Il 1° ottobre lo Stato cinese ha celebrato il suo 70° anniversario con tanto di bandiere rosse, davanti agli occhi dei 373 miliardari di questo paese che si dice comunista, ed anche dei 200 milioni di proletari sfruttati nelle fabbriche, delle centinaia di milioni di contadini e dei poveri delle città. Non solo questo regime non ha nulla a che fare con il comunismo, ma quando è nato nel 1949, Mao e i suoi compagni avevano già da tempo abbandonato questa prospettiva.
All'inizio del XX secolo, l'impero cinese era stato a lungo dilaniato dalle potenze imperialiste. La maggioranza della popolazione era costituita da contadini senza terra con una minoranza di proprietari terrieri. La classe operaia era concentrata in poche città costiere, in fabbriche gestite dagli imperialisti. La Cina era afflitta da guerre incessanti tra bande armate tra signori della guerra, ognuno dei quali controllava un territorio e sfruttava la popolazione.
Gli inizi del Partito Comunista
Sotto l'impulso della Rivoluzione russa, nel 1921 fu creato il Partito Comunista Cinese con pochissimi militanti. Essi scelsero, su consiglio della Terza Internazionale, di unirsi al partito nazionalista, il Kuomintang, dove iniziarono ad organizzare la classe operaia. Nel 1925 iniziò un periodo rivoluzionario che durò due anni. Il giovane PCC fu spinto dall'Internazionale comunista, che ormai era sotto controllo della burocrazia sovietica, a rimanere sotto la guida del Kuomintang del generale Ciang Kai-shek, impedendo così alla classe operaia di avere una politica indipendente dalla borghesia.
Quando nel 1927 Ciang Kai-shek si rivolse contro i suoi ex alleati, i lavoratori politicamente disarmati non furono in grado di difendersi. I militanti comunisti furono massacrati e coloro che riuscirono a scappare alla repressione si rifugiarono nelle campagne. Continuarono la lotta reclutando un esercito di contadini per condurre una guerra di guerriglia contro le truppe di Ciang Kai-shek. Ma con l'abbandonare le città, e quindi la classe operaia, Mao e i suoi compagni rinunciavano al comunismo anche se ne conservavano la bandiera ed una parte delle argomentazioni.
L'occupazione giapponese
Nel 1931 cominciò l'occupazione giapponese della Manciuria e di gran parte della Cina, che sarebbe durata fino al 1945. Nel 1934-35, il PCC accettò di mettersi di nuovo sotto la guida del Kuomintang nell'ambito di un'unione nazionale contro l'occupazione giapponese. Si impegnò a far rispettare la proprietà terriera in cambio dell'integrazione delle sue truppe nell'esercito del Kuomintang e della partecipazione alla direzione delle operazioni.
Questi anni, estremamente duri per la popolazione cinese che viveva sotto occupazione, furono anni di rafforzamento del Partito comunista. Le truppe del Partito erano quelle che facevano davvero la guerra contro i giapponesi, pur rispettando la popolazione contadina. Di conseguenza, furono raggiunte da migliaia di contadini e giovani cittadini schifati dall'incuria e dal comportamento delle truppe del Kuomintang. Il Partito Comunista, da 40.000 membri nel 1937, raggiunse 1.200.000 membri nel 1945 e le sue truppe passarono da 92.000 a 910.000 effettivi.
Dal 1942 in poi, il governo americano armò il Kuomintang e lo finanziò. Gli Stati Uniti sostennero la costituzione di un governo di coalizione tra il PCC e il Kuomintang. Quest'ultimo non lo accettò e le sue truppe continuarono la lotta contro i comunisti proprio come avevano fatto durante la guerra contro i giapponesi. Per quanto riguarda l'Unione Sovietica, rispettava l'impegno preso nei confronti degli Stati Uniti di riconoscere il governo di Ciang Kai-shek, rifiutando qualsiasi aiuto alle truppe di Mao.
Il PCC di fronte alla rivolta dei contadini
Nelle campagne, la rivolta divampò contro i signori della guerra e i proprietari terrieri che avevano collaborato con l'occupante giapponese. La sete di terra dei contadini rendeva la situazione esplosiva. Nelle zone da lui guidate, il PCC cercò di calmare le masse e di contenere le loro rivendicazioni, finché durava la speranza di un governo di coalizione. Ma a metà del 1946, la lotta armata tra il Kuomintang e il PCC ricominciò. Nell'estate del 1946, il Partito Comunista decise di mettersi alla testa della rivoluzione contadina. Di fronte ad un nemico quattro volte meglio armato e sostenuto dall'imperialismo, era per lui l'unica possibilità di vittoria. Mentre progredivano, gli eserciti del PCC organizzarono la spartizione delle terre, conquistando il sostegno della classe contadina.
Le truppe di Ciang Kai-shek da parte loro saccheggiavano, stupravano, uccidevano e trattavano i contadini come schiavi, accusati di essere in combutta con i comunisti. Le truppe comuniste, forti dei loro ideali, rafforzate da contadini che combattevano per la terra, affrontavano anche il giogo della tradizione, basandosi su un movimento di rivolta femminile. Riuscirono a riprendersi il terreno e a conquistare ampie fasce della popolazione.
Con l'avvicinarsi della vittoria, i dirigenti del PCC cercarono ancora di respingere la riforma agraria, per mantenere la possibilità di un sostegno della borghesia e dei proprietari terrieri nell'ambito di una politica di alleanza di tutte le classi, una politica contraria all'emancipazione degli sfruttati. Conquistando le città una dopo l'altra, diffidando della classe operaia, invitava i lavoratori alla passività. Il partito di Mao, nato da un piccolo partito operaio all'inizio degli anni Venti, era diventato un apparato nazionalista, capace di guidare una rivoluzione contadina, ma senza mai mettere in discussione i rapporti di proprietà capitalisti.
Mao al potere
Dopo la caduta di Pechino, Mao proclamò la Repubblica Popolare Cinese senza aspettare la fine della guerra. Nel contesto della guerra fredda, le potenze straniere, in particolare gli Stati Uniti, cessarono tutte le relazioni con il nuovo governo. Per due anni, Mao cercò invano di ottenere il sostegno della borghesia in nome dello sviluppo del paese. Invece gran parte di quest'ultima riuscì a fuggire con la sua fortuna a Taiwan, dove si era rifugiato il governo di Ciang. Poi, dal 1951-1952, fu con l'intervento diretto dello Stato nell'economia che si tentò di sviluppare il paese.
Grazie agli enormi sforzi delle classi popolari cinesi ed al loro sostegno al potere politico nato dalla rivoluzione contadina, questa politica rese possibile lo sviluppo industriale di questo paese immenso, facendone di nuovo una grande potenza. Dopo che alla fine degli anni 1970 l'economia cinese si è ricollegata all'economia mondiale, i capitalisti occidentali e giapponesi hanno capito che, investendo in questo paese rimasto ancora in gran parte sottosviluppato, potevano sfruttare una classe operaia numerosa, con bassi salari garantiti da un potere politico che non tollerava le opposizioni. Così, nonostante la sua etichetta "comunista"la Cina è diventata la grande officina del mondo capitalista, grazie all'alleanza originale dello statalismo del potere politico nato nel 1949 con il capitalismo mondiale. L'emancipazione delle centinaia di milioni di proletari cinesi è ancora da conquistare, sia contro la borghesia del paese che contro l'imperialismo.
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