubblichiamo qui il documento scritto da un gruppo di lavoratori del gruppo FCA, che condividiamo pienamente
“ Il capitalismo è un morto vivente che cammina, lor signori pur di difendere la loro società e i loro privilegi sono pronti a passare su milioni di cadaveri per ricominciare come prima e peggio di prima”
Compagni operai, compagni lavoratori, la situazione che stiamo vivendo non nasce dal nulla, è frutto di un sistema di produzione che da sempre privilegia il profitto a scapito della salute, della vita di miliardi di esseri umani.
A una crisi economica profonda che va alle radici del sistema capitalistico si accompagna una crisi ambientale di portata epocale frutto di un modello di sviluppo che ha distrutto gli equilibri dell’intero ecosistema.
Da tempo una grande parte del mondo è dilaniata da guerre, epidemie, basta pensare che ad oggi 1 miliardo di esseri umani non ha accesso all’acqua potabile, una grande fetta della popolazione mondiale vive con meno di un dollaro al giorno.
Oggi anche qui in Occidente la crisi economica colpisce gli operai, i lavoratori e per la prima volta dopo sessant’anni l’Occidente si trova ad affrontare una crisi sanitaria che mai ci si sarebbe immaginati.
Il modello di sviluppo capitalistico non è più in grado di garantire un futuro di benessere all’intera umanità, ha fatto il suo tempo, oggi mostra sempre piu’ il suo vero volto: un volto sempre più feroce, sempre piu’ pronto a sacrificare vite umane in nome del profitto.
L’intera umanità è in pericolo.
Lo stiamo vivendo in questi giorni con l’epidemia del Covid 19 (Coronavirus) un’epidemia che non solo poteva essere evitata ma che avrebbe potuto essere affrontata in modo molto diverso se non ci fossero state le politiche dei tagli e di privatizzazione del sistema sanitario, politiche attuate in tutta Europa con particolare intensità in Italia.
Di fronte alla situazione che stiamo vivendo in questi mesi non possiamo non denunciare due grandi crimini che sono avvenuti nel nostro Paese e non solo:
1 Lo smantellamento del sistema sanitario pubblico e le politiche di privatizzazione: In questi ultimi dieci anni sono stati sottratti alla sanità ben 37 miliardi di euro. E’ stata seguita una politica che ha portato alla chiusura di ospedali, a non investire in attrezzature sanitarie, all’attuazione della riduzione dei posti letto, alla mancata assunzione di personale medico e infermieristico.
E oggi di fronte all’emergenza sanitaria il sistema sanitario italiano è al tracollo, ce lo spiega bene in un’intervista sul Fatto Quotidiano il Primario del Reparto di Infettivologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, una delle zone più colpite dall’emergenza del contagio Covid 19 inseime alla provincia di Lodi.
Dice il primario “...essendo il sistema emergenze-urgenze sotto stress capita che molti siano un pochino abbandonati. Ci chiamano e c’è gente che dice di aver atteso ore e quando richiamano ci dicono che nel frattempo qualcuno è morto...Chi non è malato e non è morto, è contagiato, quello che vediamo nei dati ufficiali è solo la punta dell’iceberg. “
E prosegue “Non abbiamo screening di casi sommersi ma sappiamo che molti muoino a casa, nelle Residenze sanitarie assistenziali. Il dato pulito lo avremo tra qualche mese con l’ Istat.”
Poi – continua il primario- “ ci sono gli altri morti: le emergenze e le urgenze prima venivano gestite in pochi minuti , adesso i tempi sono molto piu’ lunghi. Ci capita tutti i giorni di persone che dicono di aver atteso tanto e ci capita che, ahimè, dicono che hanno qualcuno in casa che sta male e poi ci ritelefonano per dire che è morto...Ci saranno due tipologie di morti: quelli per coronavirus e quelli per altre patologie perchè non sono stati trattati con la tempestività e qualità di cura...”
Sostanzialmente da questa intervista si capisce chiaramente, che se già prima dell’emergenza il sistema sanitario rispondeva in modo non sempre adeguato e tempestivo, oggi non è assolutamente in grado di seguire la maggioranza delle persone che si ammalano e non sono in ospedale.
Questo è il risultato tangibile dei tagli alla sanità e della privatizzazione avvenuti negli anni.
Lo stesso personale sanitario oggi lavora con attrezzature insufficienti a cominciare dai mezzi di protezione individuale, sono molti gli infermieri e i medici contagiati, a cominciare dai medici di famiglia. Ci sono già stati morti tra il personale sanitario.
Non ci sono abbastanza letti, non ci sono abbastanza posti nei reparti di rianimazione.
2. Il contagio in queste dimensioni poteva essere evitato
A Bergamo il 26 febbario c’erano solo 20 casi di contagio per coronavirus, il giorno seguente i casi diventano 72.
Il 28 febbraio, la Confindustria bergamasca, a conoscenza del contagio in atto fa un video “Bergamoisrunning” per tranquillizzare i suoi partner internazionali in cui si dice, in inglese, “il rischio nella zona è basso”, che l’Italia ha preso ampie misure di protezione e che ”le nostre aziende non sono contagiose”.
Iniziano le proteste tra gli operai preoccupati per la situazione. L’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, esclude l’istituzione di una zona rossa nel bergamasco per isolare il contagio.
il 27 febbario imprese e sindacati confederali CGIL, CISL e UIL redigono un documento congiunto per dire che “dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate”.
Bergamo is running, la produzione non si ferma e inevitabilmente il contagio dilaga.
Mentre gli operai chiedevano la chiusura delle aziende per isolare il contagio i sindacati confederali e le imprese da Confindustria, alla Coldiretti, alla Legacoop erano tutti d’accordo a continuare a tenere le aziende aperte come se non stesse succedendo niente.
I 72 casi di contagio del 27 febbraio diventano così 103 il 28 febbario, 209 il primo marzo, poi 243 e in pochi giorni arrivano a 4.645. Il resto della storia la conosciamo. Il contagio è dilagato.
Dite voi se questo non è un crimine commesso in nome del profitto.
Questa è la dimostrazione lampante, se ce ne fosse ancora bisogno, che delle nostre vite non è mai fregato nulla a nessuno.
Quando qualcosa è cambiato a nostro favore è successo perchè abbiamo lottato organizzati e uniti. Ed è così anche oggi. Sono stati gli scioperi degli operai del settore metalmeccanico, degli operai della logistica, dei lavoratori del commercio che hanno costretto il Governo Conte e i sindacati a decretare la chiusura delle attività non indispensabili, chiusura non ancora del tutto chiara visto che tocca un’ampia gamma di settori che rimangono attivi tra cui quello della produzione bellica (F35 ecc..). Nelle aziende del gruppo Agnelli – Elkann, da Torino a Cassino, da Atessa a Pomigliano, da Termoli a Melfi ecc. gli operai ovunque hanno mandato all’aria il tentativo padronale di imporre la continuità della produzione. Con l’adesione agli scioperi e con altre forme di astensione dal lavoro gli operai hanno costretto gli Agnelli-Elkann ad ingoiare l’interruzione della produzione che oggi, alla chetichella, vorrebbero far ripartire in spregio agli stessi divieti per le attività produttive non essenziali e per di più chiedendo agli operai una riduzione del 20 % dei loro stipendi.
Noi sappiamo però una cosa che la sicurezza all’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro la dobbiamo garantire noi operai, noi lavoratori, non saranno certo i padroni e lo Stato a farla applicare.
Sappiamo benissimo che per garantire i beni e i servizi di prima necessità che vanno dalla produzione alla distribuzione dei beni alimentari, dalla produzione alla distribuzione dei farmaci e delle attrezzature sanitarie, l’assistenza sanitaria, dallo smaltimento alla raccolta dei rifiuti, alla fornitura di energia elettrica ai servizi di telefonia, all’assistenza tecnica, all’assistenza domiciliare, al trasporto pubblico ecc...migliaia e migliaia di lavoratori devono continuare a lavorare e devono poterlo fare in sicurezza per sè e per gli altri.
Allora sta a noi operai, a noi lavoratori, imporre delle regole per poter lavorare e proteggere noi, i nostri compagni di lavoro, i nostri familiari, i nostri cari. E sta a noi operai, lavoratori stabilire se l’azienda presso cui lavoriamo sta producendo o svolgendo una lavorazione necessaria a fornire i beni e i servizi essenziali.
Il rischio da contagio per Covid19 è a tutti gli effetti un rischio biologico, è stato riconosciuto dall’Inail, se contratto sul lavoro, nel tragitto casa-lavoro, o per motivi di lavoro, come infortunio sul lavoro, malattia professionale.
Dalle notizie che sappiamo il Covid 19 è un virus che nella sua fase più pericolosa attacca i pomoni e rende difficoltoso il respiro fino ad avere necessità di essere sottoposti a terapia intensiva. Se è vero che, da come sembra dai dati,è molto più letale per le persone anziane con patologie, l’età di chi viene colpito e necessità di terapia intensiva varia. I soggetti con patologie sono più a rischio di contagio degli altri. Altro aspetto importante di cui tenere conto è che persone asintomatiche possono essere contagiose.
Siamo sommersi da dati, statistiche, di cui si fa un uso politico e su cui non abbiamo per il momento nessuna possibilità di verifica. L’unica cosa che possiamo controllare sono le nostre condizioni reali di salute. Possiamo incidere sulla nostra condizione di lavoro non solo per proteggerci dal rischio di contagio da Covid 19 ma anche per proteggerci da tutti gli altri rischi a cui siamo sottoposti durante il lavoro che svolgiamo.
Ecco alcune proposte concrete:
Per evitare il rischio di contagio non bisogna stare in ambienti affollati, bisogna proteggersi con dispositivi di protezione individuale, non bisogna stare per troppo tempo esposti al rischio.
Per questo diciamo che è un ennesimo crimine ridurre il trasporto pubblico, questo significa creare luoghi di contagio pericolosi . Bisogna aumentare i passaggi in modo da diluire la presenza delle persone sui mezzi che in maggioranza, tra l’altro sono lavoratori, costretti a spostarsi per raggiungere il posto di lavoro.
Bisogna sospendere ogni attività produttiva di beni e servizi non essenziali. Non saranno il governo centrale e le amministrazioni locali a vigilare sull’applicazione di questa misura di buon senso. Ovunque i padroni approfittano della libertà concessagli per far riprendere la produzione. Lavoratori, sta a noi organizzarci per imporre la chiusura delle attività produttive non essenziali.
Bisogna imporre la rigida applicazione dei protocolli di sicurezza in ogni attività produttiva di beni e servizi essenziali. Anche in questo caso sta a noi organizzarci, dalla sanità alla grande distribuzione organizzata all’agro-alimentare ecc. , per imporre di lavorare in condizioni di sicurezza:
i lavoratori con patologie pregresse devono astenersi dal lavoro,l’orario lavorativo va ridotto in modo da ridurre il tempo di esposizione al rischio. Questo significa ridurre l’orario dei turni e fare piu’ turni di meno ore con meno personale per turno. Questo permette anche di distanziare meglio i lavoratori tra loro;
i lavoratori devono essere dotati di mascherine FFP3, guanti, visiere/occhiali in modo da proteggere gli occhi, camici mono uso usa e getta. Gli indumenti da lavoro devono essere sanificati dall’azienda e non devono essere indossati fuori dal luogo di lavoro;
gli ambienti di lavoro devono essere sanificati, aerati, deve essere messo a disposizione di tutto il personale sapone, disinfettante per le mani, ecc...
il lavoro notturno deve essere sospeso tranne nei casi in cui il ciclo continuo è indispensabile per la produzione di beni legata ai prodotti e ai servizi di prima necessità.
i supermercati devono restare chiusi la domenica e i turni del personale all’interno devono prevedere più pause e una rotazione frequente. No all’apertura notturna.
In ogni luogo di lavoro gli operai, i lavoratori devono organizzare la produzione in modo da rispettare le misure di sicurezza, ogni gruppo operaio è in grado di articolare il lavoro in modo da correre il minor rischio possibile.
A tutti i lavoratori deve essere garantito il salario pieno, non è nostra la responsabilità di questa ennesima crisi.
Il dramma che stiamo vivendo non riguarda solo noi operai, lavoratori italiani, riguarda gli operai e i lavoratori europei, americani, sudamericani, ha riguardato e riguarda i proletari cinesi, asiatici, africani e ci ricorda nel caso, ce lo fossimo dimenticato, che apparteniamo tutti a una stessa classe, la classe degli sfruttati, che non abbiamo né patria , né bandiere da difendere, che i nostri nemici sono gli stessi, quelli che oggi più di ieri, si sono dimostrati pronti a calpestare milioni di vite umane in nome dei loro profitti. Chi oggi specula sulla nostra salute sono gli stessi che hanno bombardato l’Iraq, la Siria, affamato e impoverito l’Africa, sono gli stessi che oggi sono pronti a mandarci a morire nelle loro fabbriche in nome del profitto.
Media e politici recitano ossessivamente che andrà tutto bene. Lo sapevamo prima dell’emergenza e lo sappiamo tanto meglio adesso che il coronavirus ce lo conferma: in mano ai capitalisti la situazione nel mondo, nel paese, nelle aziende può andare soltanto di male in peggio. Loro sono i responsabili dell’emergenza sanitaria, economica e politica in corso. Noi, gli operai e i lavoratori, la nostra organizzazione e il nostro protagonismo, siamo la soluzione. Andrà tutto bene solo se saranno gli operai e i lavoratori organizzati del nostro paese, alleati a quelli degli degli altri paesi, a fare fronte all’emergenza in corso.
Operai autoorganizzati FCA